Speciale Artisti Biennale 2024 (pt. 15)

Continua la nostra indagine sugli artisti invitati alla Biennale Arte di Venezia. Un totale di 332 artisti, provenienti da tutti i paesi del mondo e di tutte le generazioni. Le prime undici puntate sono state pubblicate qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 1)qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 2), qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 3) qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 4) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 5) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 6) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 7) qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 8)qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 9) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 10) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt.11) e qua (Speciale Artisti Biennale pt. 12) qua ( Speciale Artisti Biennale pt. 13) e qua (Speciale Artisti Biennale 2024 pt. 14). Di seguito, ecco la quindicesima puntata. Per raccontarvi ogni artista in poche righe, con un’opera rappresentativa della sua ricerca.

Pan Yuliang. Yangzhou, China, 1895–1977, Parigi, Francia

Pan Yuliang, nata da una famiglia molto povera che fu costretta a venderla e a farla prosituire, riuscì a riscattarsi e a divenire in breve tempo  un’artista rivoluzionaria e a inserirsi all’interno  del Movimento del Quattro Maggio, un periodo di riforma culturale e sociopolitica in Cina. La sua arte, esemplificata dal dipinto Back of Nude (1946), combina la tradizione pittorica cinese, caratterizzata da linee sottili e rigore espressivo, con l’influenza fauvista europea, esprimendo libertà nel colore e nello spazio.

Le sue opere riflettono un esperimento con il genere e la narrazione, unendo tendenze orientaleggianti con un’immaginazione cosmopolita. Chen Duxiu, figura chiave del Movimento della Nuova Cultura, lodò il suo stile come una fusione di pittura europea e tecnica cinese. Per la prima volta, le sue opere sono esposte alla Biennale Arte.

Dalton Paula. Brasília, Brazil, 1982. Lives in Goiânia, Brazil

Dalton Paula spazia tra pittura, installazione, performance art, fotografia, video e creazione di oggetti. La sua serie “Full-Body Portraits” (2023) comprende sedici dipinti che ritraggono figure storiche africane coinvolte nei movimenti di resistenza antischiavista in Brasile, come Chico Rei, Zeferina e Ventura Mina. Questi dipinti, ispirati alla mostra “Afro-Atlantic Histories” del 2018, sono caratterizzati da grandi tele bipartite, che simboleggiano da un lato la realtà dei fatti e, dall’altra, il ricordo che si ha di essi.

La composizione monocromatica tra paesaggio e sfondo richiama le scenografie degli studi fotografici d’epoca, mentre oggetti scenografici come sedie e scettri sono inseriti in modo critico e simbolico, esplorando le relazioni tra immagine, memoria e potere.

Amelia Peláez. Yaguajay, Cuba, 1896–1968, Havana, Cuba

Amelia Peláez, pittrice, ceramista, illustratrice e muralista cubana, è una delle figure femminili più significative della modernità latinoamericana. Durante i suoi studi a Parigi, nel 1931, dipinse Mujer con abanico. Tornata a Cuba nel 1934, espose al Liceo femminile, segnando l’inizio di un’opera eccezionale influenzata dalla cultura afro-cubana, che trasformò in un linguaggio astratto-ornamentale, personale e politico.

Collaborò con le riviste nazionaliste “Orígenes” ed “Espuela de plata”, e rappresentò Cuba alla Biennale di São Paulo nel 1951 e alla Biennale di Venezia l’anno successivo. Rimase a L’Avana fino alla sua morte nel 1968, attraversando il periodo della Rivoluzione cubana.

George Pemba. Port Elizabeth, South Africa, 1912–2001, Eastern Cape, South Africa

George Pemba, artista sudafricano, è noto per la sua arte spesso classificata come “Township Art”, ma è particolarmente apprezzato per la sua capacità di rappresentare una vasta gamma di scene di vita e cultura sudafricane. Il suo dipinto a olio Young Woman (1947) ritrae una ragazza alla soglia della pubertà, vestita con abiti tradizionali e adornata di gioielli.

