Il caso di Asunta Basterra Porto, una bambina di origini cinesi adottata Rosario Porto e Alfonso Basterra, è uno dei più scioccanti nella storia recente della Spagna. Il 21 settembre 2013, Asunta, allora dodicenne, fu trovata morta su una strada forestale a Teo, vicino a Santiago de Compostela. Le indagini portarono rapidamente a sospettare dei genitori adottivi, che furono arrestati e successivamente condannati a 18 anni di carcere per il suo omicidio, nonostante abbiano sempre proclamato la loro innocenza. Le prove contro di loro includevano il fatto che Asunta era stata sedata con un farmaco trovato nella loro casa.
Durante le indagini, emersero elementi inquietanti, come il racconto di Asunta di essere stata drogata dai genitori con una misteriosa polvere bianca e l’apparizione di un uomo mascherato che tentava di strangolarla, episodi che non furono mai denunciati dalla madre. Rosario Porto, la madre, che in passato aveva sofferto di crisi depressive ed era spesso sotto farmaci, si tolse la vita in prigione nel 2020, mentre Alfonso Basterra, tutt’ora in caercere, continua a dichiararsi innocente.
La miniserie “Asunta” su Netflix ricostruisce la vicenda in sei episodi, esplorando i dettagli del caso e le personalità dei genitori, e riflettendo la realtà dei fatti. Un verio e proprio legal drama, che ricostruisce le indagini, i dietro le quinte, le discussioni tra il giudice e gli investigatori, il processo e le reazioni della folla, addentrandosi anhe nella vita dei due genitori, nelle loro ambiguità e debolezze, e che riesce a essere sempre coinvolgente fino all’ossessione: lo spettatore è spinto a proseguire proprio per scoprire la verità, che sembra sempre sfuggire. Particolarmente importante è il quinto episodio, che presenta due ricostruzioni alternative dell’omicidio: una accusa Rosario, mentre l’altra coinvolge anche il marito. Quale delle due sarà quella vera? E perché è stata scartata l’ipotesi di un “terzo uomo”, nonostante alcuni indizi portassero in quella direzione?
Questo porta lo spettatore a formarsi una propria opinione e a speculare sui fatti in base alle personalità dei due accusati, interpretati brillantemente da Ren Hanami e Tristán Ulloa. La loro interpretazione cattura perfettamente la psicologia complessa di una coppia enigmatica e oscura, che difende la propria innocenza con una convinzione tale da sembrare spesso autentica, ma che non ne nasconde le ombre: i tradimenti di lei, le ossessioni di lui, lo strano rapporto che li lega malgardo fossero separati. Alla fine, entrambi i genitori vengono condannati a 18 anni di reclusione per l’omicidio della figlia adottiva, ma rimangono molte le domande senza risposta e i dubbi sulla loro colpevolezza. La serie enfatizza il mistero e le incongruenze del caso, spingendo lo spettatore a riflettere sulla verità e la giustizia. Inquietante e ipnotico, se iniziate a guardarlo non vi staccate più.
(A.R.)