Pietrasanta, bel suol d’amore. E che suol d’amore lo sia stata e probabilmente lo sia tutt’ora, questa cittadina morbidamente accasciata ai piedi delle Apuane, da anni mèta e luogo di raccolta, non solo estivo, della crème dell’arte contemporanea mondiale, ce lo dimostra la straordinaria e bellissima storia d’amore vissuta da Fernando Botero, “l’artista colombiano più grande di tutti i tempi”, come lo hanno definito in patria subito dopo la sua morte, sopraggiunta nel settembre di quest’anno, e la moglie, Sophia Vari (anche lei scomparsa, appena sei mesi prima del marito), pittrice di talento, come il marito, oltre che sua musa ispiratrice, fedele ed efficientissima assistente, oltre che compagna, amica, complice, donna di grande umanità e di altrettanto grande spirito. Una coppia, la loro, che ha segnato la vita pietrasantina da una quarantina d’anni, da quando cioè Botero scelse questa cittadina come una delle sue terre d’elezione (oltre a New York, Parigi, Montecarlo, e ovviamente Medellín, sua città natale), e nella quale aveva deciso di trascorrere una parte consistente dell’anno, tanto da meritarsi, nel 2001, la cittadinanza onoraria.
Ma perché parliamo di Pietrasanta e di Botero? Perché proprio qua, nella cittadina toscana, in questi giorni, come simbolica apertura della stagione estiva, l’Amministrazione comunale, col sostegno dell’Associazione dei commercianti pietrasantini Le Botteghe di Pietrasanta, ha organizzato una serie di celebrazioni in onore del suo concittadino più illustre (mentre anche Roma si prepara a celebrarlo con una grande mostra che si terrà dal 17 settembre 2024 al 19 gennaio 2025 a Palazzo Bonaparte, e che già da inizio luglio vedrà una serie di sculture e di opere monumentali sparse nelle principali piazze del centro storico, come “assaggio” della grande esposizione dell’autunno, ndr). La manifestazione principale si intitolava “Mi querida Pietrasanta” e ha visto diverse personalità concorrere e spiegare il lavoro di Botero, come Paola Gribaudo, editrice, da decenni amica della famiglia Botero e consulente dell’artista per la realizzazione dei suoi libri e dei suoi cataloghi, e Vittorio Sgarbi, che ha tenuto una lectio magristralis sulla pittura del maestro di Medellín (qua il discorso completo del critico, ndr). Ma che rapporto hanno avuto Botero e la moglie Sophia Vari con Pietrasanta? Che vita facevano, che cosa li legava a questa città, alla sua gente, alla sua piazza e al meraviglioso paesaggio che la circonda? Per saperne di più, abbiamo rivolto alcune domande a Paola Gribaudo, che di Botero e di Sophia Vari è stata amica e compagna di avventure artistiche per diversi decenni.
Quando e come hai conosciuto Fernando Botero?
L’ho conosciuto nel 1987, a Milano. Eravamo io e mio padre a mangiare al Savini (storico ristorante in Galleria Vittorio Emaniele, ndr), quando abbiamo visto che, alcuni tavoli più in là, c’era Botero a cena con delle persone, che poi scopriremo essere i suoi mercanti della galleria Marlborough, con cui a quel tempo l’artista lavorava. Mio padre, che lo aveva già conosciuto in passato, si è avvicinato al tavolo e ha cominciato a chiacchierare con lui. Così, di chiacchiera in chiacchiera, è venuta fuori l’idea di realizzare una monografia sul suo lavoro: infatti a quel tempo mio padre dirigeva la storica collana delle “Grandi Monografie” della Fabbri, e Botero era un artista che vi avrebbe inserito molto volentieri. Ai suoi mercanti l’idea piacque molto, così cominciammo a pensarci. Siccome il giorno dopo l’artista avrebbe inaugurato la mostra sulla Corrida al Castello Sforzesco, io rimasi a Milano e partecipai alla cena di inaugurazione, e piano piano l’idea del libro divenne sempre più concreta. Quello della Fabbri non sarà che il primo libro che feci con Botero, perché, da quel momento, lui volle sempre affidare a me la cura dei suoi libri e dei suoi cataloghi, e nel corso del tempo ne realizzai più di quaranta, con editori di tutto il mondo.
Come si è svolto il lavoro sul primo libro?
Abbiamo continuato il lavoro a Parigi, dove Botero mi ha consegnato tutte le foto da pubblicare. Successivamente ci siamo incontrati a Pietrasanta, nella sua casa sulla Via della Rocca, sopra il Duomo, dove da qualche tempo aveva cominciato a trascorrere diversi mesi all’anno. Qui abbiamo impaginato il libro alla vecchia maniera, come si faceva una volta: spargendo tutte le foto per terra in cucina, in camera da letto, per tutta la casa, per fare il menabò e avere una visione completa di come sarebbe stata la struttura del libro. Perché, mi ha spiegato quella volta Botero (ed è stata una lezione che ho tenuto a mente per tutta la vita), quando si impagina un libro, è importante che abbia un forte rigore dal punto di vista scientifico, ma ancora più importante è che le foto stiano in armonia tra di loro, che nello sfogliarlo si avverta un ritmo d’insieme. Botero mi ha insegnato che, in un libro, l’armonia è fondamentale, sia nei colori che nelle forme. Questa esperienza è stata molto significativa per me, sia a livello professionale che personale.
Dopo quel primo libro, avete continuato a collaborare?
