Tutto è proprio lì dove dovrebbe essere a Favignana, quest’isola delle Egadi a poche miglia dalla costa occidentale della Sicilia. Lunghe distese di sabbia si alternano a piccole calette rocciose nascoste fra gli scogli, le barche dei pescatori ormeggiate nel porto, piazze piene di vita e strade soleggiate con lo sfondo di un mare limpido e cristallino che ha qualcosa di commovente.
Quella che da maggio a ottobre inoltrato diventa una vera e propria cartolina animata a misura di turista, tendenza che forse, nell’ultimo decennio, ha intaccato il fascino della sua rustica originalità, si rivela un territorio ricco di stratificazioni paesaggistiche e storiche, soprattutto legate alla saga di una delle più celebri e ricche dinastie italiane di tradizione industriale, i Florio, le cui vicende sono attualmente narrate nella serie in onda su RAI1 “I Leoni di Sicilia”.
Protagonisti della Bella Époque italiana ed europea, questa famiglia di origini calabresi costruì tra l’Ottocento e i primi del Novecento in Sicilia un impero aziendale che spaziava dalla chimica alla vineria, dalle flotte navali all’industria del turismo, stabilendo proprio a Favignana una delle loro maggiori e più redditizie attività, quella legata all’industria del tonno.
L’ex stabilimento Florio, che con i suoi 32.000 mq di superficie è considerata la più grande tonnara del Mediterraneo, è oggi un vero gioiello di archeologia industriale che, a seguito di un complesso recupero conservativo avviato dalla Regione Siciliana nel 2003 e conclusosi nel 2009, mantiene il suo originario splendore e ripropone la storia della pesca del tonno e degli uomini che hanno vissuto in maniera quasi eroica questo antichissimo rito. Un “nuovo opificio”, nell’accezione di luogo del lavoro e di spazio delegato alla produzione, è riemerso da un lungo stato di abbandono e degrado, tornando a pulsare di vita e a produrre reddito, dove storia e tradizioni secolari si mescolano all’arte e alla fotografia contemporanea.
Pur mantenendo l’originale suddivisione in reparti (Magazzino Generale, Magazzino del Carbone, la “Casa dell’olio” dove avveniva il processo di conservazione del tonno in olio d’oliva invece che nel sale, geniale intuizione di Ignazio Florio che fu messa in pratica in questo stabilimento per la prima volta, e poi gli spogliatoi, le sale mensa), questi ambienti ospitano oggi, oltre ai macchinari originali e le attrezzature dell’epoca, le preziose collezioni fotografiche di grandi maestri internazionali come Sebasião Salgado, Renè Burri, Ferdinando Scianna e Herbert List che nel corso del Novecento si recarono in questi luoghi lasciandone preziose testimonianze attraverso i loro scatti.
Oggi sede di atelier per residenze d’artista, l’ex Stabilimento Florio ospita inoltre una sezione dedicata alla fotografia contemporanea e all’indagine dei giovani artisti del progetto “Immaginarium, nuove produzioni e sperimentazioni nella fotografia italiana contemporanea”, vincitore dell’avviso pubblico “Strategia Fotografia”, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Recentemente acquisite dal comune di Favignana – Isole Egadi, le opere di Alessanfdra Calò, Giorgio Di Noto, Nicolò Degiorgis e Valentina Vannicola, con la curatela di Arianna Catania, affrontano con diverse chiavi di lettura il paesaggio dell’Isola che li ha ospitati durante un periodo di residenza artistica.
Nel suo progetto Stratificazione, Giorgio Di Noto (Roma, 1990) ha lavorando sul concetto di alterazione e stratificazione geologica del territorio dell’isola e sull’estrazione del tufo bianco, altra grande risorsa che ha lasciato profondi segni nel paesaggio favignanese con enormi grotte e cave di estrazione poi trasformate in giardini ipogei. “Ho cercato di rappresentare questa atmosfera lavorando sul concetto di alterazione e stratificazione, quindi sullo stesso processo che ha formato e caratterizzato quest’isola. Ho voluto quindi sperimentare un approccio che potesse far interagire gli elementi materiali e naturali di Favignana con le fotografie”. Con la rappresentazione di un paesaggio aggressivo e spettacolare, alterato dall’erosione e dagli interventi umani Di Noto presenta in una serie fotografica in cui calcare, sabbia e sale marino sono entrati in contatto con l’emulsione fotografica, lasciando tracce di un nuovo paesaggio imprevedibile e a tratti astratto.