Sebbene inizialmente lavorasse con l’acquerello, Pemba passò alla pittura a olio per valorizzare meglio i colori vivaci dei paesaggi sudafricani e per rispondere alle preferenze dei collezionisti bianchi. La sua arte, che spazia tra acquerelli e oli, rappresenta un’importante documentazione visiva della vita e della cultura sudafricana dell’epoca.

Fulvio Pennacchi. Villa Collemandina, Italy, 1905–1992, São Paulo, Brazil

Fulvio Pennacchi, immigrato italiano a San Paolo, sviluppò uno stile pittorico figurativo che si distaccava dalle tendenze astratte del primo Novecento, concentrandosi sulla vita quotidiana e popolare del Brasile. Nel suo dipinto O Circo (1942), Pennacchi utilizza toni ocra per rappresentare un tradizionale spettacolo rurale brasiliano.

La scena è dominata da una tenda circolare con la scritta “CIRCO” e animata da figure come clown e contadini, inclusi personaggi di colore e animali, tutti su un pavimento di “terra rossa”, tipico delle regioni brasiliane. Sullo sfondo, montagne, case e una chiesa completano il paesaggio al crepuscolo. Pennacchi dipingeva ciò che osservava nel suo ambiente, interpretando un Brasile bucolico e popolare.

Claudio Perna. Milan, Italy, 1938–1997, Holguín, Cuba

Claudio Perna, artista concettuale e geografo nato a Milano, emigrò in Venezuela nel 1955, dove esplorò pratiche concettuali attraverso performance, film, fotocopie e fotografia. La sua opera Venezuela—Map Series (1970-1990) riflette il suo desiderio di comprendere appieno il territorio venezuelano. Utilizzando mappe come base, Perna creava collage che incorporavano elementi come ritagli di riviste, sigarette e fotografie personali.

In un’opera specifica della serie, combina fotocopie di fili tradizionali venezuelani con immagini simboliche come una mano che tiene forbici e una vertebra, accostate a una camicia che si apre per rivelare un petto villoso, vicino alla frontiera tra Colombia e Venezuela. Questo lavoro esemplifica il tentativo di Perna di conoscere se stesso grazie allo studio del territorio, creando un legame tra geografia, arte e soggettività.

Emilio Pettoruti. La Plata, Argentina, 1892–1971, Paris, France

Emilio Pettoruti, nato in Argentina da genitori italiani, è una figura centrale nell’arte moderna del XX secolo. Dopo essersi trasferito in Europa nel 1913, vi rimase fino al 1924, immergendosi nelle correnti avanguardistiche dell’epoca. Pur partecipando attivamente ai circoli artistici innovatori, Pettoruti non si legò mai formalmente a nessun movimento specifico, mantenendo una visione artistica personale e indipendente.

Uno dei suoi lavori più emblematici di questo periodo è El abanico verde (Il ventaglio verde) del 1919, un dipinto che riflette la sua unica interpretazione dell’arte moderna. La figura femminile nel quadro è ridotta a forme geometriche essenziali, con il corpo che si dissolve in piani frammentati e sequenziali, evocando l’estetica del Cubismo. Tuttavia, Pettoruti infonde un dinamismo particolare nell’opera, evidenziato dalle curve in movimento del ventaglio che la donna tiene in mano. Queste curve trovano eco nelle linee intorno alla sua testa, creando un effetto visivo che accentua la percezione del movimento, un aspetto che richiama l’influenza dei Futuristi italiani, benché egli non si conformasse pienamente ai loro principi.

L’abito rosa della donna spicca nel contesto cromatico sobrio e frammentato del dipinto, suggerendo un richiamo alle tonalità delicate delle tuniche degli angeli di Beato Angelico.  Questa combinazione di influenze e tecniche rende El abanico verde un’opera che testimonia la padronanza di Pettoruti nell’integrare diverse correnti artistiche, pur mantenendo una cifra stilistica unica.

