Joker è forse il più iconico antagonista di Batman e rappresenta una figura unica tra i cattivi dei fumetti. Più di un semplice criminale, Joker incarna caos, anarchia e follia, rendendolo una minaccia imprevedibile e complessa. In questo breve articolo, analizzeremo come Joker sia diventato un “clown neo-moderno della violenza“, esplorando le sue radici storiche nel circo, nella pantomima (espressioni di emozioni attraverso l’uso del corpo) del XIX secolo e nelle riflessioni estetiche di filosofi come Baudelaire e Adorno.
Il clown violento, una figura presente nelle pantomime circensi del XIX secolo, si allontanava dall’immagine tradizionale del clown buffo e inoffensivo. Personaggi come Pierrot (Dick, Kay. 1960. Pierrot. London, Hutchinson), resi famosi da artisti come Gaspard Debureau (1796-1846), introducevano un aspetto di violenza e brutalità che sfidava le convenzioni, a tal punto che nel 1842 tragicamente muore nella scena (Théâtre des Funambules). Pierrot, spesso rappresentato come un personaggio dalle azioni moralmente discutibili, incarnava la disconnessione tra la facciata comica e la violenza che si nascondeva sotto la superficie. Questa ambivalenza tra il divertente e il brutale è alla base dell’estetica di Joker.
Personaggi come Pierrot, con la loro malinconia e deformità, sembrano anticipare la complessità di Joker. Mentre Pierrot esprime una tristezza più sottile, Joker porta questa deformità emotiva a un livello estremo, trasformando il dolore in violenza pura. Sebbene Joker sia molto più violento e imprevedibile, entrambi i personaggi condividono il tema della maschera e del contrasto tra il viso dipinto e il vero sé interiore. Pierrot può essere visto come una versione più introspettiva e sensibile, mentre Joker rappresenta una distorsione estrema del clown, dove la tristezza si trasforma in caos e violenza.
Secondo la studiosa Anna Jürgens, nel suo saggio Batman’s Joker, a neo-modern clown of violence (Journal of Graphic Novels and Comics, 2014), Baudelaire vedeva nella violenza dei clown circensi un riflesso dell’essenza della modernità. Questa brutalità estetica, secondo Jürgens, trova piena espressione nel personaggio di Joker. La bellezza, per Baudelaire, implicava sempre una componente di brutalità e deformazione, e questa idea trova la sua espressione nel personaggio di Joker. Theodor Adorno, nella sua Teoria estetica, sviluppa ulteriormente questo concetto, sostenendo che l’arte moderna deve abbracciare l’elemento del brutto e del violento per criticare la società che lo crea e lo riproduce. In questo senso, Joker è il perfetto esempio di come l’arte moderna possa essere una manifestazione di violenza, non solo fisica, ma anche psicologica e sociale.
Joker, come clown neo-moderno, eredita molte delle caratteristiche dei clowns violenti del XIX secolo. Tuttavia, mentre i clown circensi agivano all’interno di un contesto teatrale limitato, Joker estende la sua violenza nel mondo reale, invadendo la vita quotidiana delle sue vittime. Questo aspetto è particolarmente evidente nella rappresentazione di Joker nel film The Dark Knight di Christopher Nolan, dove Joker, interpretato da Heath Ledger, sfida Batman non solo attraverso atti di violenza, ma mettendo in crisi l’ordine stesso della società.
La relazione tra Batman e Joker è una delle più emblematiche della narrativa moderna. Batman rappresenta l’ordine, la legge e il controllo, mentre Joker incarna il caos e l’anarchia. Tuttavia, come evidenziato da molti critici, i due personaggi non sono poi così diversi. Entrambi sono estremisti, e mentre Batman cerca di controllare il caos con una sorveglianza totalitaria quasi da regime, Joker usa la violenza per smascherare l’ipocrisia delle istituzioni.
Un altro elemento che rende Joker un personaggio affascinante è la sua ambiguità. A differenza di Batman, la cui origine è chiara e definita, Joker non ha una storia d’origine fissa. Le sue cicatrici, simbolo della sua trasformazione in un mostro comico, sono state spiegate in modi diversi, come nel caso del film di Nolan, dove Joker offre due versioni contrastanti di come abbia ottenuto il suo sorriso permanente. Questa fluidità nel passato di Joker lo rende ancora più inquietante, poiché rappresenta l’incertezza e l’imprevedibilità del male.
Come sottolinea Anna Jürgens, le radici iconografiche di Joker si collegano a personaggi come Gwynplaine, il protagonista de L’uomo che ride di Victor Hugo. Gwynplaine, con il suo sorriso scolpito in volto, è un precursore evidente del Joker. Gwynplaine, un bambino abbandonato e mutilato da un’operazione chirurgica che gli ha lasciato un sorriso permanente, è un precursore del Joker. La sua faccia, sempre sorridente, provoca una risata involontaria nel pubblico, ma dietro quel sorriso si nasconde un dolore immenso. Come Gwynplaine, Joker è una figura tragicomica, il cui sorriso maschera una realtà ben più oscura. Sempre nella letteratura, ancor più macabra delle rappresentazioni teatrali troviamo il Pierrot sceptique di Huysmans che trasforma il suo eroe in un mostro meccanico, una marionetta del male che agisce come un clown” (Simon, Alfred. 1988. La planète des clowns. Lyon: La Manufacture)
Nel corso degli anni, la rappresentazione di Joker è diventata sempre più violenta. Nei fumetti più recenti, Joker non è più solo un clown malizioso, ma un vero e proprio mostro omicida. In opere come Batman: The Killing Joke di Alan Moore, Joker è mostrato come un sadico che cerca di dimostrare che chiunque, se sottoposto a sufficiente stress, può diventare folle come lui. Questa versione di Joker incarna l’idea che la violenza e la follia siano intrinseche alla natura umana.
In conclusione, Joker è molto più di un semplice cattivo. È un riflesso delle paure e delle contraddizioni della modernità. Come clown neo-moderno della violenza, Joker pare sottolineare che la linea tra il comico e il tragico, tra l’ordine e il caos, è incredibilmente sottile. La sua figura ci sfida a riflettere sulla natura della violenza nella società moderna e sul ruolo dell’arte nel rappresentare e criticare questa violenza.
Abbiamo citato Adorno ma egli non è il solo a collegare violenza e arte. Friedrich Nietzsche, nel suo La nascita della tragedia, vedeva la tragedia greca come una celebrazione della violenza della vita, in cui il caos e il dolore erano resi significativi attraverso l’estetica. Walter Benjamin, nel suo saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, parla di come l’estetizzazione della politica, tipica dei regimi totalitari, sia una forma di violenza estetica, in cui la rappresentazione visiva serve a legittimare la distruzione e la guerra.
In sintesi, la violenza nell’estetica non è solo rappresentazione di atti brutali, ma un mezzo per svelare e criticare le tensioni della società. In un successivo approfondimento sarebbe interessante chiedersi quando una critica alla società, da forma di arte, diviene meme popolare, per poi trasformarsi in generatrice di violenza vera. Quando quindi un uso estetico della violenza la attualizza? I movimenti di imbrattatura delle opere d’arte possono essere derivati da opere cinematografiche come Joker o la Casa di Carta?