L’Atelier di Giorgio Morandi visto da Luigi Ghirri

Esistono silenzi colmi di significato e affinità elettive capaci di costruire punti di incontro attraverso l’espressione artistica, fu la poesia della semplicità ad unire Giorgio Morandi a Luigi Ghirri. Due autori noti per la loro abilità nel descrive la quotidianità con una visione mai banale e univoca, potremmo definirli i cantori delle piccole imprese. Voci narranti delle storie e dei paesaggi comuni osservati con trasporto e profondità. Nei paesaggi di Ghirri e nelle numerose natura morte di Morandi appare evidente un approccio introspettivo, quasi spirituale alla realtà.

Attraverso la geometria, la composizione, le scelte cromatiche, con una palese predilezione per i colori terrosi e pacati, ci comunicano le pause di riflessione che precedono le loro scelte stilistiche; possiamo quasi percepire le lunghe attesa che hanno preceduto lo spostamento di un oggetto leggermente più in là o la ricerca della prospettiva adatta. 

Non avremmo potuto scegliere abbinamento migliore per costruire un percorso che, a sessant’anni dalla morte del pittore, trasporta il visitatore nello studio di Via Fondazza a Bologna, parte di un ambiente umile e ristretto da sempre condiviso con le tre sorelle. 

Negli affascinanti spazi sotterranei di Palazzo Bentivoglio, prende vita una piccola mostra che apre uno scorcio sull’atelier come doveva apparire prima che l’appartamento venisse reso un museo. Le bottiglie, i vasi, le caffettiere e gli altri oggetti universalmente presenti nell’opera di Morandi tornano a sorprendere nella loro disposizione originale. Il progetto espositivo scaturisce dalla collaborazione con gli eredi di Luigi Ghirri, fotografo che aveva conosciuto Giorgio Morandi recandosi nel suo studio su proposta di Carlo Zucchini. Affascinato dall’artista e innamorato anch’egli della vita nella sua «banalità», Ghirri scattò tra il 1989 e il 1990 una serie di fotografie che attraversano il laboratorio artigianale del pittore, ma anche il suo spazio mentale, restituendo a pieno il luogo a cui ha dedicato un’intera esistenza.  

La selezione di fotografie, proveniente dalla collezione privata di Palazzo Bentivoglio e dall’Archivio dell’artista, rappresenta un’occasione unica che permette la visione di una serie di stampe inedite, mai pubblicate nel volume omonimo uscito postumo nel 1992. Fino al 30 giugno 2024, l’itinerario della piccola mostra, «Atelier Morandi. Luigi Ghirri», trasporta il visitatore nella ricerca artistica di Morandi, colta in uno degli aspetti meno conosciuti fornendo un punto di vista intimo e approfondito sul particolare rapporto con lo spazio e la luce che accomuna i due artisti. Ghirri con il suo sguardo acuto ha saputo intercettare e restituire aspetti reconditi e peculiari della pratica morandiana splendidamente rappresentati anche dall’allestimento, a cura di Davide Trabucco. Percorso che recupera gli elementi del precedente allestimento studiato da Franco Raggi per l’esposizione «Felicissimo Giani», ospitata negli stessi spazzi.

Entrando nella prima stanza, siamo posti di fronte ad una serie di pannelli di feltro che ricalcano fedelmente la pianta dell’atelier di Giorgio Morandi, restituendone le dimensioni e proporzioni ridotte e immergendoci a 360° nel suo ambiente di lavoro. Confini all’interno dei quali è possibile ammirare le immagini scattate da Ghirri, collocate su supporti mobili di legno sbiancato, che guidano all’osservazione riproducendo i movimenti del pittore all’interno della stanza.