Lê Phổ. Hanoi, Vietnam, 1907–2001, Paris, France

Lê Phô, uno dei pionieri dell’arte moderna vietnamita, è stato tra i primi artisti a diplomarsi all’École des Beaux-Arts de l’Indochine di Hanoi, in Vietnam. Le sue opere incarnano le audaci sperimentazioni artistiche della sua generazione, che cercava di fondere le tradizioni estetiche locali con le influenze dell’arte moderna europea.

Un esempio rappresentativo del suo lavoro è Jeune fille en blanc (Giovane ragazza in bianco) del 1931. Il dipinto raffigura una giovane donna assorta nei suoi pensieri, in una delicata armonia di toni pallidi e argentei. Nell’angolo superiore sinistro, una scritta calligrafica svela il contenuto dei suoi pensieri: un estratto da una poesia vietnamita del XVIII secolo, espressione del lamento di una moglie il cui marito è in guerra.

Negli anni Trenta, la figura della “donna moderna” era un soggetto molto diffuso nell’arte e nella letteratura vietnamita. Tuttavia, Lê Phô sceglie di rappresentare un’immagine più tradizionale, mettendo in risalto temi come la fedeltà e il dovere femminile. Il suo stile, caratterizzato da un’essenzialità delle forme e una certa piattezza, riflette l’influenza dell’arte moderna europea. Allo stesso tempo, la tavolozza di colori limitata, la presenza della scrittura calligrafica e il vaso celadon in primo piano stabiliscono un forte legame con l’estetica e la tradizione vietnamita.

Quest’opera fu creata per essere esposta alla Prima Mostra Internazionale d’Arte Coloniale di Roma nel 1931, evento che faceva parte di una politica volta a promuovere l’arte vietnamita all’estero con scopi commerciali e propagandistici.

Bona Pieyre De Mandiargues. Rome, Italy, 1926 –2000, Paris, France

Bona de Mandiargues è strettamente legata al Surrealismo e all’esplorazione di temi come la magia, i sogni, la sessualità e l’occulto. Nipote e allieva del celebre Filippo de Pisis, Bona seguì il suo mentore a Parigi nel 1947, immergendosi in un ambiente culturale che avrebbe profondamente influenzato il suo percorso artistico.

Per tutta la vita, Bona de Mandiargues si è dedicata a sperimentare con assemblaggi tessili, pittura astratta e figurativa, creando opere che fondono materiali e tecniche in modo innovativo. Un esempio emblematico della sua produzione è Toro nuziale del 1958, uno dei suoi primi e più significativi assemblaggi tessili. In questa opera, l’artista integra frammenti di un abito da uomo con una tavolozza ricca di rossi, grigi, marroni e bianchi, creando una composizione tridimensionale e simmetrica che richiama la testa di toro, simbolo caro ai surrealisti.

Tuttavia, Bona de Mandiargues sovverte l’iconografia tradizionalmente virile associata al toro. Attraverso il sottile suggerimento di uno smembramento dionisiaco del corpo maschile – reso possibile dalla metonimia in cui l’abito sostituisce l’uomo – e con un titolo che allude ai sacrifici rituali dei tori nei matrimoni medievali spagnoli, l’artista trasforma il toro in una creatura addomesticata e sottomessa, piegata alla volontà della donna-artista. In questo modo, Bona ribalta il potere simbolico del toro, trasformandolo in un emblema di controllo e potenza femminile.

L’importanza di Toro nuziale è stata riconosciuta nel 1962, quando l’opera apparve sulla copertina del catalogo della mostra personale di Bona de Mandiargues presso la galleria di Arturo Schwarz a Milano. Questo evento confermò il ruolo centrale dell’opera nella sua carriera e la sua rilevanza nell’ambito dell’arte contemporanea.

