Nel celebre saggio Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria pubblicato per la prima volta da Einaudi nel 1958, Ernesto De Martino ricostruisce la genesi del lamento funebre antico, riflettendo analiticamente sulla necessità umana di trascendere la dimensione arbitraria e ineluttabile del trapasso biologico. Secondo l’antropologo napoletano, lo spaesamento esistenziale conseguente all’avvenimento morte evidenzierebbe un bisogno corale oltremodo radicato , cioè quello di elaborare il distacco dai defunti attraverso una ritualità condivisa.
L’autore suggerisce come alcune tradizioni mediterranee abbiano storicamente formulato, nel pianto comunitario, una forma socialmente codificata di superamento del lutto individuale e della sua dimensione traumatica: si tratta, inoltre, di pratiche funebri tutt’ora sporadicamente diffuse presso alcune realtà territoriali lucane, calabresi, pugliesi o sarde che non possono essere derubricate a meri “relitti folklorici”, poiché esprimono la loro piena vitalità e valenza identitaria. Nell’hinterland sardo, per esempio, le “attitadòras” – donne ammantate di nero incaricate di piangere il morto, conosciute nel mondo antico come prefiche – tessevano pubblicamente le lodi del defunto, costruendo dei versi improvvisati e dolendosi, talvolta ricevendo un compenso pecuniario. La loro performance funebre, fatta di lacrime, invocazioni e gestualità parossistica, non mirava solo a onorare l’estinto ma anche all’allontanamento simbolico della morte dalla comunità.
La ritualità legata al cordoglio, di cui le prefiche diventavano portavoci, intendeva quindi oltrepassare la funzione religiosa per rinforzare vincoli sociali. L’artista Valentina Medda – la cui poetica eterogenea coniuga visual art, performance e interventi site-specific –, si interroga su questo brano fondamentale del patrimonio culturale immateriale della sua regione di appartenenza esaminandolo da prospettive visive, vocali, corporee.
L’indagine artistico-entrografica di Medda dà vita a The Last Lamentation, progetto concepito come live performance e prodotto audiovisivo, curato da Maria Paola Zedda e realizzato grazie al sostegno dell’Italian Council, programma di promozione internazionale dell’arte italiana ideato dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. La Sardegna, terra d’origine dell’artista, è il centro di gravità (im)permanente attorno al quale ruota The Last Lamentation: il 27 giugno 2023, lungo la costa del mare di Cagliari, prende forma il rituale che coinvolge dodici donne sarde, travolte dal lutto, dedite a una litania corporea e sonora che rilegge le modalità espressive delle antiche pratiche funerari in chiave astratta e contemporanea. Il pianto, tradizionalmente delegittimato e relegato alla sfera domestica – e della vulnerabilità –, rivendica uno spazio di espressione e partecipazione al dolore che è, prima di tutto, politico.
Il corpo della donna, altrettanto politico ma ugualmente esautorato, intanto compie la sua palingenesi in catartico simbolo di liberazione individuale e collettiva. Per idea come per concretezza, l’acqua che bagna il litorale sardo rappresenta una regione migratoria mutata in spazio d’attesa e cimitero a cielo aperto: “il corpo si è fatto mare e il mare si è incarnato”, ricorda Medda. The Last Lamentation diventa una piattaforma attraverso cui meditare su confini, frontiere, diaspore, dolore e morte: concetti passibili di rimozione, considerata la natura tanatofobica propria della società odierna. Valentina Medda rafforza il significato della sua ricerca mediante il luogo dove, recentemente, è stata trasmessa la performance multimediale: il luogo-emblema in cui avviene l’inevitabile incontro-scontro di ognuno con il “cedere”, dove si materializza fisicamente la fine dell’esistenza corporea. Grazie alla collaborazione di Bologna Servizi Cimiterali, il Cimitero Monumentale della Certosa di Bologna, strabiliante museo d’arte plastica en plein air e pertanto definito da George Gordon Byron “the superb burial ground”, permette al progetto performativo di trovare la sua declinazione più compiuta e a visitatorə e fruitorə di meditare profondamente sul fil rouge che intercorre fra arte, morte, memoria, oblio, identità e alterità.
Il progetto, realizzato in collaborazione con la vocal coach, compositrice e cantante Claudia Ciceroni – e nel quale è stato coinvolto lo stilista Filippo Grandulli per disegnare gli abiti indossati dalle donne, da affidare alla cooperativa La Matrioska, a sua volta impegnata nella formazione sartoriale per donne migranti –, viene presentato per la prima volta come studio intitolato S’Ultimu Attittu durante la residenza di Medda al BAR di Beirut, nel 2018. The Last Lamentation, anche vincitore del progetto europeo Stronger Peripheries, è reso possibile da una partnership che lega ZEIT – lead partner –, il MAN di Nuoro, il Teatro di Sardegna, l’Arts Center 404 /VierNulVier di Gand e il Flux Factory di New York. La performance, diventata multimediale, è entrata a far parte della collezione permanente del MAMbo – Museo d’Arte Contemporanea di Bologna.
In questo rituale, le donne anziane della comunità sono chiamate a piangere il morto attraverso una litania, costruendo dei versi improvvisati che tessono gli elogi del defunto. Nel teatralizzare il dolore attraverso il canto e la ripetizione di gesti semplici e parossistici, la prefica si fa carico del dolore dei familiari e di reiterare il suo stesso lutto, dando nuovo sfogo al proprio dolore. È una tradizione funebre che esiste anche in Sardegna, la mia terra.