Nella serie “χθόνιος” l’artista Alessandra Calò (Taranto 1977) utilizza il mezzo fotografico come strumento per documentare lo stato dei luoghi, scavando nella memoria e facendo leva sulla necessità di reinstaurare quel legame ancestrale tra uomo e natura, con un’ imprescindibile riflessione sull’identità. “La storia è il risultato di ore di cammino, osservazione e ascolto di tutti gli elementi vivi che compongono l’isola: la terra, la pietra, la gente. In questo preciso ordine ho cercato di costruire (o forse ricomporre) una serie di avvenimenti che hanno caratterizzato e reso unico questo luogo” sostiene l’artista. Partendo dalla terra, che i pirriaturi scavavano per portare alla luce la pietra – la calcarenite – Calo’ è arrivata alla terra, che oggi è custodita nelle cavità che danno luogo ai giardini ipogei, dando vita ad un’onirica mescolanza di immagini, leggende, fatti appartenenti all’attualità che si mescolano con mitologie lontane in una serie di box retroilluminati avvolti di mistero e poesia.
“Vi prego tener l’isola pulita”. Prendendo a cuore questo grande graffito visibile nel pieno centro della città, sulle mura di cinta erette attorno ad un antico castello oggi trasformato in carcere, Nicolò Degiorgis (Bolzano, 1985), ho voluto riflettere sul senso di una residenza d’artista e, attraverso il valore della documentazione, sulle ripercussioni delle azioni umane sull’equilibrio di un ecosistema.
Cosi nasce Il rifiuto dell’oro, un’azione che si traduce in serie fotografica caratterizzata dall’atto di raccolta dei rifiuti depositati sulle coste europee, con particolare attenzione al colore blu. Assieme a Il rifiuto dell’oro, in mostra è presentato Alibaba, installazione sul tema dei migranti che raccoglie un’infinità di piccole immagini di gommoni colorati estrapolate dal sito Alibaba, dove i gommoni, pubblicizzati come appositamente concepiti per il trasporto di profughi, erano acquistabili come un qualsiasi oggetto di uso comune prima che un acceso dibattito sulle testate europee portasse alla loro rimozione.
La serie fotografica Terra cava di Valentina Vannicola (Roma, 1982) prende spunto da una riflessione dell’antropologo e paleontologo André Leroi-Gourhan sui modi di rappresentazione mitografici individuati nelle manifestazioni grafiche del paleolitico, dove per mitogramma s’intende un’immagine in cui più elementi sono disposti in uno spazio “irraggiante”, in cui le figure sono le protagoniste di un’operazione mitologica.
Un esempio di questa manifestazione grafico-linguistica è presente nelle Isole Egadi, precisamente nella grotta di Cala dei Genovesi (Levanzo) che ospita un complesso di figure parietali preistoriche di fondamentale importanza. Tale suggestione si inserisce nell’osservazione del paesaggio delle Egadi, e in particolare di Favignana, caratterizzato da una forte struttura ipogea dove si susseguono grotte, sprofondamenti, cave ed erosioni. Ed è proprio qui, tra il buio e la luce, il pieno e il vuoto che avviene la messa in scena per immagini di Valentina Vannicola, dove i personaggi evocano, attraverso una nuova reinterpretazione iconografica, i caratteri simbolici delle antiche pitture rupestri. “In un mitogramma contemporaneo, le figure spariscono o affiorano dal paesaggio, si fondono con esso e in esso performano l’atto magico di cattura e irradiazione della luce, elemento abbacinante di un’isola ricca di ombre perturbanti” (Valentina Vannicola).