Continua la nostra indagine sulla Generazione Zeta, lanciata dal nostro collaboratore Gianluca Marziani dalle pagine di questo giornale (Gianluca Marziani: “Nel nome del mio Berni, l’Amorista, vi dico che i ragazzi oggi sono liberi, meravigliosi, i soli e veri rivoluzionari”), e proseguito con un articolo di Giovanna Lacedra (Avere vent’anni nel 2024, che generazione è mai questa? Il dibattito è aperto), e con la prima parte dell’inchiesta, condotta sempre da Giovanna Lacedra, sul tema dell’identità sessuale (Generazione Z e libertà di espressione sessuale pt. 1).
Qui di seguito pubblichiamo la seconda parte dell’indagine, in cui parlano alcuni dei ventenni di oggi.
di Giovanna Lacedra
Quando ero adolescente io, nei primi anni Novanta, parlare di orientamento sessuale, omosessualità, bisessualità, identità di genere, era molto più che un tabù.
Oggi, per fortuna, molti steccati sono caduti e molti pregiudizi sul tema della libertà di espressione circa la propria identità sessuale sono spariti, sia nella società in generale sia, soprattutto, all’interno della generazione di chi oggi ha 18 o 20 anni.
Ho chiesto ad alcuni miei ex studenti, ragazzi e ragazze che stanno terminando il liceo o che stanno vivendo gli anni dell’università, tutti figli della Generazione Z, quanto oggi a loro parere sia difficile riconoscere e manifestare il proprio orientamento sessuale e cosa si può e si deve ancora fare affinché queste difficoltà si dissolvano completamente.
A voi, dunque, l’autenticità delle loro voci:
“Credo che al giorno d’oggi, tra noi giovani, il fatto di avere un orientamento sessuale diverso da quello etero appaia come una cosa normale, non più come un difetto. Credo che la facilità con cui oggi si riesce ad esprimere la propria identità di genere dipenda molto anche dalla personalità del singolo, in quanto siamo noi i giudici più severi di noi stessi. Sono convinta che nella maggior parte dei casi, la paura di essere giudicati sia di gran lunga superiore a ciò che veramente gli altri possono pensare di noi. A volte ho come l’impressione che essere gay o lesbiche sia oggi quasi più consueto e normale per i ragazzi e le ragazze eterosessuali, dell’essere etero”. (Asia, 17 anni)
“Direi che oggi, riconoscere il proprio orientamento sessuale è molto più facile di un tempo. Il fatto che tale argomento venga sempre più affrontato sulla base del rispetto reciproco permette ai giovani di oggi di non sentirsi in difetto e di conoscere in prima persona, e con maggior consapevolezza, lo spettro della propria sessualità. Ovviamente i passi da fare sono ancora tanti. Sono ancora in molti quelli che additano i gay coltivando odio. Il dialogo, però, è a mio avviso sempre più aperto, efficace e propositivo. Pian piano ci avviciniamo a un futuro sempre più inclusivo. Perché le difficoltà si dissolvano è necessario sensibilizzare, con interventi educativi da svolgere a casa come a scuola. Personalmente mi piace pensare che non sia necessario fare coming out; l’attrazione è attrazione a prescindere da tutto. Non ho mai sentito di persone che facessero coming out dicendo di essere etero! Per quale motivo allora uno dovrebbe dichiarare di essere gay?”. (Mattia, 17 anni)
“L’amore è una questione talmente personale, intima e di delicata trattazione che non so nemmeno per quale motivo noi esseri umani cerchiamo di dargli una qualche etichetta. Siamo fatti così, cerchiamo sempre di razionalizzare il più possibile tutti gli aspetti della nostra vita, anche quelli che dovrebbero essere guidati solo ed esclusivamente dal cuore. La società ci obbliga a definire con un nome, un acronimo o una sigla, anche il sesso verso cui siamo attratti. Io lo trovo insensato e ritengo che fare coming out sia un qualcosa di riduttivo. Eppure, sembra che questa azione sia necessaria per gli eterosessuali. Fortunatamente oggi, rispetto anche solo agli anni Novanta, è possibile fare coming out senza essere fucilati in mezzo alla strada, come accadeva invece in alcune parti del mondo. Credo che bisognerebbe affrontare la questione in modo molto più libero, senza dover sempre cercare di dare una spiegazione. Sì, sono una donna e sono attratta da altre donne, e allora? Dov’è la necessità di “confessare” ciò? Io stessa sono una persona “non eterosessuale”, unica etichetta che mi permetto di