Mitoraj in Sicilia, tutto il potere del mito

“Ho la nostalgia di qualcosa di molto bello, di molto semplice, una sorta di paradiso perduto”. Così diceva Igor Mitoraj, ed in effetti le sue opere trasmettono questo senso di nostalgia, quella che i brasiliani chiamano saudade, l’atteggiamento di nostalgico rimpianto spirituale.

Nostalgia e rimpianto per una bellezza che a volte è dimenticata dall’uomo moderno troppo preso dalla frenetica vita quotidiana. E allora guardare le sculture di Igor Mitoraj permette di riappropriarsi della bellezza del mondo. L’artista di origine polacca è noto per aver reinterpretato l’estetica classica in modo drammatico mettendo in luce la fragilità dell’uomo contemporaneo.

Igor Mitoraj nasce il 26 marzo 1944 a Oederan, un piccolo centro della Sassonia, da madre polacca e padre francese. Trascorre la sua giovinezza in Polonia, nei pressi di Cracovia. Nel 1968, lascia la Polonia e giunge a Parigi con l’intento di ampliare la sua formazione culturale. Nello stesso anno, si iscrive all’École Nationale Supérieure des Beaux-Arts. Il grande successo della sua prima importante mostra personale, organizzata nel 1976 presso la Galerie La Hune di Parigi, lo spinge a dedicarsi esclusivamente alla scultura e nello stesso periodo, infatti, che gli viene assegnato il “Prix de la sculpture de Montrouge”.

Nel 1987 si trasferisce in Italia, a Pietrasanta, città che lo scultore ha amato tantissimo, come ha ripetuto spesso: “La città che più amo è Pietrasanta”, ha detto: “il posto, in assoluto, dove mi sento meglio, è il mio laboratorio”. Le sue opere sono state installate in tutto il mondo, a Milano, Roma, Londra, Parigi, Atlanta e Tokyo.

Nel 2016, per coronare un grande sogno di Mitoraj (morto a Parigi nel 2014), è stata realizzata una mostra nel prestigioso sito archeologico di Pompei, qui furono esposte circa trenta delle sue straordinarie sculture monumentali. E quest’anno, il meraviglioso lavoro dell’artista torna in Sicilia. Fino al 31 ottobre, infatti, sarà aperta al pubblico la grande mostra scultorea a cielo aperto intitolata Lo sguardo di Igor Mitoraj: Humanitas e Physis”.

Un progetto che prevede l’esposizione di trenta opere negli spazi dell’area Archeologica Neapolis di Siracusa, una sorta di viaggio tra conoscenza e partecipazione emotiva. Una scultura alata, inoltre, è posizionata verso il mare, accanto al Castello Maniace di Ortigia, la parte più antica di Siracusa. E la monumentale “Teseo screpolato” è collocata sul versante sud-est dell’Etna, a 2000 metri di quota, con uno sguardo che spazia dalla sommità del vulcano al mare Jonio.

Le sue opere non sono nuove ai siciliani: da oltre dieci anni il suo Icaro caduto si staglia, solenne, sullo sfondo del Tempio della Concordia ad Agrigento, e lega l’interpretazione antica a quella moderna del mito.  Nel 2020 ad ospitarle fu lo splendido scenario della cattedrale di Noto e la Villa romana del Casale nel 2021. La mostra “Lo sguardo – Humanitas-Physis”, promossa dal Parco archeologico della Neapolis di Siracusa e curata dall’Atelier Mitoraj, si connette meravigliosamente con i luoghi che la ospitano.

Lo sguardo sulle sue opere porta ad una riflessione verso la nostra società, l’Humanitas nel concetto più alto è l’interesse per l’uomo in quanto uomo ed esprime l’attenzione e la cura benevola tra gli uomini stessi. La physis, questa parola greca comunemente tradotta in italiano con il termine natura, nel pensiero antico rappresenta la totalità delle cose, in comunione con la loro generazione primaria e originaria. È per questo che l’uomo non può esimersi dal recuperare la connessione con la Natura stessa.

Mitoraj, nelle sue sculture, si è sempre ispirato all’arte classica, e ha saputo fonderla con gli elementi moderni, disarticolandone e frammentandone la purezza per comporre una realtà contaminata e in disgregazione, popolata da personaggi tormentati, reliquie di un mondo perduto e della brutalità della storia.

Tutte le sue sculture, infatti, che siano nel suo amatissimo marmo o in bronzo, non si presentano mai intatte ma frammentate, mutilate, piene di vuoti e di particolari “omessi” che attivano immediatamente una riflessione su chi siamo stati e soprattutto su cosa ci è rimasto. Un richiamo costante alla civiltà occidentale, che ci trafigge nel profondo ricordandoci che la società contemporanea è quella che è proprio perché deriva dal Mito.

Le sue opere sono un monito dello scorrere del tempo, della nostra umana debolezza e fragilità, ma anche il simbolo della resistenza della bellezza. “Posso dire che per me la Bellezza è qualcosa che fa sognare, ma è molto più forte del sogno. È un ideale, un miraggio, un enigma”, scriveva l’artista per spiegare il suo modo di vivere l’arte. E allora vale ancora ciò che si chiedeva Dostoevskij nell’ Idiota: “La Bellezza salverà il mondo”? Noi vogliamo ancora sperarci.

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