Federico Gori esplora la ciclicità e la trasformazione della natura a Verona

La mostra personale di Federico Gori, DEVENĪRE, è già aperta presso il polo culturale Habitat Ottantatré e sarà visitabile fino al 9 novembre 2024. L’esposizione, curata da Annalisa Ferraro con la direzione artistica di Zeno Massignan, ha inaugurato il 5 ottobre con una giornata interamente dedicata all’apertura.

In uno spazio di oltre duecento metri quadri, la mostra presenta una selezione di opere che racchiudono gli ultimi dieci anni di produzione dell’artista toscano, concentrandosi sui temi della permanenza e impermanenza della natura, della sua resilienza e delle trasformazioni inesorabili che la caratterizzano. Le opere esposte mettono in evidenza l’eterogeneità di materiali, linguaggi e tecniche artistiche, impiegati per catturare l’essenza vitale del mondo naturale, sia vegetale che animale, in un contesto che supera il tempo lineare per collocarsi in un tempo ciclico e fluido.

Federico Gori utilizza il rame come uno dei materiali principali della sua ricerca. Il processo di ossidazione del rame, che continua nel tempo, rappresenta simbolicamente il continuo divenire della natura, mantenendo le opere in un presente perenne. Il rame reagisce al passare del tempo e agli stimoli ambientali, incarnando la ciclicità e la metamorfosi che caratterizzano il mondo naturale. Gori si ispira non solo agli organismi viventi contemporanei, ma anche a quelli di ere passate, che vengono rievocati nelle sue opere grazie all’uso di materiali che mutano lentamente.

Una delle opere centrali della mostra è Estinti, installata nella prima sala di Casa Contemporanea, dove Gori riesce a oltrepassare le barriere temporali riportando in vita organismi ormai scomparsi, rendendoli nuovamente attivi e reattivi nel presente. In La somiglianza per contatto, l’artista utilizza la terra di diatomee, un materiale organico sedimentario che custodisce fossili di milioni di anni. I calchi di rami e tronchi distribuiti nello spazio espositivo evocano una foresta primordiale, suggerendo un processo di metamorfosi e la rinascita di un ciclo vitale.

Il lavoro di Gori spesso trae spunto da fonti scientifiche, ma le sue opere si evolvono fino a distaccarsi dalle loro origini, per approdare a una reinterpretazione tecnica e concettuale. I suoi lavori sono sospesi tra la fedeltà ai fenomeni naturali e l’illusione creata dall’arte, mantenendo un legame con il contesto originale ma ricollocandolo in una nuova dimensione spazio-temporale. Un esempio è Underground, in cui l’artista esplora ciò che rimane invisibile sotto la superficie, rivelando una natura sotterranea che vive e si trasforma in parallelo rispetto al mondo visibile.

L’uomo, pur essendo impercettibile, è presente in tutte le opere di Gori. Egli si manifesta nelle tracce che l’artista raccoglie dalla natura, nel suo tentativo di comprendere i cicli vitali degli organismi e nel suo rituale di osservazione e interazione con l’ambiente. Questo approccio si concretizza in 13.12, un’opera che rappresenta la paziente attesa legata ai cicli della natura. Il tempo che separa una vangata dall’altra simboleggia il rapporto dell’uomo con l’ecosistema, in cui si ristabilisce un equilibrio tra la fragilità umana e la resilienza della natura.

13.12 segna sia l’inizio che la fine di DEVENĪRE, rappresentando la sintesi del progetto espositivo. Le sue radici affondate nella terra richiamano la lentezza e la ripetitività dei cicli naturali, invitando l’uomo a riconoscere l’inevitabilità del tempo e ad aspettare il momento del raccolto.

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