attribuirmi; non so se dovrei definirmi bisessuale, pansessuale o utilizzare una delle tante altre etichette in circolo. Quando mi viene posta la classica domanda rispetto al mio orientamento sessuale, infatti, la mia risposta è sempre la stessa: io mi innamoro dell’anima di una persona, non mi importa di cosa abbia tra le gambe. Personalmente non ho avuto problemi a fare coming out, proprio perché non l’ho fatto: semplicemente un giorno ho confessato ai miei genitori di provare dei sentimenti nei confronti di una ragazza, cosa che non era ancora successa nella mia vita. Non ho avuto problemi nel farlo e nemmeno nel reagire alla loro reazione scettica: è un problema loro la “non-accettazione”, è una loro battaglia contro la loro chiusura mentale; non è un mio problema. Il consiglio che posso dare a tutti coloro che sono nella mia stessa situazione è questo: siate voi stessi e ricordatevi che ciò che crea disagio ad altri non è un problema vostro, ma loro. L’amore non necessita di giustificazioni“. (Giulia, 20 anni)
“Al giorno d’oggi si parla tanto di “orientamento sessuale” e “identità di genere”, molto spesso non conoscendone appieno il significato o la differenza ma pensando che sia una nuova moda dei giovani, un nuovo passatempo per creare più problemi agli adulti e farli così sentire più distanti dalla nostra generazione. In realtà questi due concetti sono sempre esistiti, ma invece di star qui a convincervi che tutto ciò facesse già parte della realtà dell’uomo, che tutto questo facesse già parte della “normalità” che tanto si vuole proteggere e definire secondo gli standard sociali e le regole politico-religiose di questi tempi, preferirei avvicinarvi a questa nostra generazione sotto un preciso aspetto che spesso viene ignorato: l’ascolto attivo. A voi genitori, insegnanti, lavoratori e adulti, che tutti i giorni entrate in contatto con la generazione Z, chiedo se vi siete mai posti nell’ottica di poter imparare qualcosa dalle nuove generazioni. Perché a noi è sempre stato insegnato il rispetto per il “ruolo”, il “ruolo del genitore” che ti deve educare alla vita, il “ruolo dell’insegnante” che ti deve impartire nozioni storiche, il “ruolo del datore di lavoro” che ti deve spiegare per esperienza il mestiere, ma voi avete mai pensato al “ruolo del più giovane”? Parlo di un ruolo che ovviamente non si identifica in un ambito specifico bensì è in ogni luogo, in ogni tempo, in ogni contesto, perché il “più giovane” ci sarà sempre. Ecco se ci mettessimo nell’ottica di imparare dal più giovane, scopriremmo moltissime nuove nozioni, concetti che non conoscevamo. Al giorno d’oggi, l’orientamento sessuale così come l’identità di genere, sono argomenti estremamente importanti e significativi per noi ragazzi perché rappresentano la libertà che tanto cerchiamo per noi stessi e per chi ci circonda. Libertà che non significa “mancanza di regole” ma rispetto per chi sei e chi vuoi essere. Continuo a non capire l’interesse di alcuni nei confronti della vita intima di altri, continuerò a non capire perché io “ragazza eterosessuale” non debba sentirmi a disagio nel raccontare un’esperienza con un ragazzo mentre un mio amico gay sì. E continuo a non accettare il coming out come passaggio doveroso, perché nessuno deve sentirsi in obbligo di essere accettato in base al suo orientamento sessuale. Quando ero al liceo sono stata l’amica scelta per il coming out di due miei amici, un ragazzo e una ragazza, e mi ricordo esattamente quel momento di ansia e angoscia che stavano provando nel rivelarmi una cosa che non avrebbe assolutamente cambiato nulla. Ecco, io vorrei tanto che questa sensazione non venisse più provata da nessuno nel rivelare una cosa tanto bella e normale; io non l’ho provata e non vorrei che la provassero nemmeno i miei figli. Mi sembra incredibile che il giudizio verso una persona possa cambiare sulla base delle sue scelte sessuali. Per questo dico a voi adulti che state leggendo: imparate dai vostri figli, alunni o dipendenti e cercate di mettervi nei panni dei vostri ragazzi, perché non è facile aprirsi, soprattutto se dall’altra parte c’è un muro”. (Letizia, 22 anni)