La sua partecipazione alla Biennale Arte rappresenta un riconoscimento tardivo ma meritato del suo contributo all’arte del XX secolo, evidenziando la forza e l’originalità della sua espressione artistica.

Ester Pilone. Cuneo, Italy, 1920 – ?

Ester Pilone, approdata in Argentina nel 1939, è una figura distintiva nel panorama dell’Espressionismo astratto, caratterizzato da tendenze informali. Durante la sua carriera, Pilone sviluppò uno stile personale, in cui la ricerca di una densa matericità non figurativa e una sobrietà cromatica sono elementi centrali. La sua opera esplora l’intensità emotiva attraverso tecniche uniche e un linguaggio visivo potente.

Uno dei suoi lavori più rappresentativi è Luz amarilla del 1970. In questo dipinto, Pilone combina diverse tecniche per creare un paesaggio astratto, dove coesistono differenti stati d’animo. La purezza monocromatica del giallo domina la composizione, generando una spazialità luminosa che avvolge l’osservatore. All’interno di questo spazio emerge una forma astratta che crea un contrasto formale e visivo. Questo contrasto mette in dialogo vari elementi della pittura non figurativa, amalgamando con maestria il diverso vocabolario dell’arte astratta. Il lavoro di Ester Pilone rappresenta una sintesi di opposizioni: la luce contro l’oscurità, la forma contro l’informe, il controllo contro l’impulso. Grazie a queste dinamiche, Pilone riesce a esprimere la complessità delle emozioni umane.

La Chola Poblete. Mendoza, Argentina, 1989. Lives Buenos Aires, Argentina

La Chola Poblete è un’artista transdisciplinare che si esprime con vari linguaggi: performance, videoarte, fotografia, pittura e oggetti, creando un sofisticato immaginario queer che recupera e reinterpreta conoscenze ancestrali dai territori sudamericani. Il suo lavoro è un’esplorazione profonda della fluidità identitaria, che si riflette in una serie di grandi acquerelli caratterizzati da una miriade di esseri ibridi e motivi astratti, religiosi e pop. Questi acquerelli sono popolati da piccole riproduzioni delle sue opere, come le maschere di pane, che diventano simboli di resistenza e identità.

Un elemento centrale nell’opera di La Chola Poblete è la figura della Vergine, che assume molteplici significati e forme, incarnando il sincretismo tra la cultura occidentale e le comunità indigene. Nella serie Vírgenes Chola, l’artista attinge dal barocco mestizo per esplorare l’identificazione tra la Vergine e la dea Pachamama, la Madre Terra venerata dalle comunità andine. Le Vergini di Poblete, raffigurate in trono, indossano i loro attributi come vere e proprie icone pop, creando un dialogo tra il sacro e il profano, tra il tradizionale e il contemporaneo.

La performance Il martirio di Chola (2014) è un’opera che affronta tematiche come l’emarginazione sociale della comunità boliviana residente in Argentina e l’uso dell’evangelizzazione come forma di tortura emotiva e fisica.

Charmaine Poh. Singapore, 1990. Lives in Berlin, Germany and Singapore

Charmaine Poh è un’artista, documentarista e scrittrice che narra le esperienze femministe e queer asiatiche, affrontando temi legati alle norme di genere, alle dinamiche familiari e alla creazione di mondi queer. Il suo lavoro si distingue per la sensibilità con cui indaga le complessità della vita quotidiana, portando alla luce le contraddizioni vissute dalle persone queer all’interno di società che idealizzano le famiglie eterosessuali.

Una delle opere più significative di Poh è la serie di documentari ibridi Kin (2021), che offre uno sguardo sulla vita queer a Singapore.

