“Ogni anno si decompongono il 6% dei marmi, si dissolve il 5% degli affreschi, va a ramengo il 5% dei mobili e arredi. I turisti passano spensierati tra i palazzi in cancrena e la sera in gondola assaporeranno beati il tenore che dal barcone canta le ebeti canzoni di una Venezia posticcia. Facessero invece tacere chitarre e mandolini», scriveva Dino Buzzati, «si inoltrassero a notte alta nei campi e nelle calli deserte, avvicinassero le orecchie alle tenebrose porte sprangate delle chiese e dei palazzi e ascoltassero. Là dentro, nei ridotti delle perdute glorie, non c’è il silenzio riposato della salute e della forza, e non c’è neppure l’immoto silenzio dei sepolcri. Ma è il silenzio di chi soffre e non dice, il silenzio maligno..”
Nato in provincia di Belluno nel 1906, il grande scrittore e giornalista era figlio di due veneziani: il giurista Giulio Cesare Buzzati e Alba Mantovani, discendente dell’antico casato veneziano dei Badoer (che, secondo la tradizione, aveva fondato venezia insieme alle altre “famiglie apostoliche” nel V secolo). Anche il nonno paterno, Augusto Buzzati, era una figura eminente dell’alta società veneziana; a lui si deve il trasferimento e l’inaugurazione del nuovo Museo Correr nel 1880. Così, la mostra appena inaugurata al Centro Culturale Candiani, approfondisce a buon diritto il rapporto tra Dino Buzzati e la città lagunare. Visitabile fino al 25 febbraio 2024 a ingresso gratuito, la rassegna Buzzati, Venezia e la Pop-Art accende i riflettori su un aspetto spesso trascurato e misconosciuto della produzione creativa di Buzzati, ovvero quello dell’arte figurativa. “Sono un pittore il quale, per hobby, durante un periodo purtroppo alquanto prolungato, ha fatto anche lo scrittore e il giornalista. Il mondo invece crede che sia viceversa […] Ma dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa cosa. Che dipinga o che scriva, io perseguo il medesimo scopo, che è quello di raccontare delle storie”.
“Che Venezia è? È triste o allegra? È allegra, è viva, è strepitosa, è folle, assomiglia a una favola, a una pasticceria, a una processione di santi, a un gioco di bambini, a una nostalgia della nonna, a un regalo di nozze, a una fata morgana, a una festa del patrono, al paesaggio intravisto attraverso le grate dalla monaca peccatrice, a una selva di tabernacoli, ai desideri del mattino, a un ricordo d’amore, a una palizzata di sogni”, scriveva l’autore nel 1971. Con le sue parole Buzzati – che trascorse quasi tutta la vita a Milano – ha saputo catturare con maestria l’anima magica e contorta della laguna. Ma Venezia è anche il luogo, durante la storica Biennale del 1964, in cui Buzzati scopre la Pop Art. A 60 anni di distanza, la retrospettiva fa luce il rapporto tra l’artista e il movimento: infatti, come la Pop Art influenza la produzione di Buzzati pittore, il Buzzati scrittore influenzerà la percezione collettiva della Pop Art in Italia, raccontando ai lettori l’arrivo di questa forma d’arte tra le pagine del Corriere della Sera.
Ben 44 opere tra dipinti e illustrazioni fanno luce su quella vocazione che l’artista coltiva fin dal 1919 (le lettere spedite al suo compagno del Liceo Parini erano infatti riccamente corredate di disegni) e i suoi punti di contatto con il linguaggio grafico della Pop Art. Assunto al Corriere della Sera nel 1928, Buzzati affianca alla pratica giornalistica la professione di scrittore, pubblicando romanzi di successo come Il deserto dei Tartari (1940). Nel frattempo non smette mai di dipingere, ma molti dei suoi quadri giovanili vengono distrutti in un bombardamento nel 1943. Nel 1958, poco dopo aver vinto il Premio Strega con i Sessanta racconti, tiene finalmente la sua mostra personale e inizia a scrivere d’arte sul Corriere diventandone il critico ufficiale nel 1967.