Assolutamente. Dal 1987 fino a quando è mancato, ci siamo sempre visti e frequentati. In totale, ho lavorato su una quarantina di libri con lui, tra monografie, cataloghi e ristampe, per vari editori in tutto il mondo, come Rizzoli e Cercle d’Art. Botero mi ha fatto seguire molti dei suoi progetti editoriali, specialmente quando doveva realizzare cataloghi in paesi come Argentina e Uruguay, dove non si fidava completamente del controllo della qualità locale. Ho ancora un cassetto pieno di fotocolor delle sue opere…
Qual era il rapporto di Botero e di Sophia con Pietrasanta?
Botero e sua moglie erano profondamente legati a Pietrasanta. Sono stati tra i primi artisti a stabilirsi lì, e io stessa ho conosciuto Pietrasanta grazie a loro. Ogni anno, a luglio, ci incontravamo lì, seguendo quasi un rito: ci vedevamo in uno dei bar che si affacciano sulla piazza, pranzavamo insieme, lavoravamo nel pomeriggio e poi cenavamo insieme la sera. Botero aveva uno studio proprio sotto casa sua a Pietrasanta, un luogo piccolo ma molto curato. Sophia, invece, aveva anche uno studio un po’ più grande, vicino alla stazione.
Com’era la loro casa?
Era una vecchia casa di campagna, non grande ma molto piacevole, arredata in maniera semplice ma con molto gusto.
Com’era la loro vita quotidiana a Pietrasanta?
Botero e Sophia erano persone molto affabili e aperte, che socializzavano con tutti, dai grandi collezionisti internazionali, a imprenditori, aristocratici, politici, o addirittura agli esponenti delle grandi famiglie reali, che spesso erano invitate alle sue mostre, fino agli operai delle fonderie. Ricordo le grandi cene organizzate in occasione delle sue mostre, potevi trovare riuniti quelli che avevano fatto l’allestimento assieme ai Vip, ai mega collezionisti, alle teste coronate… anche le loro serate a Pietrasanta erano caratterizzate da una grande convivialità e semplicità, senza alcuna distinzione sociale, li potevi vedere ogni sera prima in uno dei bar, poi in uno dei ristoranti della città, chiacchieravano e parlavano con tutti. Botero era una persona molto generosa e amata, la sua popolarità era alimentata anche dalla sua simpatia umana e dalla sua grande disponibilità.
Che tipo di persona era Botero nel suo lavoro e nella vita privata?
Botero era estremamente disciplinato e dedito al suo lavoro. Lavorava tutti i giorni, inclusi sabato e domenica, e Sofia organizzava tutto il resto della loro vita. Era un uomo colto, con cui si poteva parlare di qualsiasi cosa, dall’arte contemporanea agli eventi culturali internazionali, dalla cucina alla filosofia. L’unica cosa di cui non era interessato a parlare era delle critiche negative che a volte gli capitava di ricevere… non gli importava nulla, diceva, se non sempre era apprezzato nel sistema dell’arte, il suo obiettivo era il lavoro, gli altri pensassero quello che volevano. Diceva sempre che avrebbe voluto morire nel suo studio, con il pennello in mano…
E com’era il loro rapporto di coppia?
Fernando e Sophia erano molto legati, erano complici in tutto. Sofia rispettava profondamente i tempi e le esigenze lavorative di Botero. Lui lavorava fino alle otto di sera, dopodiché si riunivano per la cena. Lei era la mente organizzativa, gestiva tutto, dai viaggi alle cene, permettendo a Botero di concentrarsi completamente sul suo lavoro. Formavano una coppia armoniosa, naturale, molto semplice e umana, lontanissima da qualsiasi forma di affettazione e di snobismo. Amavano la buona cucina, bere buon vino, stare in compagnia. E tra di loro, fino alla fine sono rimasti sempre molto attaccati, non era raro vederli scambiarsi delle tenerezze, anche in pubblico…
Poi c’era la sua grande famiglia, a cui era molto legato…
Per lui la famiglia era importantissima, ogni estate si riunivano tutti, figli, nipoti, tutti quanti. All’inizio non erano in molti, poi, con il crescere della famiglia, diventavano sempre più numerosi. Ricordo di avere assistito di recente a una riunione di famiglia, a Pietrasanta: tra figli, cugini, zii e nipoti, in tutto erano 25, 30 persone… ed erano tutti molto legati, un vero clan, affiatatissimo.
Tu lo hai seguito anche quando ha realizzato gli affreschi nella Chiesa della Misericordia, sempre lì a Pietrasanta…
Certo, mi ricordo molto bene quel periodo. Lui veniva dalla tradizione colombiana, dove ci sono tante chiese e tutte molto colorate, piene di immagini. E così, quando ha visto questa chiesetta a Pietrasanta, che aveva bisogno di un po’ di colore e aveva le pareti vuote, prive di opere, si è offerto di fare due affreschi, uno che rappresentasse il Paradiso e l’altro l’inferno.
Volle fare proprio gli affreschi con la tecnica del “buon fresco”, che lui aveva imparato quando frequentava l’Accademia a Firenze. Era un modo per lasciare un’impronta duratura a Pietrasanta, seguendo una tradizione pittorica religiosa ispirata ai grandi altari barocchi della sua Colombia, ma utilizzando la tecnica dei grandi pittori rinascimentali italiani. Poi, da quell’artista creativo e ironico che era, ci mise un pizzico di divertimento… e, se nel Paradiso ci mise Madre Teresa di Calcutta, nell’Inferno non solo ci mise Hitler che abbrustoliva in mezzo alle fiamme, ma anche… se stesso. Come a dire: in fondo, di fronte al cospetto del Signore siamo tutti uguali, non siamo altro che dei poveri peccatori…