by Deodato Salafia
Dobbiamo davvero rispolverare qualche libro del liceo per ricordarci di Giordano Bruno, che dovremmo definire più che un filosofo un visionario del sedicesimo secolo. Uno che, senza telescopi o calcoli matematici ma con la sola sua intuizione fu il primo, e per molto tempo l’unico, a sostenere che l’universo poteva essere infinito. Contrariamente a Copernico, che nel suo rivoluzionario modello eliocentrico immaginava le stelle semplicemente attaccate al firmamento, Bruno concepiva queste stelle come altri soli, circondati da altri pianeti, ognuno con la sua vita.
Da monaco Domenicano divenne successivamente un contestatore radicale, opponendosi tanto al cattolicesimo quanto al nascente luteranesimo. Persuaso delle proprie convinzioni, non si ritrattò mai, neanche dopo sette anni di prigionia, finendo arso vivo dall’inquisizione nel 1600, in Campo dei Fiori a Roma, dove oggi una statua lo commemora.
Giordano Bruno trattò di dialoghi cosmologici e morali, tra cui spicca De gli eroici furori, pubblicato nel 1585 in Inghilterra. Il suo pensiero spazia dall’etica alla natura, considerando Dio non solo come principio ma anche come causa intrinseca del mondo: una mente che è sopra tutto, “mens super omnia” e che pervade tutto, “mens insita omnibus“. Secondo Bruno, studiando la natura che ci circonda, possiamo trovare Dio, perché è immanente in essa. Lui riconosce un Dio-motore, che è totalmente contenuto nella natura, ed è per questo che dichiara che l’universo non può essere finito.
In questo contesto di pensiero Bruno arriva alla domanda etica fondamentale: “l’uomo come deve vivere?”. Egli sviluppa un’allegoria rielaborando il mito classico di Atteone. Atteone è un esperto cacciatore di cervi, con una mole di cani bravi e fedeli. Un giorno, andando a caccia nel bosco, si imbatte in Diana (dea degli animali selvatici) mentre era nuda in un ruscello. Diana, non potendosi permettere che Atteone elabori ciò che ha visto, lo trasforma in un cervo. Atteone non si accorge di essere divento un cervo fintanto che non si reca a bere e si vede specchiato nell’acqua, e nel frattempo i suoi cani, non riconoscendolo, lo attaccano come erano abituati a fare con qualunque cervo e lo sbranano.
Per Ovidio la storia antica di Atteone è relativa solo al tema di non andare oltre ad indagare ove è territorio degli dei, mentre per Giordano Bruno il significato è tutt’altro. Anche ai giorni nostri, come Ovidio, ci domandiamo se l’etica non dovrebbe porre freni alla scienza, dalla genetica alla intelligenza artificiale. Bruno però capisce che l’uomo indaga la natura per soddisfare una sua irrequietudine, ovvero l’irrequietudine di sentirsi finito in un mondo che percepisce infinito. Bruno nel “Degli eroici furori” ci dice che nell’indagare la natura l’uomo finisce per farne parte integrata. Atteone cacciatore di cervi, diviene cervo. L’uomo, Dio e la natura sono un tutt’uno, ma l’uomo per capirlo deve prima sperimentare la metamorfosi.
Nella metamorfosi muore, ma la sua morte non è una morte, perché in natura nulla muore, tutto si trasforma. Atteone rappresenta l’amore per la conoscenza e “la consapevolezza della propria finitudine e la necessità di rifiutare ogni conoscenza parziale”.
La natura è ogni cosa, un sasso è natura, una conchiglia è natura, lo è una piramide, un ponte, un castello, un abito ed anche un computer e un sistema di intelligenza artificiale. Oggi l’uomo sta creando sistemi intelligenti a tal punto da domandare a se stesso cosa sia davvero l’intelligenza e se davvero la sua intelligenza sarà sempre e certamente superiore alla intelligenza artificiale emanata dai sistemi che sta indagando e creando.
Atteone nella metamorfosi si amalgama alla natura. Se un giorno l’intelligenza media dei sistemi di IA sarà superiore all’intelligenza media degli uomini, sarà avvenuta la stessa cosa, l’uomo scoprirà di essere solo natura, in mezzo ad altra natura. In natura non ci sono né vincitori né vinti, tutto si trasforma e tutto è allo stesso livello, il livello del principio e della causa che procedono di necessità. Un cervello artificiale ragiona meglio di un cervello biologico? Ma sono entrambi natura, si basano sulla stessa fisica sullo stesso stato di necessità, se Dio c’è è in entrambi, se Dio c’è non si fa sconfiggere, perché Egli è immanente nel sistema.
Più che di intelletto e memoria, in Bruno l’uomo procede quindi con le categorie della natura e della materia, perché solo con metamorfosi necessarie e tangibili l’uomo può ridursi a riconoscersi universo. Nella metafora odierna potremmo vedere Diana come la dea non della caccia, ma della computazione e dei modelli formali. Avi Wigderson, di recente vincitore del ACM Turing Prize 2024, ha dimostrato nel corso dei decenni una profonda comprensione della computazione come qualcosa che va oltre le semplici macchine.
La computazione è un fenomeno che si trova in tutto l’universo. La biologia e la chimica sono basati sulla computazione. Nella metafora Diana è la dea della computazione, i nostri scienziati sono Atteone e la mole di computer sono i cani.
Saremo sbranati? Sì, forse, ma il sistema di pensiero di Giordano Bruno, che sarà ancora più sistematicamente elaborato da Baruch Spinoza, ci dice da una parte che gli eroici furori che spingono la ricerca non possono essere fermati, dall’altra che Dio stesso è nella computazione, la computazione è nella natura e l’uomo riducendosi a natura, infine, troverà se stesso.