“La sola parola libertà è tutto ciò che ancora mi esalta. […] Ridurre l’immaginazione in schiavitù, fosse anche a costo di ciò che viene chiamato sommariamente felicità, è sottrarsi a quel tanto di giustizia suprema che possiamo trovare in fondo a noi stessi” scrive André Breton nel Manifesto del Surrealismo del 1924, che sancisce la nascita del movimento stesso.
Numerose istituzioni europee e non – Bruxelles, Monaco di Baviera, Germania, Francia, Stati Uniti – celebrano il centenario dell’emblematico movimento artistico novecentesco, nato in Francia poi diffusosi a livello globale. L’Italia, in particolare la Fondazione Magnani Rocca in provincia di Parma, omaggia la tendenza artistica con la mostra Il Surrealismo e l’Italia, che dal 14 settembre al 15 dicembre ospita le opere dei più influenti artisti surrealisti.
La Villa dei Capolavori a Mamiano di Traversetolo, sede delle grandiose opere permanenti di Goya, Van Dyck, Dürer, Monet, Renoir, Morandi, Burri accoglie in quest’occasione le opere oniriche e irrazionali di Max Ernst, Leonor Fini, Joan Mirò, Rene Magritte, Giorgio De Chirico, Enrico Baj e molti altri. L’esposizione curata da Alice Ensabella, Alessandro Nigro e Stefano Roffi esplora, attraverso 150 opere eterogenee, l’universo immaginifico e fantastico del Surrealismo, movimento che rivoluziona radicalmente la percezione comune dell’esistenza stessa. Abbattendo i muri dell’arte borghese, distruggendo la dimensione del reale, il movimento inaugura labirinti inconsci mediante il predominio dell’irrazionalità sfociante nella follia – percepita come metodo creativo e di liberazione individuale – l’automatismo psichico puro, la dimensione onirica e la scrittura automatica.
Il percorso espositivo si sviluppa in due macroaree tematiche: la prima trama presenta il Surrealismo internazionale e il suo approdo in Italia – mediato attraverso l’agire pittorico di de Chirico e Savinio di ritorno dalla Francia nel ’30 – ivi sono esposti alcuni dei lavori più emblematici della dimensione surrealista, rappresentata da Magritte, Dalì, Ernst, Masson, Tanguy, Duchamp. È l’elogio delle creature umane e non umane di Max Ernst, come Divinità del 1940: figura femminile avanzante con incedere inquietante in un mantello piumato rosso e accompagnata da un grande uccello sulla spalla. La ricchezza surrealista è espressa dalla varietà di media artistici utilizzati: pittura, fotografia, ready-made, collage, object-trouvés, tutti miranti ad indagare la dimensione inconscia surrealista.
La seconda parte dell’esposizione esplora il surrealismo italiano dagli anni Trenta, le reminiscenze dei surrealisti francesi, gli accordi stilistici e ideologici, le tecniche artistiche, indagandone però i punti di originalità e l’emancipazione pittorica dello stesso movimento italiano. L’indagine della scena surrealista in Italia consente di analizzare l’insorgere di due tendenze principali: un gruppo che intrattiene legami saldi con “la scuola” francese e l’altro che orienta le proprie ricerche verso un filone fantastico attraverso opere visionarie e allucinate.
Tra questi ultimi Leonor Fini, pittrice outsider, che adotta uno sguardo inedito sulle cose, esorta a conseguire il ribaltamento del reale, del quotidiano, mediante il raggiungimento del fantastico, del meraviglioso; secondo l’artista tutto risiede nella capacità di saper guardare diversamente, andar oltre lo strato primo della superficie. Sostituendo la realtà con un non luogo spaesante, gli oggetti e le figure rappresentate dai surrealisti sono “simboli di un mondo interno che assume forme archetipiche, totemiche, raffigurano ossessioni, tensioni, conflittualità che ricorrono […] come risvegliare le pulsioni più intrinseche che rimangono nascoste nello stato di veglia e invece si liberano nel sogno” scrive Alessandra Scappini in una sua monografia.
La mostra alla Fondazione oltre che celebrare le grandi opere estere e italiane legate al surrealismo, indagano il ruolo svolto da gruppi di galleristi e collezionisti – Brin, Cardazzo, Del Corso, Tazzoli, Schwarz, Sargentini, Jolas, Guggenheim – nella diffusione dell’avanguardia.
Oltre a pervadere lo spettatore del dubbio esistenziale, dello spaesamento visivo e del disorientamento razionale le opere lo proiettano in un mondo potenziale in cui essere e non essere, ordine e caos, figurazione e astrazione, reale e immaginario si confondono continuamente. La mostra di Traversetolo è una soglia tra i due mondi confinanti della realtà oggettiva e dell’onirismo psicanalitico. È un viaggio interiore fantastico in cui fermarsi a contemplare, invece, significa errare, accedendo al mondo oltre la soglia. D’altronde: “per lo spirito, la possibilità di errare non è piuttosto la contingenza del bene?” recita già il Manifesto Surrealista nel 1924.