By Stefania Carrozzini
Dal 17 maggio fino al 29 settembre 2024, il Guggenheim Museum di New York presenta la mostra personale di Jenny Holzer: Light Line, una rivisitazione dell’opera d’arte storica dell’artista del 1989, curata e organizzata da Lauren Hinkson. Quasi trentacinque anni fa, Holzer (nata nel 1950 a Gallipolis, Ohio) creò un display LED a spirale per la sua mostra al Guggenheim Museum. L’insegna LED, che lampeggia mentre cambia colore, carattere ed effetti speciali, all’epoca era la più lunga del mondo ed è considerata un capolavoro dell’arte basata sul testo.
Il suo mezzo è la scrittura e la dimensione pubblica è parte integrante del suo lavoro. Il consiglio agli spettatori è rimasto lo stesso: per capire la sua opera basta leggere. Non occorrono testi esplicativi (infatti questa mostra non è corredata da catalogo e i critici sono avvisati: niente saggi). C’è solo un libro acquistabile stampato su carta traslucida, dove purtroppo i testi sono quasi illeggibili! (in compenso, allo shop del museo è possibile acquistare molti e gustosi gadget d’artista, dalle T-shirt alle felpe fino ai cappellini personalizzati, ndr).
La mostra è il frutto di un ambizioso progetto di ricerca che ha portato ad effettuare il reverse engineering dell’hardware LED con aggiornamento tecnologico del programma informatico del 1989. La lunghezza originale era di 163 metri e scorreva sopra tre anelli del museo, mentre questa versione del 2024 è di 274 metri e scorre su tutti i sei piani del Guggenheim per più di sei ore.
Light Line presenta anche una selezione di opere di Holzer dagli anni Settanta ad oggi, tra cui dipinti, opere su carta, targhe e pezzi di pietra. Lee Quiñones, uno degli ideatori della street art e collaboratore di lunga data di Holzer, è intervenuto con graffiti sulle pareti della High Gallery del museo sopra i colorati poster Inflammatory Essays dell’artista.
Si potrebbe pensare che in fondo il linguaggio di Jenny Holzer sia stato mutuato in qualche modo dal movimento dei graffiti, seppur in un modo più calcolato e meno viscerale. La differenza è la forza del segnale trasmesso come significato e il mezzo adottato, ovvero la tecnologia. Tra le sue opere più suggestive si ricordano la gigantesca scritta luminosa a Times Square, Protect Me From What I Want, e la scritta monumentale sopra il famoso casino Caesar’s Palace di Las Vegas, Money Creates Taste.
Nel corso degli anni, il linguaggio di Holzer è cambiato seguendo il corso del tempo e della storia, facendosi più politico, più cupo, più intenso e in altri casi più intimo e personale. Da I Cannot Breath (“Non riesco a respirare”, la tragica frase pronunciata daEric Garner, un uomo disarmato ucciso nel 2014 per soffocamento da un agente della polizia di New York, che, con l’omicidio di George Floyd, porterà alla nascita del movimento Black Lives Matter, ndr), a Destroy Superabundance (Distruggere la sovrabbondanza) fino a I Smell You On My Skin (Ti sento sulla mia pelle).
Ben presto, l’artista è passata da valutazioni laconiche sull’ingiustizia quotidiana (“Abuse of Power comes as no surprise”, “L’abuso di potere non è una sorpresa” è la più nota) ad affermazioni sconcertanti (“Being happy is more important then anything else”, “Essere felici è più importante di ogni altra cosa”); fino a battute ironiche (“Avere due o tre persone innamorate di te è come avere soldi in banca”).
“Truisms”, il primo lavoro di Holzer basato sul linguaggio, è emerso nell’arte concettuale della fine degli anni Settanta e nel post-Watergate, un contesto di disordine finanziario e degrado. Gli anni di Reagan che seguirono diedero origine a un lavoro critico e analitico rivolto al potere istituzionale.
Holzer ha iniziato ad inserire i suoi testi su cartelli elettronici all’inizio degli anni Ottanta, che spesso scorrevano troppo velocemente, creando un sovraccarico sensoriale.
Non possiamo dimenticare invece la sua pluripremiata installazione alla Biennale di Venezia del 1990, la prima mostra personale di un’artista donna nel Padiglione degli Stati Uniti. Si ricorda inoltre che i primi cartelli di Holzer sono antecedenti a più di un decennio di “The Crawl”, i newsfeed a scorrimento che corrono lungo la parte inferiore dello schermo nella copertura delle notizie via cavo. Holzer era decisamente molto più avanti…
Tornando alla mostra del Guggenheim, in alcuni passaggi, un mix di colori brillanti si accumula e si intreccia, ma, per la maggior parte del tempo, il segno procede in chiare lettere sans-serif e ha un flusso fluido. Le proiezioni dei testi si incorporano perfettamente nello spazio architettonico del museo e sono come un urlo che si rafforza a sua volta e sembra non avere fine. Come afferma la curatrice della mostra, Lauren Hinkson, il nuovo segno sembra “come se tu stessi bevendo le parole”.
Salendo sulle rampe, si incontrano i “Cursed”, una serie di piccoli fogli logori di vari metalli, quasi futuri reperti fossili dell’era digitale, su ciascuno dei quali è impresso uno dei tweet che Donald J. Trump ha iniziato a pubblicare subito dopo essere entrato in carica come il 45esimo presidente del paese. Poi i frammenti di alcune delle sculture a forma di panca che l’artista ha frantumato. Ma non c’è invece umorismo in un sarcofago di granito nero con inciso un passaggio da “Laments” di Holzer, una serie del 1988-89 dedicata all’AIDS, che si trova su una rampa, bloccando il passaggio.
C’è una vena comica in un dipinto del 2005 di un agente dell’FBI, un dossier sulla pittrice Alice Neel e un dossier su George Orwell, in cui nelle pagine in questione non viene menzionato.
Tra le opere inspiegabilmente non censurate di Holzer c’è una mappa ritagliata dell’Iraq dal periodo precedente all’invasione statunitense. Evidenzia esattamente quali sono i giacimenti petroliferi iracheni di cui gli Stati Uniti potrebbero impossessarsi.
Sulla rampa finale del museo, sette tele ricoperte di foglie d’oro rivelano alcune delle comunicazioni in preda al panico che rimbalzarono nella cerchia ristretta di Trump durante l’assalto del 6 gennaio 2021 al Campidoglio degli Stati Uniti.
L’elemento più pubblico di “Light Line” è la proiezione notturna sulla facciata del museo, di poesie scarne e strazianti di scrittori che Holzer apprezza da tempo, a cominciare da “If Not, Winter: Fragments of Sappho” di Anne Carson, e con la partecipazione di Wislawa Syzmborska, Anna Swirszczynska, Henri Cole, Yehuda Amichai e altri.
Sebbene Holzer agisca ora in un contesto politico diverso rispetto agli esordi, il suo lavoro rimane inconfondibile. Oggi lo scenario è cambiato: l’arte politica non può più garantirsi il consenso del suo pubblico. Il governo e le agenzie di spionaggio da lei esaminate, a differenza degli anni Ottanta, vengono ora attaccati tanto dalla destra quanto dalla sinistra. Non è compito di Holzer offrire soluzioni o una speranza. Anzi, lei afferma che l’ottimismo non è la sua specialità. Ma si può senz’altro fare luce con la parola e con l’arte per vedere la strada, una strada che a tratti sembra diventare sempre più buia. Soprattutto in tempi di elezioni.
(in copertina, foto by Stefania Carrozzini)