I corpi improbabili di Erwin Wurm a Venezia

Erwin Wurm e Venezia sembrano condividere un destino comune: entrambi sono maestri nell’arte dell’ambiguità e del linguaggio spezzato. Ora, Wurm si misura con il Salone Sansoviniano della Biblioteca Nazionale Marciana, un luogo in cui ogni parete è un racconto di grandezza e vertigine. E lo fa con le sue sculture, mettendole in dialogo con i giganti del Rinascimento, come se la contemporaneità potesse sussurrare segreti ai maestri del passato.

Il ritorno di Wurm a Venezia, con la sua mostra “DEEP”, è quasi un incontro con se stesso. Due anni fa, nello stesso luogo, aveva presentato Avatars, e nel 2011 e nel 2017 aveva già incrociato le rotte della Biennale, come se questa città fosse una tappa obbligata per chi ha qualcosa di serio da dire sul presente. Stavolta, però, l’incontro sembra più intimo, più profondo, come suggerisce il titolo stesso dell’esposizione. Le sue opere dialogano con i dipinti di Tiziano, Tintoretto e Veronese, senza timore, in una conversazione fatta di materia e di spazio, in cui le sue sculture interrogano il tempo, si scontrano con la perfezione rinascimentale e aprono crepe di ironia e riflessione.

Camminando per il Salone, si ha la sensazione di trovarsi al centro di un dialogo impossibile. La luce soffusa, filtrata dalle tende che celano appena i contorni del passato, avvolge le opere in un‘intimità insolita. Le figure senza volto, con gambe esili che sorreggono volumi improbabili, sono presenze silenziose che osservano e interrogano chi le guarda. Nell’ampio respiro della sala, con il pavimento a scacchi che amplifica ogni movimento, si percepisce un senso di sospensione, come se le sculture danzassero su un filo invisibile tra ironia e riflessione.

Opere provenienti da diverse serie come “Substitutes”, “Neuroses” e “Box People”, non sono altro che corpi deformati e oggetti antropomorfizzati che raccontano di un’umanità che cerca di adattarsi, ma finisce per deformarsi, per diventare altro. Il suo è un gioco pericoloso, che sfida le convenzioni e svela il lato grottesco della nostra società.

Accanto a queste opere, le sculture in vetro – versioni eteree delle sue “Fat Cars” e “Melting Houses” – aggiungono un ulteriore livello di complessità. Il vetro, materiale che per definizione gioca con l’assenza e la presenza, diventa il veicolo perfetto per esprimere il concetto di precarietà, di mutevolezza. Qui, Wurm sembra dirci che tutto può sciogliersi, tutto può diventare trasparente e invisibile, proprio come le nostre certezze, come i nostri desideri.

Lo spazio che le ospita, solenne e ricco di storia, non le sopraffa: al contrario, le accoglie come vecchi amici, figure di un altro tempo venute a raccontare un paradosso moderno. Ogni piega di stoffa sintetica, ogni curva morbida e surreale del corpo senza testa sembra voler dire qualcosa sull’essere e sull’apparire, sulla nostra condizione contemporanea fatta di identità flessibili e precarie.

La mostra, organizzata dall’Association for Art in Public e sostenuta da Berengo Studio, fa parte del progetto espositivo “At Home Abroad”, una serie di incontri tra artisti contemporanei e la sede marciana. In questo dialogo tra passato e presente, artisti come Bernar Venet e Jiri Georg Dokoupil esplorano, in sintonia con il tema della 60ª Biennale “Stranieri ovunque”, il concetto di essere stranieri, di sentirsi altro. Per Wurm, che ha sempre sfidato il concetto di identità e apparenza, Venezia diventa il palcoscenico ideale per interrogare il significato di essere fuori luogo e, allo stesso tempo, perfettamente a casa.

Erwin Wurm è noto per aver stravolto il linguaggio della scultura. Le sue “One Minute Sculptures”, dove persone assumono pose improbabili con oggetti comuni, sono diventate un simbolo di come si possa ridefinire un genere intero con un gesto ironico e surreale. Da anni, i suoi cetriolini, le salsicce viennesi e le sue “Fat Cars” ci raccontano una quotidianità distorta, amplificata fino a diventare ridicola e tragica insieme. Ma dietro l’ironia, c’è sempre un’intensa riflessione su cosa significhi essere umani, su come ci relazioniamo agli oggetti che ci circondano, su come ci definiscono.

In questa mostra, le sculture di Wurm non si limitano a riempire lo spazio: lo interrogano. Nelle magnifiche sale di Piazza San Marco, un tempo simbolo del potere e del sapere, i suoi lavori si fanno beffa di quei valori, o forse li ripensano, li demistificano.

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