Ancora pochi giorni restano per visitare l’Ospite illustre in esposizione presso le Gallerie d’Italia a Napoli, rassegna giunta alla sua quattordicesima edizione e che per il 2024 ha portato Il martirio di Sant’Orsola di Caravaggio a Londra e L’Immacolata Concezione e San Giovanni Evangelista del Velázquez a Napoli per l‘evento Velázquez. Un segno grandioso, progetto espositivo di Intesa Sanpaolo e Gallerie D’Italia in collaborazione con la National Gallery nell’ambito di Progetto Cultura.
Uno scambio temporaneo da inserire in un contesto ben preciso, la richiesta della National Gallery di Londra di avere per la celebrazione del proprio bicentenario, l’opera di Caravaggio per la mostra The last Caravaggio.
Il Direttore Generale delle Gallerie d’Italia Michele Coppola, nel sottolineare questa sinergia, dichiara come sia “circostanza straordinaria che nasce da un lungo legame di amicizia, scambio e condivisione”, esaltando il ruolo determinante svolto da Banca Intesa Sanpaolo, proprietaria dell’intero patrimonio artistico delle Gallerie d’Italia e che gioca a favore di questo rapporto di fiducia con la prestigiosa galleria londinese.
Collocati nella stanza della prima stagione naturalistica tra Roma e Napoli, sulla parete dove è solitamente esposto il Martirio di Sant’Orsola, i due dipinti dell’Immacolata Concezione e San Giovanni evangelista, offrono uno spunto per alcune considerazioni sull’influenza che ha avuto la pittura locale dei primi del Seicento sullo stile del maestro sivigliano.
In almeno due occasioni è testimoniata la presenza di Velázquez a Napoli, all’epoca capitale del Viceregno spagnolo, la prima per studio tra il 1629 e il 1631 e la seconda in qualità di soprintendente alle opere d’arte delle residenze reali, sotto Filippo IV, tra il 1649 e il 1651.
L’allestimento di Daniel Sobrino Ralston, curatore della pittura spagnola per la National Gallery, ha previsto l’accostamento a questi due capolavori del maestro spagnolo, di due opere locali, raffiguranti l’Immacolata Concezione, dipinte nei primi trent’anni del Seicento da Battistello Caracciolo e da Paolo Finoglio, aiutando in questo modo il lavoro di ricerca delle affinità tra l’opera del giovane Velázquez e il naturalismo caravaggesco, all’epoca molto di voga tra i pittori della penisola.
Sebbene l’influenza della pittura spagnola dell’epoca, sui pittori italiani e del Viceregno, fosse non documentabile, come spiegava Roberto Longhi quando affermava nel 1930 che “noi italiani, i nostri possedimenti d’arte spagnola del più bel tempo (dal Greco a Goya) li potevamo contare sulle dita”, definendo questa eredità come “un bottino assai magro”, potrebbe essere vero e documentabile il contrario.
Certo è che le opere di Jusepe de Ribera (lo Spagnoletto), pittore valenciano stabilitosi definitivamente a Napoli dal 1616, fossero state da vicino ammirate dal Velasquez, specialmente a ridosso del primo viaggio del maestro sivigliano a Napoli.
Così come è molto probabile che l’attenzione del soprintendente di Filippo IV si sia soffermata sui lavori di Battistello Caracciolo.
“Quel senso ch’è singolarissimo del Caracciolo di una mirabile integrezza corporea, cui tuttavia si apprende, e per la gravità dei gesti e per quelle luci che sembran sudare ferme su carni di bronzo patinato, una malinconica cupezza”, così descrive Roberto Longhi lo stile del pittore napoletano, in un esercizio di perfetta sintesi, riuscendo a descrivere gli umori di un’epoca, lasciando intuire come il Caracciaolo fosse stato condizionato dallo stile della “nuova” pittura lombarda, tra luci puntate e zone d’ombra, e quella capacità di esprimere le tensioni psicologiche tramite la gestualità e le atmosfere illuminate da una luce naturale, tra chiari e scuri drammatici sui soggetti dipinti, alla maniera del Caravaggio.
Va ricordato che negli anni della Controriforma, i canoni della pittura espressi dal Concilio di Trento durante la seconda metà del Cinquecento, imponevano rigide regole di compostezza, centralità della figura sacra, spiritualità solenne, astrazione e allontanamento totale dal terreno, per quelle che erano le opere di religione, destinate alle chiese o a committenti devoti che spesso si facevano inserire nelle opere tra nuvole e cherubini, prima di donarle alle chiese per ricevere in cambio indulgenza.
Accuse di eresia scaturivano dal mancato rispetto delle regole, bisognava quindi dover cancellare il lavoro fatto per riproporlo svuotato dal profano, secondo i canoni della chiesa cattolica romana. Ai pittori non restava che conservare nel proprio studio le bizzarrie della realtà, gli esperimenti di naturalezza e levigare quanto più e possibile le sembianze delle figure sacre dipinte per le importanti committenze.
Ed è evidente che, osservando le tre tele esposte con l’effige dell’Immacolata, sì avverte il peso dei limiti imposti. La ieraticità della Vergine incombe su tutto il resto, ma alcuni elementi vanno letti come chiari segnali di fuga.
Nella tela dipinta tra il 1618 e il 1619 da Velázquez, la componente del paesaggio naturale, rivela un’ambientazione reale, oscura.