“Credo sia giusto fare una distinzione tra riconoscere e manifestare: credo che ad oggi riconoscere la propria identità e sessualità sia diventato più semplice e mi sento di attribuire il merito ai social e alle reti comunicative di cui siamo muniti (per non parlare poi di tutte le lotte per la libertà di espressione e contro l’omofobia avvenute negli ultimi decenni e che stanno ancora avendo seguito). Sentendo testimonianze di persone che hanno vissuto un’adolescenza senza social, comprendo come loro si sentissero strani, fuori luogo e inadeguati mentre noi stiamo normalizzando questa realtà. Oggi quasi nessuno si stupisce se una persona afferma di essere omosessuale. Rendersi conto di non essere soli e di essere soltanto diversi dalle stigmatizzazioni che ci vengono imposte è certamente una grande conquista. Passando invece alla manifestazione, mi sento di dire che si presentano più ostacoli: manifestare diventa difficile nel momento in cui si ha paura di essere aggrediti per strada solo perché si è quello che si sente di essere. Un altro ostacolo è la reazione della famiglia: vedere la delusione e la frustrazione negli occhi dei genitori fa quasi più paura dell’essere insultati da uno sconosciuto per strada. Da quando mi sono trasferita in una città universitaria, circondata da studenti fuori sede, ho notato come questi argomenti vengano normalizzati con estrema semplicità; gli studenti che non vivono più con le loro famiglie si sentono più liberi di essere ciò che sono, arrivando a fare coming out non appena giunti nella nuova città. La soluzione a questo problema? beh di fatto sarebbe molto semplice: vivi e lascia vivere!“. (Lussia, 19 anni)
“Io credo che, nonostante si parli tanto di libertà, di leggi e diritti che ci tutelano, siamo in fin dei conti sempre soli e abbandonati a noi stessi. Ci dicono spesso che è importante essere noi stessi e quando una persona lo fa non va bene. Spesso si sente di persone che vengono picchiate soltanto perché vogliono vivere il proprio orientamento sessuale in totale libertà e ciò accade perché la diversità dagli standard spaventa. Credo, però, che non possiamo incolpare gli adulti di avere una mentalità poco aperta, perché loro sono stati educati in questo modo. Serve, invece, avere rispetto reciproco e considerare che l’amore è un sentimento universale con molte sfaccettature e non si può odiare qualcuno perché ama una persona dello stesso sesso”. (Egesta, 20 anni)
“Nonostante siano stati fatti tanti passi in avanti nell’accettazione della comunità LGBTQ, essere non eterosessuali o essere non cisgender rimane difficile, soprattutto in Italia. Gli stereotipi rimangono tanti e sono frutto di una non completa accettazione, che ha le sue radici nelle generazioni più vecchie, ma purtroppo anche i giovani si rivelano spesso omofobi, facendo commenti e battute che possono sembrare innocenti ma in realtà hanno dietro un radicato sentimento di disprezzo o paura nei confronti delle persone appartenenti alla comunità LGBTQ. Per questo, riconoscere e manifestare il proprio orientamento sessuale e la propria identità di genere è ancora molto difficile. La paura del giudizio altrui è tanta, soprattutto perché questo giudizio può tramutarsi in esclusione o violenza. Anche nel 2024 resta difficile identificarsi ed esprimersi come più si vorrebbe. Bisogna educare al rispetto reciproco e alla non indifferenza. Bisogna essere consapevoli della discriminazione che esiste e combattere contro di essa. Quando qualcuno fa una battuta o usa un termine dispregiativo bisogna intervenire, non restare in silenzio. Aiutare un amico a fare coming out è veramente difficile. Se il tuo amico ti fa coming out in privato, non spingerlo a farlo anche in pubblico. Fai in modo di essere sempre al suo fianco e mostragli il tuo supporto”. (Annagiulia, 17 anni)
“Sicuramente nel corso degli ultimi anni sul tema dell’orientamento sessuale e della sessualità in generale si sono fatti grandi passi avanti. All’epoca dei miei genitori era praticamente impensabile l’idea di tirar fuori certi argomenti, ed era anche difficile compiere un lavoro introspettivo su di sé per interrogarsi su quale fosse il proprio orientamento sessuale, cosa che oltre a limitare la conoscenza di sé e del proprio corpo poteva finire anche per creare un certo disagio non sapendo interpretare, o peggio, vivendo negativamente i segnali che il proprio corpo manda. Nonostante sia vero che oggi questi temi vengono trattati con molta più