Era esattamente l’estate di 15 anni fa, nel 2009, quando conobbi Yoshitomo Nara, nella città dove ha studiato, e che caratterizza la sua formazione, Nagoya, nella prefettura di Haichi, dove ha frequentato l’università di arti e musica, una città importante ma meno blasonata di tutte quelle note in Giappone, che si trova tra Osaka e Tokyo. Da lì viene la cultura degli Shogun (letteralmente “comandante dell’esercito”, era usata come appellativo per indicare i dittatori militari che governarono il Giappone dal 1192 al 1868, ndr), come Tokugawa Ieyasu. L’occasione era una sua mostra personale, che il museo d’arte di Aichi gli dedicava, con focus proprio sulla sua formazione e ricerca dagli inizi al primo decennio degli anni Duemila.
In quell’occasione conobbi lui e il suo maestro, Nobuya Hitsuda. Me lo presentò Tomoko Nagao, artista di Nagoya di cui ho seguito e curato il lavoro per molti anni, che a sua volta è stata allieva di Nara, ora attiva a Milano tra le maggiori esponenti dell’arte japan-Pop in Europa.
Del maestro di Nara mi avevano raccontato molte cose: delle importanti influenze che ha lasciato ai suoi studenti, e di come ha sempre insegnato certa cinematografia in stile Tarantino o della saga cult Karate Kid; del resto, l’importanza del Maestro in Giappone è nota e riconosciuta come un valore indiscusso. E Hitsuda è stato un maestro che ha tanto ammirato e studiato l’arte contemporanea italiana, il cosiddetto informale europeo, fino alla Transavanguardia, all’ammirazione per Mimmo Paladino, e anche agli esponenti dell’Arte povera e del concettuale. Passione che seppe trasmettere al suo miglior allievo, e in effetti alcune di queste cifre si vedono in Nara, vivide fino al ciclo di disegni e sketch di fine anni Ottanta ai primi anni Novanta. Tuttavia, avendo studiato anche in Germania alla Kunstakademie Düsseldorf, evidentemente Nara apprende e acquisisce una sensibilità “politica” e di controcultura meno presente in Giappone. Tutto questo è oggi visibile nella bella e amplia retrospettiva al Guggenheim di Bilbao, “Yoshitomo Nara”, aperta fino al 3 novembre.
Si può parlare dello stile di Nara, classe 1959, noto per le sue sorprendenti immagini di bambini dalle teste e dagli occhi grandi, talvolta imbronciati o malinconici, come di un superflat e Japan pop di matrice nagoyana, contrapposto al superflat di Tokyo, più di tendenza statunitense, rappresentanto da Takashi Murakami. Il termine superflat si riferisce alla tecnica pittorica, ovvero è il risultato di una sovrapposizione e stratificazione pittorica, à plat, molto meticolosa, dove ogni colore viene reso dallo strato di pigmento o acrilico applicato, una tecnica che pare quasi essersi evoluta da quella maestria che usavano Tiziano e Giorgione, nel cosiddetto Rinascimento veneto. A una mia domanda, durante la visita alla mostra, in merito alla sua formazione e alle possibili influenze dell’arte italiana sulla sua pittura, Nara mi ha risposto sottolineando la grande fascinazione subita dall’arte italiana, con la mancanza di ombre marcate e contrastate nelle sue opere, riferendosi a Piero della Francesca, e ai grandi cicli di affreschi di Giotto nella Basilica Superiore di Assisi, dicendomi che “anche l’ombra è colore”.
E, vedendo dal vivo le sue opere, nella bella e lungimirante retrospettiva del Guggenheim, è certamente possibile riconoscere la grande raffinatezza della sua pittura, difficile da individuare, invece, semplicemente conoscendo le sue opere attraverso internet, dal momento che i soggetti di Nara si prestano molto a diventare “figurine” instagrammabili.