Nel suo lavoro successivo, What’s softest in the world rushes and runs over what’s hardest in the world (2024), Poh si concentra sulle difficoltà che i genitori queer affrontano nel crescere i figli in un contesto in cui la loro famiglia non è riconosciuta dallo stato. L’opera di Charmaine Poh, presentata per la prima volta alla Biennale Arte, rappresenta le possibilità che emergono quando si mette in discussione l’ordine sociale tradizionale.

Maria Polo. Venice, Italy, 1937–1983, Rio de Janeiro, Brazil

Maria Polo, diplomatasi all’Istituto d’Arte di Venezia nel 1955, è un’artista la cui carriera si è sviluppata lungo una serie di migrazioni che hanno arricchito e trasformato il suo stile artistico. Dopo essersi stabilita prima a Roma e poi, nel 1962, a Rio de Janeiro, Polo si inserisce in un contesto in cui l’astrazione è al centro dell’interesse dei gruppi d’avanguardia locali.

Un esempio chiave della sua produzione è Senza titolo (1962), parte della serie presentata all’undicesimo Salone d’Arte Moderna di Rio de Janeiro. In questo dipinto, Polo combina forme dense e frammentate che sembrano esplodere su uno sfondo grigio, creando un dinamismo visivo che cattura l’attenzione dell’osservatore. Le geometrie irregolari in toni sanguigni e neri si scontrano con vuoti luminosi, generando un contrasto potente. Le forme talvolta si allineano con il bordo della tela, altre volte sembrano sfidare i limiti imposti dalla cornice, suggerendo un senso di movimento e di tensione.

Nel corso degli anni, Polo ha continuato a sviluppare il suo linguaggio astratto, evolvendo verso composizioni sempre più colorate che combinano cerchi e forme irregolari, sfidando le rigidità geometriche tipiche dell’avanguardia di San Paolo e Rio.  Il suo stile si distingue per l’integrazione di pennellate espressive, che richiamano l’Espressionismo, e una ricca materialità che rimanda all’Informale.

Candido Portinari. Brodowski, Brazil, 1903 – 1962, Rio de Janeiro, Brazil

Candido Portinari, uno dei più celebri artisti brasiliani del XX secolo, nasce a Brodowski, una cittadina rurale nei pressi di San Paolo, in una famiglia di immigrati veneti. Secondo di dodici figli, Portinari cresce in un ambiente semplice e rurale che influenzerà profondamente la sua opera. La sua produzione artistica è vasta e variegata, ma i ritratti occupano un posto di rilievo, rappresentando uno dei linguaggi espressivi più caratteristici della sua carriera.

Uno degli esempi più significativi di questo suo interesse per il ritratto è Cabeça de mulato (1934). In quest’opera, Portinari dimostra la sua straordinaria abilità come disegnatore, utilizzando con maestria il chiaroscuro per modellare il volto del soggetto e conferire profondità espressiva ai tratti delicati e precisi degli occhi, del naso, della bocca e del mento.

Portinari, nel corso della sua vita, dipinge oltre settecento ritratti, concentrandosi in particolare su quelle che considera le tipologie “popolari” del Brasile. Tra i suoi soggetti preferiti vi sono contadini, mulatti, persone di colore e migranti, figure che incarnano la diversità etnica e culturale del Paese. Nel ritratto Cabeça de mulato, il soggetto guarda direttamente l’osservatore, un gesto che sottolinea il potere, la dignità e la nobiltà che Portinari cercava di trasmettere nei suoi ritratti della “gente comune”.

Sandra Poulson (fuori concorso). Angolan, born in Lisbon, Portugal, 1995. Lives in Luanda, Angola and London, UK

Sandra Poulson è un’artista angolana il cui lavoro si sviluppa tra Londra e Luanda, esplorando le complessità degli ambienti formali e informali di queste città. La sua pratica artistica indaga le strutture sociali e le dinamiche urbane, mettendo in luce come queste influenzino il movimento, sia fisico che sociale, all’interno della città.

