Il retaggio delle esperienze storiche della pittura analitica, col loro carico di auto-riflessione su linguaggio, materiali (spesso non convenzionali) e processo interno allo stesso operare artistico, uniti a una nuova sensibilità iper-contemporanea, che è quella derivante dalle esperienze della street art e della dimestichezza con l’arte nello spazio urbano e, più in generale, della stessa considerazione della città come un grande e complesso contenitore di esperienze, estetiche, formali e psicogeografiche (come insegnavano i situazionisti), si può a buon diritto dire costituisca il fulcro del lavoro che Giacomo Feltrinelli, 30 anni, milanese, porta avanti da diversi anni con grande coerenza e rigore formale.
E non è un caso che, negli anni passati, i suoi quadri assomigliassero in maniera impressionante a strani, seducenti e bizzarri cartelli stradali che, tuttavia, non rimandavano ad alcun significato esterno alla pittura, come accade invece coi cartelli stradali, che non fosse quello stesso dell’atto del guardare, e del rimando, più o meno sotterraneo ed emotivo, alla possibilità di una pratica creativa dello spazio urbano: vero e proprio richiamo alle teorie di Débord sull’esperienza della deriva e dell’Urbanismo Unitario, con le loro suggestioni di una visione dinamica e creativa dello spazio urbano.
Oggi, con la mostra “Forme Instabili”, aperta fino al 7 aprile alla galleria Bianchizardin Contemporary Art di Via Maroncelli 14 a Milano, Feltrinelli si smarca sempre più dal riferimento immediato alla segnaletica stradale.
E lo con una nuova serie di quadri in cui il ricordo della strada, dei cantieri (che mai come in questi anni affollano lo spazio urbano cittadino, in particolare quello milanese) si esplicita in forma meno diretta e più simbolica ai materiali di cui sono composte le strutture delle strade e dei cantieri urbani: ferro, ruggine, cemento, griglie, metalli.
I quadri assumono così la forma di seducenti “porte” tra lo scorrere della nostra quotidianità e il riflesso poetico delle forme che abbiamo assimilato nella storia dell’arte, dove le rigorose geometrie del Neoplasticismo o dell’astrazione geometrica si mescolano, poeticamente, coi ricordi del nostro girovagare urbano tra segnali, strade in costruzione, sensi unici e divieti. Una deriva non più solo psicogeografica, ma poetica, mentale, estetica.