L’intero percorso è pensato per riprodurre l’ingresso e l’uscita dall’abitazione attraverso l’immagine della porta di accesso, oltre alla quale sorgono una serie di oggetti e superfici tipiche della pittura morandiana, rivolti al cortile e alla finestra dell’appartamento. Camminando sui feltri si avrà la sensazione di trovarsi veramente nello studio del pittore bolognese, in quanto i soggetti ritratti saranno collocati esattamente nella posizione originaria. Immortalati dalla fotocamera di Ghirri i barattoli, le brocche, i mazzetti di fiori, di carte e le bottiglie dipinte di bianco sembrano ancora avvolti dalla luce avvolgente e pacifica caratteristica delle nature morte di Morandi. Qui siamo accolti come ospiti che devono educatamente bussare all’uscio e attendere il padrone di casa, siamo invitati ad entrare accompagnati dal fotografo che ci scorta tra i cavalletti consumati, i residui di pittura, i frammenti di giornale e cataloghi appesi sulle pareti, su cui risalta una cartolina del ponte George Washington, appesa sopra una pagina strappata da un libro.  

La quiete domina l’atmosfera della mostra che si conclude con il filmato proiettato nella seconda stanza dei sotterranei e girato in occasione della mostra reggiana «Luigi Ghirri. Antologia 1972-1992» (25’). Il video narra le interpretazioni della sua fotografia anti-retorica tramite gli interventi di Paola Borgonzoni Ghirri, Gianni Celati, Arrigo Chi e Massimo Mussini, rafforzando il legame, ancor più che sentimentale e territoriale, formale esistente tra Ghirri e Morandi. Accomunati anche dalla grande conoscenza della storia dell’arte e dai riferimenti estetici tra cui Beato Angelico, Piero della Francesca e Cèzanne.

Per entrambi, individuare la forma delle cose sotto l’illuminazione naturale e interrogarsi continuamente sulla sostanza della propria arte è parte integrante del lavoro. Un aneddoto in particolare chiarifica l’importanza della luce per il pittore preso dalla disperazione per via della costruzione che era sorta difronte alle sue finestre, un imponente condominio giallo. Edificio che aveva alterato la quantità e la qualità della luce all’interno dello studio, condizione combattuta con un complesso sistema di telai orientabili costruiti da Morandi, con lo scopo di ristabilire una luminosità adatta e restituire alla sue nature morte ciò che l’urbanizzazione aveva loro tolto.

Con il suo occhio vigile e la mente lucidissima Ghirri amava la pittura di Morandi, in primis perché ci vedeva le tinte della tradizione pittorica italiana, e in secondo luogo per i suoi soggetti comuni che aspettano solo che qualcuno li riconosca. Alla lunga contemplazione degli oggetti polverosi, di solito di poco conto, protagonisti di una pratica pittorica che rilette sulla pittura stessa, si affianca la lenta osservazione dei luoghi e delle persone che trasforma la ricerca fotografica in un’analisi della fotografia, rivelando la stretta coincidenza fra i loro strumenti del mestiere. Verifiche e conferme linguistiche precedute da errori e perpetui ripensamenti che contrastano il rumore e la dinamicità degli anni Ottanta malvissuti dal fotografo.

Connubio di intenti e sensazioni restituito splendidamente nelle parole di Morandi: «Cosa vuoi, io mi trovo sempre a fare i conti con la luce e con l’aria di Bologna, che mi entrano dalla finestra. È così ogni stagione. Mi pare che d’estate, in genere, le cose vadano meglio. Allora, forse, le cose si lasciano vedere, si lasciano accostare di più. E la forma, dentro la luce, si mette d’accordo con qualcosa che è anche dentro di me» (G. Morandi, citato in G. Raimondi, «I divertimenti letterari», Mondadori, 1966).

Non servono altre parole per riassumere l’incredibile sintonia che lega gli immaginari visuali di Luigi Ghirri e Giorgio Morandi, in una sola frase è riassunto il contenuto dell’esposizione. Molte sono state le esperienze interessanti costruite a partire dalla pittura morandiana, eppure nessuna aveva colto con tale sincerità la sua anima così elevata e contemporaneamente così pura.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Il premio Palombini a Tarquinia, connettere antico e quotidiano attraverso la ceramica

Tarquinia, culla di antiche civiltà, continua a essere un crocevia di cultura e innovazione artistica grazie al lavoro della STAS (Società Tarquiniense d'Arte e Storia), da oltre un secolo custode del patrimonio artistico cittadino, e a iniziative come la mostra "Orizzonte Terra" e il Premio “Vasco Giovanni Palombini”.

Artuu Newsletter

Scelti per te

Seguici su Instagram ogni giorno