In mostra alla Galleria Fumagalli le MINIME VARIAZIONI, Drawings and Plaster Surrogates dell’artista concettuale Allan McCollum
Che cosa hanno in comune gli accumuli di Arman, le Sedie delle Favole (1001 sedie cinesi antiche) o Spouts (10mila beccucci di teiere antiche) di Ai Weiwei, con i disegni di Allan McCollum (Los Angeles, 1944), esposti fino al 29 marzo 2024, alla Galleria Fumagalli? Ragionano intorno al concetto di moltitudine, che significa confrontarsi con l’idea di una collezione che può nascere da desideri, pensieri e intenti diversi. Una proliferazione di immagini e oggetti apparentemente uguali, che presentano differenze, seppur in taluni casi microscopiche.
Nella pratica concettuale di Allan McCollum troviamo una produzione seriale di oggetti (disegni, gessi, oggetti quotidiani come barattoli, tappi, bottoni, ecc.) replicati tante volte, facendo attenzione che non siano presenti mai pezzi uguali. Piuttosto simili, con MINIME VARIAZIONI, come dimostra il titolo della mostra Drawings and Plaster Surrogates. Una mostra che accoglie l’artista dopo un lungo periodo di lontananza dall’Italia, che racconta le sue Collection of Drawings esito di una modalità di ricerca iniziata intorno agli anni ’80. Una moltitudine di pezzi che creano un insieme unitario ma che in realtà, a guardarli bene, mostrano differenze. Sagome simmetricamente disegnate sul fondo chiaro dei cartoncini, all’interno di quadri di varie dimensioni, precisamente dodici (come ci raccontano in galleria), che costituiscono la cornice dell’opera collettiva, poiché ognuna di queste è montata in gruppi da 30, 60 o 90 singoli lavori. Sono 660 in totale, allestiti dallo stesso autore che ogni volta presenta installazioni differenti, che seguono anche gli spazi che li ospitano. Il risultato è un impianto visivo esteticamente potente, in cui la ripetizione gioca ironicamente con l’idea di multiplo, ma in cui è possibile riscoprire ogni forma come originale, che esclude possibili copie e riproduzioni.
Disegni realizzati con una matita grassa, si presentano come macchie scure e dense, che in controluce mostrano i segni della profondità del gesto. Profili che mutano l’uno dall’altro, occupando quasi interamente le pareti e gli otto tavoli al centro della galleria. L’ispirazione di McCollum deriva dal suo interesse e dalle sue ricerche intorno al mondo dell’araldica, o l’arte da blasone, che studia stemmi e scudi, raffigurazioni e significati. Il modo di realizzare i disegni, dal punto di vista compositivo, è l’esito di partizioni (la tipica modalità di ripartire gli scudi), nel caso specifico troncato, che divide orizzontalmente in due la forma. Modelli prodotti dalla combinazione di stencil di plastica accoppiati a due a due, in maniera diversa per ogni quadro, che non trovano corrispondenza alcuna con la realtà, ma sono invece il frutto di casualità e di intenzionalità, che danno origine ogni volta a anatomie uniche.
Parlare di anatomie non è molto distante dalle intenzioni dell’autore, per un ordine di motivi diversi. Sia perché il suo lavoro ingenera una profonda riflessione sulla natura umana, per quel riguarda i metodi di produzione anche artistica (manuale o in serie), e nel suo collocarsi all’interno della definizione di una massa. Quella massa che concettualmente nella sua teorizzazione è sempre stata guardata criticamente. Sia perché ognuna di quelle immagini, potenzialmente alimenta il suo desiderio utopico, e che l’arte può concedere, di rappresentare tante forme quanti sono gli abitanti del pianeta. Allan McCollum lavora attraverso un processo di replicazione di un gesto e di un metodo. Un atteggiamento quasi rituale che include una folla, ma che rivela, a guardare bene, la singolarità di ciascuno.