Una delle sue opere più recenti, Onde o Asfalto Termina, ea Terra Batida Começa (2024), rappresenta una prosecuzione della sua esplorazione delle intersezioni tra il mondo costruito e quello informale di Luanda. Quest’opera si concentra sul momento in cui una strada asfaltata incontra il terreno smosso di una via non pavimentata, utilizzando questa transizione fisica per riflettere su concetti più ampi, come la sfumatura tra ciò che è considerato centrale o periferico, abitabile o inabitabile, locale o globale.

Realizzata con materiali umili e di recupero, come cartone e amido scartati, l’installazione di Poulson è un’opera site-specific in cartapesta che rappresenta frammenti del paesaggio urbano. L’installazione è arricchita da un video multicanale proiettato sulle pareti laterali, composto da riprese spontanee realizzate con un telefono cellulare.  Il lavoro di Sandra Poulson è profondamente radicato in un rigoroso processo di documentazione e ricerca, che trova espressione nelle sue opere complesse e stratificate. Onde o Asfalto Termina, ea Terra Batida Começa è un esempio eloquente di come Poulson riesca a generare riflessioni su realtà urbane e sociali partendo da materiali semplici e quotidiani.

B. Prabha. Maharashtra, India, 1933–2001, Nagpur, India

B. Prabha nasce in un villaggio vicino a Nagpur, nello stato del Maharashtra, e intraprende i suoi studi artistici presso la Nagpur School of Art. Successivamente, si trasferisce alla Sir J.J. School of Art di Bombay (oggi Mumbai), dove si stabilisce con il marito, l’artista B. Vithal. Le sue opere sono caratterizzate dalla costante presenza di figure femminili, ritratte in scene che evocano un’intimità legata alla vita rurale quotidiana.

Tra i suoi lavori spicca “Waiting” (s.d.), un dipinto che sorprende per l’audace impiego del verde. La ricorrente sfumatura color smeraldo, ottenuta con la pittura a olio, fonde armoniosamente lo sfondo, la flora e il tessuto che avvolge i fianchi della figura femminile. Questa combinazione crea un senso di tempo sospeso. La figura, colta in una posa leggermente di tre quarti, rivolge la schiena all’osservatore, esibendo un corpo snello, allungato e seminudo. Lo sguardo della donna è fisso su un punto lontano, e il profilo sinistro del viso, dai tratti delicati, esprime una malinconica attesa. La forza ipnotica del dipinto risiede nella tensione tra l’audace uso del colore e la sobrietà e dignità della figura solitaria.

Lidy Prati. Resistencia, Argentina, 1921–2008, Buenos Aires, Argentina

Lidy Prati, nata Lidia Elena Prati, è stata una pittrice, designer e critica d’arte, riconosciuta come una delle poche donne a praticare l’Arte concreta negli anni Quaranta. La sua opera “Composición serial” (1946-1948) rappresenta un momento cruciale della sua carriera, esemplificando il suo interesse per la sperimentazione con la tensione tra forme geometriche – prevalentemente cerchi, rettangoli e quadrati – e l’esaltazione della superficie dello spazio pittorico.

Questa tensione emerge dall’intermittenza di colori, dimensioni e ritmi con cui Prati dispone le forme geometriche sulla tela, creando un’organizzazione percettiva che cattura l’attenzione dell’osservatore. “Composición serial” non solo riflette l’influenza della teoria della gestalt sul suo lavoro, ma segna anche un punto di svolta nell’Arte Concreta in Argentina. Questo periodo è caratterizzato dall’abbandono della formula teorica della cut-out frame, a favore di un ritorno al formato ortogonale.

Prati riconosce in questo formato una maggiore libertà per esplorare la forza espressiva della pittura, l’autonomia delle forme e i valori inventivi, negando in ultima analisi la funzione descrittiva del significato. Il suo lavoro si concentra sulla potenza visiva e sulla purezza delle forme, andando oltre la rappresentazione e abbracciando l’astrazione totale.

