Quando mi sento vivo, felice, io mi sento umano, e in qualche misura, divino, perché mi sento in contatto con la Vita, col Vivente, mi sento in qualche modo partecipe di qualcosa di infinitamente più grande di me, e che mi nutre e che mi ama, nella misura in cui io lo ammiro, questo qualcosa che possiamo chiamare Vastità, Infinito, Intelligenza, questo qualcosa che è la Vita, questa enormità che non chiede di essere spiegata o usata, ma solo goduta e avvertita.
Questo sentimento riscoperto dal Romanticismo, questo sentimento tipicamente europeo, non è solo europeo, e, men che meno, solo moderno; ma è proprio il sentimento che connota il genere umano, e lo differenzia dagli altri animali e dalle macchine. È il sentimento della Libertà e della Creatività umana, della sua aspirazione alla Felicità, a Dio, all’Amore, alla Sapienza.
Heidegger ha riflettuto a fondo questo connotato tipicamente umano, venendo alla elementare conclusione che la nostra felicità dipende dalla morte, dalla nostra condizione mortale, dalla nostra imperfezione e dalla nostra mutevolezza. Il dominio della Tecnica esclude la morte dalla vita perché la morte è qualcosa che non funziona, non serve gli scopi della Tecnica: non rientra nelle categorie dell’efficienza, dell’utilizzabile, del ripetibile, dell’uguale, dell’assolutamente certo. Ma è la nostra mortalità, la nostra umanità, che mette in crisi totale l’arbitrio della Tecnica.
Goethe ci ha fatto capire col Faust, che, attraverso la Tecnica, l’uomo cerca di vincere la morte, di superare la morte, l’antico e temuto presagio; ma questo suo impulso, peraltro naturale, lo condurrà alla rovina, alla disfatta, lo condurrà alla morte Eterna, a una “vita morta”, a una morte in vita. L’essere umano può essere immenso perché imperfetto e mortale, è una entità reale e vivente in rapporto all’infinito. Se non fosse finito, egli non potrebbe vivere e godere il suo rapporto con l’infinito.
L’essere umano è una Coscienza mobile, è il primo sintomo della Coscienza cosciente, non ne conosciamo altre. E questa Coscienza, questa Intelligenza che riflette se stessa, la Natura, la Vita, questo patrimonio di Spirito al vertice dell’esistenza, non è artificiale, ma naturale, o soprannaturale.
Una intelligenza artificiale è una contraddizione in termini, non può esistere una intelligenza artificiale. L’intelligenza artificiale è un algoritmo, pura logica priva di qualsivoglia forma di vita, di capacità vitale, interpretativa o di intuito: è proprio quello che odiamo come esseri umani e che ci fa sentire morti e tristi e annoiati. Tutto ciò che di intelligente ha concepito la civiltà umana non è mai stato un prodotto della coscienza puramente empirica-razionale, ma di quella facoltà misteriosa che chiamiamo Intuito, Ispirazione, Genio, Arte, Dio.
L’umanità occidentale è in crisi proprio perché sente di avere perduto la propria intelligenza, la propria vitalità: l’impostazione capitalistica e tecnocratica del mondo esige una sola modalità di esistenza: quella contabilistica, utilitaristica, calcolatrice, meccanica, profittatrice, consumistica e predatoria, e quindi, in ultima analisi, stupida.
L’intelligenza artificiale, come massima realizzazione di questa visione del mondo e della vita, è la realizzazione massima della stupidità umana.
Perciò io non parlerei di intelligenza artificiale, ma di S.U.P: stupidità umana in potenza. Ora, dai recenti studi degli specialisti, come Shoshana Zuboff (sociologa a saggista statunitense, ha pubblicato tra l’altro Il capitalismo della sorveglianza – Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, ndr) o Naomi Klein (scrittrice e attivista canadese, ha pubblicato molti libri, tra cui il celeberrimo No Logo, Shock economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri e il recemtissimo Doppio. Il mio viaggio nel Mondo Specchio, ndr), noi sappiamo che la S.U.P è diventata a tutti gli effetti un governo, e che se noi eravamo già gli accessori, i funzionari della Tecnica, ora lo siamo di una Tecnica ulteriormente potenziata, e possiamo dire ormai, umanizzata. Una Tecnica che non è più solo Ambiente, ma forma di vita, di società umana.
Io credo che l’unico modo per affrontare l’inevitabile disumanizzazione che comporta questo stato di cose, sia quello di tornare a riflettere sulle radici dell’umano, dell’io umano: chi è e da cosa realmente dipende la sua Libertà, la sua Libertà creativa: le sue esigenze, le sue peculiarità, le sue profondità e grandezze, le sue reali aspirazioni.