A Roma una mostra per rivalutare la figura omerica di Penelope

Penelope, la donna che attende. La tela che si fa e si disfa, il tempo che scorre come un filo sottile, e lei, seduta, a tessere il suo destino con una pazienza che rasenta l’eternità. Nel Parco archeologico del Colosseo, la mostra “Penelope” accende una luce su questa figura omerica, rivelandone la complessità attraverso oltre cinquanta opere che spaziano dai dipinti alle sculture, dai rilievi ai libri antichi. Un viaggio che ci porta indietro, alla radice dei poemi omerici, per raccontare come Penelope abbia attraversato i secoli, sospesa tra mito e realtà. Curata da Alessandra Sarchi e Claudio Franzoni, con l’organizzazione di Electa, l’esposizione si snoda negli spazi evocativi delle Uccelliere farnesiane e del Tempio di Romolo fino al 12 gennaio 2025.

Penelope è il primo capitolo di una trilogia che esplorerà le figure femminili più moderne dell’antichità: Antigone e Saffo seguiranno, intrecciando storie di resistenza, di ribellione e di poesia. Ma qui e ora, è Penelope a parlarci, con quella malinconia che è il suo tratto distintivo, lo sguardo rivolto altrove, il telaio accanto, emblema di una sapienza femminile che è più che una semplice abilità manuale. Tessere è contare, misurare, memorizzare. È un’arte che si avvicina al canto, che ripete e tramanda, come i versi dei rapsodi, quei “cucitori di canti” che intrecciano parole come fili.

C’è un altro omaggio nella mostra, quello a Maria Lai, artista sarda che ha fatto delle materie tessili il cuore della sua opera. Una scelta che non è casuale, perché Maria Lai ha saputo trasformare il filo in una narrazione universale, in un discorso aperto sulla condizione umana. Le sue opere dialogano con Penelope, entrambe narratrici silenziose che ci parlano di attesa e di resistenza, di creazione e distruzione.

Attraverso i secoli, Penelope è rimasta l’immagine della donna fedele, la sposa che aspetta, la madre che custodisce la casa. Ma dietro quel velo che ne copre il volto, c’è molto di più: c’è l’ingegno di chi sa guadagnare tempo, la forza di chi resiste alla pressione dei Pretendenti, la lucidità di chi, pur conoscendo la propria debolezza, sa trasformarla in potere. Penelope non è solo la donna del telaio, ma anche quella del sogno, come ci raccontano le raffigurazioni in cui appare dormiente, in un mondo onirico dove realtà e desiderio si mescolano.

È la donna che conosce la distinzione tra sogni veri e sogni falsi, una distinzione che arriva fino a Freud e che ci ricorda quanto sia sottile il confine tra ciò che è e ciò che potrebbe essere. Il talamo, il letto nuziale costruito da Ulisse, diventa così il luogo simbolico di una fedeltà che è al contempo sfida e resistenza, come mostrano le incisioni di Theodoor van Thulden.

In fondo, Penelope è la donna che attende, ma anche quella che agisce. È l’immagine di un pudore che nasconde un’intelligenza sottile, un’audacia velata. E questa mostra ci invita a guardarla con occhi nuovi, a superare le apparenze, a scoprire il cuore di una storia che ancora oggi ci parla, ci interroga, ci sfida.

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