Puppies Puppies (Jade Guanaro Kuriki-Olivo). Dallas, USA, 1989. Lives in New York City, USA

Il lavoro di Puppies Puppies (Jade Guanaro Kuriki-Olivo) si sviluppa attraverso scultura, installazione e performance, affrontando con forza temi personali e politici. La sua opera “A Sculpture for Trans Women…” (2023) è una scultura in bronzo a grandezza naturale, realizzata a partire da una scansione 3D del corpo dell’artista. L’incisione “WOMAN” sulla superficie dell’opera e le performance che la accompagnano durante l’Esposizione mirano a sovvertire il potere dei monumenti tradizionali, rendendo visibile e celebrando la vita trans in un atto di protesta e commemorazione.

“Electric Dress (Atsuko Tanaka)” (2023) è un omaggio alle vittime della sparatoria avvenuta nel 2016 durante una “Notte latina” al Pulse, un nightclub queer di Orlando, Florida. Ispirata all’opera “Electric Dress” (1956) di Atsuko Tanaka, questa scultura utilizza luci LED che pulsano seguendo il ritmo del cuore e si illuminano con i colori dell’arcobaleno della bandiera del Pride. Entrambe le sculture sono tributi potenti alla vita queer e trans, opponendosi all’oblio e all’invisibilità, e affermando l’esistenza e la dignità di queste comunità.

Lee Qoede. Chilgok, South Korea, 1913–1965

Lee Qoede, un importante pittore coreano attivo principalmente tra gli anni ’30 e ’50, è noto per le sue opere che rispondono alla colonizzazione della Corea da parte del Giappone. Il suo “Autoritratto in un lungo cappotto blu” (1948-1949) raffigura l’artista con indosso un durumagi blu, un soprabito maschile tipico del vestiario tradizionale coreano. Questo dipinto, uno dei quattro autoritratti di Lee che sono ancora esistenti, è considerato il suo capolavoro e un esempio della sua capacità di fondere la pittura occidentale con quella dell’Asia orientale.

Questa fusione è evidente nell’inclusione di diversi elementi visivi. L’abbigliamento tradizionale coreano di Lee è arricchito da una fedora, un cappello occidentale indossato dalle classi più elevate, che simboleggia il suo status sociale. Inoltre, l’artista si rappresenta con una tavolozza di colori ad olio europei e un pennello di inchiostro dell’Asia orientale chiamato mopil. Lee posa con uno sguardo sicuro di sé, davanti a un paesaggio rurale in cui si intravedono donne vestite con l’hanbok tradizionale.

Agnes Questionmark (fuori concorso). Rome, Italy, 1995. Lives in Rome and New York City, USA

Agnes Questionmark è un’artista che spazia tra usa la performance, la scultura, il video e l’installazione per affrontare temi complessi e provocatori. La sua opera “Cyber-Teratology Operation” (2024) mette al centro della scena un corpo trans – che può essere trans-specie, transgender o transumano – all’interno di una sala operatoria in cui ogni individuo è costantemente sorvegliato. Mentre il pubblico osserva i movimenti all’interno di questo spazio clinico, l’occhio del soggetto diventa anche uno schermo di monitoraggio, fondendo il sé con il dispositivo tecnologico.

Il lavoro di Questionmark esamina il corpo transgender, spesso percepito come patologico, meccanizzato e medicalizzato, mettendo in luce le dinamiche di biopolitica patriarcale che operano nel contesto della scienza e della sanità.

“Cyber-Teratology Operation” solleva interrogativi sulla persistente associazione tra genere e riproduzione e si oppone al controllo scientifico esercitato sui corpi. L’opera oscilla tra realtà, fantasia e mondi post-umani, incubando futuri possibili e nuove connessioni neurali che possono emergere se riusciamo a immaginare e fonderci in nuovi modi.

(Schede a cura di Sofia Marzorati)

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