A Napoli il Made in Cloister continua spedito la propria missione nel cosmo dell’arte ultra-contemporanea, confermando la propria inerzia centripeta nel catturare realtà attive sul territorio, grazie anche al lavoro di ricerca svolto da Eleonora de Blasio, che in questo caso offre al pubblico la possibilità di entrare in contatto con l’opera di Gabriella Siciliano, artista napoletana impegnata in un lavoro complesso di ricerca del trauma durante il percorso dell’esistenza.
La mostra La Casa di Wendy, nell’ambito del programma “Per Chi Crea”, fruibile fino alla fine di novembre presso lo spazio LAB.oratorio al primo piano dello storico complesso monumentale, consiste in un’installazione site-specific, in cui l’ambiente e le suggestioni create al suo interno compongono un’opera tridimensionale, immersiva e totalmente attraversabile, vivibile e vissuta.
Un mostro blu ci guarda da lontano, ha la forma di un gigante serpente mitologico e giace steso sopra un lungo letto su misura, circa una decina di metri. Il suo aspetto non è crudele, nonostante la bava che gli esce dalla bocca, ma sembra vivere una di quelle notti in cui la riflessione ti blocca, costringendo la mente a scandagliare i fondali dell’esistenza tra quattro pareti.
La dimensione bitonale voluta dall’artista, bianco e blu, ha qualcosa di evocativo, che richiama un luogo protetto, al contempo i punti luce piazzati su una diagonale che attraversa tutta la lunghezza del letto, concretizzano la realtà di un luogo esistente, notturno, in cui, in effetti, il peso dei pensieri sta occupando lo spazio intimo del riposo.
Una riflessione su passato, presente e futuro che è assolutamente generazionale. Il trauma del passaggio da come è oggi e come sarà domani, il dubbio che crea incertezze.
Generalizzando in maniera macroscopica, la transizione dal biologico al tecnologico, dal vivente al non vivente, segna un allontanamento dall’umano che poi, in fin dei conti, potrebbe portare ad una possibile estinzione, una quanto mai concreta possibilità di una definitiva dissolvenza della traccia umana, in un domani sempre più vicino, notte dopo notte.
Perché no, del resto più che qualcosa di casuale questo processo di trasformazione e di abbandono sembra una vocazione del nostro essere. E il bello del passato diventa un ricordo, ce lo dice lo specchio posizionato sulla sinistra, appena si accede alla lunga stanza corridoio, con sopra una foto ricordo di un viaggio fatto a Parigi in cui il mostro blu appare spensierato.
L’incerto futuro diventa concretezza, suggerisce invece il puzzle incompleto di un paesaggio montano invernale, posizionato a terra su una moquette e in attesa del domani, per sapere se verrà completato oppure no. Quindi se ci sarà oppure no. Il mondo di Gabriella Siciliano, con le sue riflessioni, appare chiaramente svelato e il mezzo che lei utilizza per fare in modo che arrivi a noi è artisticamente totale.
Un mezzo totale vuol dire che è composto da una serie di tecniche che si rendono necessarie per la rappresentazione della visione, dalla scultura alla scenografia, alla pittura, quindi il lume che fa quel tipo di luce è un materiale, il letto, così lungo, è un materiale, la stanza stessa è un materiale, tutto è un materiale necessario alla realizzazione, qualsiasi cosa può diventare utile all’opera e il concetto di tavolozza è superato, a meno che non si parli di tavolozza concettuale.
In questo lavoro tecnicamente complesso, ma molto interessante, l’ambiente reale diventa spazio in cui si concretizza la visione dell’artista. La definizione site-specific è contemporanea ed individua quella particolare attitudine artistica che genera opere adatte e adattate al contesto in cui vengono realizzate.
Va detto che le produzioni site-specific, si traducono certamente tramite il paradigma del concettuale, quello delle avanguardie anni 60 e 70 italiane, tra Vasco Bendini, Luigi Ontani o Anna Valeria Borsari, è da lì che provengono, più o meno consapevolmente, senza volersi tra l’altro nascondere, filtrate ovviamente dall’attualità di cui si nutrono, influenzate inevitabilmente dai cambiamenti generazionali perché, nonostante il loro apparire posticcio, queste installazioni di micro-realtà, sono nella realtà e, nel loro carattere immersivo, sono tangibili, respirabili, ascoltabili, fruibili come un qualsiasi ambiente reale, come l’arredo di una casa in cui troviamo la quotidianità, e questo le fa essere sempre aggiornate. Opere che si confrontano direttamente con l’esistenza.
Nata nel 90, Gabriella Siciliano appartiene ad una generazione che, come tutte e anche solo per dignità, non è etichettabile con banali, generalizzanti e fastidiose definizioni di moda, ma che di certo ha consacrato definitivamente l’ingresso in una nuova era, quella dell’Ok Computer, del passaggio da un mondo analogico ad un mondo digitale, un cedimento senza precedenti dell’umano che per suo stesso istinto ha modificato la propria esistenza, causando perciò un numero elevato di crash cognitivi, veri e propri traumi esistenziali.
E sono proprio questi traumi che ritroviamo nel concettuale che sottende il lavoro spaziale della Siciliano e nel suo lavoro La Casa di Wendy. Verrebbe da suggerire di non farsi bloccare dell’ignoto, ma di guardarlo con curiosità, qualunque cosa esso possa rappresentare, così come hanno fatto i Radiohead quando hanno introdotto l’elettronica nei loro suoni tradizionali, tuffandosi totalmente in una nuova dimensione, tra synth e sequencer.
Un atteggiamento esploratore apre definitivamente le porte alle novità, che poi sono le nuove epoche, portatrici di effetti positivi o catastrofici che siano. In questa ottica guardando la poetica composizione bitonale, ho sentito un suono, come un qualcosa che provenisse da quell’ambiente, ma che in realtà mancava. Ecco, poteva essere l’invasione della novità che arriva quel suono.
Il riferimento per questo percorso può essere il padiglione della Germania della Biennale dell’Arte di quest’anno, che ha affrontato questi temi in maniera profonda, attingendo dalle esperienze reali che hanno portato ai cambiamenti traumatici, mostrandoci poi il qui ed ora ed infine proponendo soluzioni alternative, che però sfiorano l’impossibile, sembrando immaginarie e disperate, perché forse non c’è salvezza.
Lo spazio LAB.oratorio del Made in Cloister è accessibile dal mercoledì alla domenica, un’occasione per incontrare l’opera dell‘artista napoletana, ma anche un modo per entrare in contatto con una delle realtà promotrici dell’arte più attive sul territorio, bevendo un drink o un caffè, leggendo cataloghi di arte seduti comodamente, oppure non facendo nulla, contemplando il vuoto distesi.