Marina Abramovic diventa un libro per bambini

Tra tutti gli artisti contemporanei, probabilmente, Marina Abramovic è la più complicata da raccontare e spiegare ai bambini. Potrebbe sembrare la più facile, per assurdo, perché dà vita alla sua arte utilizzando il suo corpo, un materiale speciale che tutti usiamo quotidianamente. Nessuno, meglio di un bambino, sa quanto sia vera questa cosa: per esperire e conoscere ciò che ci circonda e soprattutto per esprimerci in libertà, non facciamo altro che usare il corpo.

L’artista Fausto Gilberti, fortunatamente, ha trovato il modo per parlare della vita e delle opere dell’esponente più conosciuta della body art, iniziando da Marina Abramovic bambina e raccontando il suo primo incontro con l’arte. Il libro, illustrato e scritto, da Gilberti è in libreria dal 5 febbraio, edito da Corraini e si aggiunge alla lunga lista di albi in cui l’artista bresciano ha raccontato Louise Bourgois, Yayoi Kusama, Lucio Fontana, Banksy e altri interessanti protagonisti dell’arte contemporanea. Ma questa volta la sfida è stata più ardua, perché Marina Abramovic spesso ha prodotto performance scioccanti. 

Il racconto, adatto ai bambini e ai ragazzi, è in prima persona e ci porta nell’infanzia di Marina Abramovic che apprende la sua prima lezione di arte grazie a suo padre Vojo, un partigiano come lo era sua madre. Quel primo incontro, organizzato dal genitore, è stato con un pittore che incendiò la tela dopo averla dipinta e poi le disse di aver realizzato un tramonto. Marina Abramovic, come molti altri artisti, ha iniziato il suo percorso dipingendo, poi però ha messo da parte i pennelli, e memore della lezione di quel pittore, ha preferito esprimersi utilizzando anche il proprio corpo.

Il libro di Gilberti ci riporta agli inizi della carriera dell’artista con “Rhythm 0” la performance di sei ore del 1974 avvenuta a  Napoli in cui gli avventori della galleria potevano fare quello che volevano al corpo dell’artista. Tra le opere illustrate c’è anche quella del 1977 intitolata “Imponderabilia”, la perforrmance fatta con Ulay, il suo storico compagno con cui ha condiviso una parte importante del percorso artistico. Nell’album non mancano la performance incentrata sulla ripetitività del 1975 chiamata “Art Must Be Beautiful, Artist Must Be Beautiful” e nemmeno il grande addio tra lei e Ulay con “The Lovers”, quando entrambi percorsero, da marzo a giugno 1988, la grande muraglia cinese dalle due estremità per poi lasciarsi per sempre dopo essersi incontrati a metà strada. Il racconto arriva ai nostri giorni, fino al successo di “The artist is present” la performance avvenuta a New York e in cui Marina Abramovic, per 90 giorni e 700 ore, stando sempre seduta, ha incontrato con gli occhi più di 1675 persone e attirando al Moma più di 800 mila appassionati di arte.

Il libro di Fausto Gilberti non manca di citare la performance “Balkan Baroque” durata 4 giorni e 6 ore durante la XLVII Biennale d’Arte di Venezia nel giugno 1997. Quella performance, che le valse il Leone d’Oro, fu allestita in uno spazio buio in cui erano state ammucchiate più di 1.500 ossa di bovino e l’artista le spazzolava e le puliva cantando canzoni della sua terra di origine. Era il tempo della guerra nei Balcani e Marina Abramovic con quella istallazione mostrava anche l’impossibilità di pulire la vergogna della guerra. Quella performance è una metafora molto visibile di quello che rimane alla fine di ogni conflitto: un mucchio di ossa insanguinate (e non importa se il conflitto si svolge nei Balcani, in Ucraina, in Israele e in Palestina, in Yemen, nel passato più lontano o nel futuro più vicino). La guerra rimane insensata e inutile e nessuno sa, meglio di un bambino, quanto questo sia vero. 

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