frequenza e libertà, si possono e devono fare molti altri passi avanti per permettere di esprimere in totale libertà (sempre nel rispetto degli altri) il proprio orientamento sessuale senza che esso sia circondato da una caligine di timore, paura e inadeguatezza. Sono molteplici i segnali che suggeriscono che questo punto di arrivo è ben lontano: nel 2022 ISTAT e UNAR hanno condotto uno studio su 1200 lavoratori appartenenti alla comunità LGBTQIA+, circa 8 su 10 hanno subito almeno una forma di micro-aggressione (brevi interscambi ripetuti che inviano messaggi denigratori ad alcuni individui in quanto facenti parte di un gruppo, insulti sottili diretti alle persone spesso in modo automatico o inconscio); circa una persona su tre dichiara di aver subito almeno un evento di discriminazione nella ricerca di lavoro; il 74,5% delle persone omosessuali o bisessuali intervistate ha evitato di tenersi per mano in pubblico con il partner dello stesso sesso per paura di essere aggredito, minacciato o molestato; le offese legate all’orientamento sessuale ricevute via web riguardano il 31,3% dei rispondenti. Escludendo episodi avvenuti in ambito lavorativo, l’11,7% afferma di aver subito, negli ultimi tre anni, minacce e l’8,8% aggressioni violente per motivi legati all’orientamento sessuale. Questi dati ufficiali confermano che si deve fare di più, ma come? Io credo fortemente che il ruolo dell’educazione e della comunicazione siano cruciali: è importante che a scuola l’alunno venga educato al rispetto e alla solidarietà su cui la nostra società si fonda, a non discriminare chi è diverso da lui e a capire che la diversità non è un qualcosa da temere o da cui stare alla larga, ma una risorsa che impreziosisce la vita sociale e comunitaria. Credo che purtroppo le fasce più adulte della nostra popolazione, per via del torpore in cui sono vissute riguardo a questi temi, non abbiano strumenti a sufficienza per comprendere quello che in questi anni si sta sempre più approfondendo in termini di orientamento sessuale e per tanto credo che i mezzi di comunicazione dovrebbero concentrarsi anche nel fornire più punti di vista. E che fare, quindi, se un nostro amico o amica ha bisogno di aiuto nell’esprimere il proprio orientamento sessuale? Innanzitutto credo sia importante fare sentire questa persona a proprio agio, cercare di spiegarle che è normale, invitarla ad imparare ad ascoltare il proprio corpo e rassicurarla riguardo al fatto che l’orientamento sessuale non va in nessun modo ad inficiare sui rapporti interpersonali e che quindi l’amicizia rimane la stessa”. (Christian, 17 anni)
“Da una parte abbiamo governi con certe concezioni, dall’altra una gioventù piena di novità o meglio di nuovi approcci a cose che ci sono sempre state. Studiando in un ambito come lettere e filosofia sento questo forte fermento di giovani che vogliono e non riescono a parlare di questo argomento. Altri giovani della mia facoltà invece non ne parlano nemmeno, perché danno per scontata la loro libertà di espressione, cosa giusta perché è così che deve essere. Aiutare un* amic* a fare coming out credo sia semplice: basta saper ascoltare, comprendere e capire l’importanza che ha per una persona poter essere quel che è”. (Mercedes, 22 anni)
“Al giorno d’oggi è sicuramente più semplice accettare e manifestare un orientamento sessuale o un’identità di genere che si discosti da quella che tradizionalmente viene considerata la “norma”. Ritengo che ciò sia dovuto a una maggiore rappresentazione in media di qualsiasi genere (serie tv, film, libri, social media) che propinano modelli nei quali possano identificarsi anche individui che, in quanto tali, presentano proprie peculiarità. L’accettazione del sé reale non è un processo semplice e sicuramente può essere adiuvato da amici che cerchino per quanto possibile di rispettare il volere dell’altro. Quello del coming out è un momento estremamente delicato in cui si espongono le proprie emozioni, paure e vulnerabilità. Il senso di smarrimento è permeante: non si sa fino in fondo se i cari capiranno, accetteranno la situazione o non cambieranno l’idea che hanno della persona. L’unica modalità tramite la quale si può aiutare un amico a fare coming out è la garanzia di affetto e amore indipendentemente da qualsiasi altra condizione“. (Sara, 21 anni)