Qua, infatti, nella mostra al Guggenheim di Bilbao, è possibile vedere una raccolta di grandi tele e disegni che ha lasciato sorpresi molti che non lo conoscevano in maniera approfondita, perché ha certamente un impatto molto diverso il poter vedere la sua maestria, la pennellata, la meticolosità, la precisione e la tecnica che l’artista utilizza nella pittura. Anche questo, oltre alle immagini seducenti e facilmente riconoscibili, costituisce la grande forza di questo artista, facendone uno dei maggiori esponenti dell’arte contemporanea, finalmente riconosciuto e celebrato a livello mondiale, per il japan-pop, il kawaii e il superflat. Artista completo e poliedrico, la maestria di Nara si può apprezzare anche nelle bellissime sculture, realizzate sia in frp (fibre a matrice polimerica, ndr) che in terracotta, dalle opere a tecnica mista fino alle grandi installazioni, e con una numerosa e fertile produzione di merchandising e oggettistica.
Un animo sensibile e gentile dal cuore pulsante Punk-Rock
È proprio per il fatto di aver studiato in Germania che Nara ha anche assimilato una grande influenza Punk-Rock. È difficile pensare a come un artista che rappresenta soggetti così kawaii, carini amorevoli, vestiti in stile KIGURUMI (pigiama-cosplay che riprende pupazzi, orsetti, o figure di manga e anime, ndr), bambini, bambine e pet dai grandi occhioni, languidi e a volte chiusi e sognanti, possa avere un’anima radicalmente punk, ma è così. Lo vediamo chiaramente nei riferimenti ai Ramones, sua band preferita, ai quali dedica un ciclo di opere e disegni con grandi scritte “HEY-HO Let’s GO”.
Altro aspetto rilevante è il fatto di saper trattare in modo “soft” e kawaii (cute, amorevole e grazioso, ndr) tematiche di attualità e politica internazionale, citando anche problematiche di carattere sociale dei giovani, come il fenomeno Otaku (subcultura giapponese di appassionati di fumetti, cartoni animati, ndr) e quello degli Hikikomori (i giovani che si ritirano dalla vita sociale chiudendosi in casa, ndr), con una denuncia diretta della violenza subita dalle categorie cosiddette fragili, ma senza mai alzare il tono o rappresentare l’orrore direttamente, evocando, piuttosto, e restituendo temi crudi e sensibili con soggetti “cute” ma ”incazzati”, a volte con la testa fasciata o alienati, con un’arma da taglio o una chitarra elettrica in mano e una giacca con un grande lettering “FUCK YOU”, bambini e bambine “irriverenti”, con scritte, a volte anche sulle t-shirt che indossano, o sotto forma di scritte sui muri, con frasi dure e molto dirette, come “STOP THE BOMBS”, “NO NUKE” e altre frasi contro la guerra, a favore della cura e salvaguardia dell’ambiente o per i diritti umani.
Il numero di opere raccolte in questa retrospettiva (concepita appositamente per lo spazio della galleria del Museo, e che successivamente si sposterà a Baden-Baden e a Londra), è impressionante: si va dai primi disegni e agli sketch appartenenti al periodo della scuola d’arte a Nagoya, fino alle opere realizzate quando l’artista frequentava l’Accademia di belle arti in Germania, e alla sua ricerca che va via via maturando, con un punto di arrivo e di profonda riflessione che è possibile notare nelle opere realizzate durante il periodo 2011-12, con lo Tsunami che causò la tragedia di Fukushima e il terremoto nel nord del Giappone, devastando chilometri di costa e di risorse agricole. Infatti nella produzione di Nara è molto presente anche il tema dell’ambiente, al quale l’artista è molto sensibile, vivendo proprio in una campagna nel nord del Giappone, tra una natura rigogliosa e una ricca e antica cultura agricola, non vessato dalle frenesie della megalopoli. Un rifugio, il suo, che rivediamo suggerito nella poetica installazione My Drawing Room… del 2008, ricostruita in mostra per l’occasione. Un rifugio ideale, contro le difficoltà e le contraddizioni del mondo contemporaneo.