Lo sfondo, dai toni notturni per dare centralità all’unica vera protagonista, richiama alla memoria certa pittura del Rinascimento veneziano, quindi di un secolo antecedente, tra Giorgione e Lorenzo Lotto, in cui però si sono spente le luci e in uno stile tutt’altro che riferibile a quello praticato dal Caravaggio che invece azzerava qualsiasi profondità cancellando la prospettiva.
Nello stesso soggetto dipinto tra il 1630 e il 1631 da Paolo Finoglio, le luci e i colori giallo e oro, la totale sospensione in una dimensione ultraterrena dell’apparizione tra putti e cherubini, tipica degli stucchi barocchi, il paesaggio naturale che si esaurisce relegato sul basso, leggermente sfocato, suggeriscono maggiore appartenenza ad uno stile locale, che in realtà elabora le suggestioni naturaliste lombarde nella rappresentazione dei volti.
In entrambi questi dipinti in effetti, la componente verista o naturalista è evidente nei tratti dei volti delle due Vergini, così umane e reali da non riuscire a nascondere del tutto la loro appartenenza all’umanità, come nei ritratti di persone comuni.
Qualcosa di diverso accade nella terza tela, che sembra la più bella delle tre rappresentati l’Immacolata, dipinta da Giovanni Battista (Battistello) Caracciolo, circa un decennio prima rispetto quella del Finoglio e forse contemporanea a quella del Velasquez.
Come già anticipato con la citazione del Longhi, qui la realtà si ferma, l’astrazione ultraterrena è prevaricante e perfettamente riuscita nell’imposizione della Madonna, i canoni tridentini rispettati con vigore.
La Vergine fa la sua epifania trasportata da una piccola nuvola, sospesa in una dimensione notturna, buia e in cui non si intravede il paesaggio, così grande e in una veste totalmente bianca da abbagliare e da farla sembrare statuaria.
L’imponente frontalità dell’apparizione è tuttavia aggraziata dalla resa delle luci naturali, che irradiano da sinistra la figura, dando l’impressione che stia venendo fuori da un anfratto buio, senza profondità o prospettiva, esattamente come faceva il Caravaggio nelle sue raffigurazioni da osteria.
I panneggi sono leggeri, mossi dallo spostamento, questa rappresentazione dell’Immacolata è travolgente, e nonostante non abbia nella bellezza indiscutibile di quel viso qualcosa di terreno, la sua naturalezza le proviene dall’immersione nella penombra di una illuminazione naturale.
Sembra che il Caracciolo, come il maestro lombardo, dipingeva soggetti a luce di fiaccola o di candela. In tutti e tre, quindi, la lezione naturalista lombarda e profana, è presente, anche se in minima parte in queste rappresentazioni destinate al sacro.
La ricerca dell’attitudine al vero è alla base della singolare bellezza di queste opere, nonostante la forte ieraticità della Vergine e questo tentativo di raffigurare il vero appare ancora più forte, osservando entrambe le tele del Velázquez esposte, l’Immacolata Concezione e il San Giovanni Evangelista sull’isola di Patmos.
Quest’ultimo scorto nel momento in cui, in alto a sinistra in piccolo, gli appare la Madonna mentre si avvicina (la stessa che poi il pittore spagnolo raffigura in grande sulla tela principale) e nell’atto di registrare l’evento sul Libro della Rivelazione.
La trovata innovativa dei due quadri elaborati per essere uno il pendant dell’altro e in cui il secondo comunica con il primo tramite lo sguardo del santo, è un ulteriore segno di quanto fosse piena di energie innovatrici la pittura del maestro sivigliano.
Il volto del santo rappresentato da Velázquez immerso nella natura e in veste bianca, nel periodo del suo esilio a Patmos per volere di Domiziano, è talmente reale da sembrare in maniera spudorata il ritratto di una persona in confidenza con il pittore, utilizzata come modello.
Come nel caso del volto della Vergine, si è avvalso di due modelli giovani, ma l’espressività naturale del volto del santo, tradisce l’appartenenza a questo mondo in maniera spudorata e lo stile rapido del ritratto, fatto in velocità col pennello , dà a questa composizione un forte carattere di novità e rottura con i canoni pittorici del passato, ed è un tratto che ritroveremo a distanza di più di un secolo ed elaborato in chiave ancora più moderna dal pittore spagnolo Francisco Goya.
Se è vero da un lato che la lezione verista della pittura lombarda abbia fatto presa sui pittori dell’epoca, grazie sopratutto alle suggestioni del Caravaggio, è altrettanto vero che ciascuno di loro lo avrà elaborato mantenendo forte il proprio stile, risultato di esperienze personali anche differenti, ma anche di incontri con altre personalità, come Guido Reni o Artemisia Gentileschi che lavoravano molto a Roma, vero centro di incontro tra artisti impegnati nelle grandi committenze.
In conclusione, Velázquez seppur influenzato dal gusto e dallo stile della pittura vista in Italia e trasferita in Spagna, da Milano a Napoli passando per Roma, ha un modo di fare pittura talmente esclusivo, che viene difficile paragonarlo con quello del Battistello, dello Spagnoletto, del Finoglio o del Caravaggio, che è a sua volta altrettanto riconoscibile.
Così diverso nel modo di lavorare, disegnando direttamente tramite il pennello e con un’incredibile velocità di esecuzione, senza nulla togliere al più tormentato e libero maestro lombardo, che resta impareggiabile nella rappresentazione del vero e delle tensioni psicologiche.
La mostra Velasquez. Un segno grandioso, è tutt’ora visitabile presso le Galleria d’Italia a Napoli in via Toledo, e resterà a fruibile ancora fino al 14 luglio.