Jean Tinguely, l’estetica del rumore e la “poetica” del movimento da Pirelli Hangar Bicocca 

Jean Tinguely torna in Italia con una mostra da Pirelli Hangar Bicocca, curata da Camille Morineau, Lucia Pesapane, con Vicente Todoli e Fiammetta Griccioli

Un groviglio di ingranaggi, ruote di varie grandezze e materiali di scarto: rifiuti della società dell’abbondanza che Jean Tinguely (Friburgo, 1925 – Berna, 1991), nel corso della sua carriera artistica, ha recuperato e riutilizzato per creare sculture. Dispositivi meccanici di ferro, acciaio, metallo e materiali elettrici, come le due enormi Cercle et carré-éclates (1981) e Méta-Maxi (1986), accolgono lo spettatore all’ingresso delle Navate di Pirelli Hangar Bicocca. Oppure la scenografica Requiem pour une feuille morte (1967), con il fondo retroilluminato in bianco e nero. Una scelta quella del monocromo in risposta all’estetica consumistica e coloristica della Pop Art, dichiarando così la sparizione dell’oggetto attraverso un “gesto anti-nuovi realisti per eccellenza – niente più nuovi realisti, niente più oggetti da trovare”.

Ma ci sono anche oggetti di uso quotidiano, come pentole, vestiti, pelli di animali e piume. In Ballet des pauvres (1961), questi elementi sono sospesi a dei fili di ferro sorretti da una base che pende dal soffitto. Nella serie dedicata ai filosofi, a ciascuno di loro è associato un oggetto simbolico: la sedia per Frank Wedekind, la maschera di carnevale e le piume per Jacob Burckhardt.

Cercle et carré-éclates, 1981 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024 MAH, Musée d’art et d’histoire, Ville de Genève Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano Jean Tinguely: © SIAE, 2024 Foto Agostino Osio

Opere spesso monumentali, esito di smontaggi e rimontaggi, nascono anche dalla sua passione per le auto da corsa, visibili nell’iconica Pit-Stop (1984), in Shuttlecook (1990) e in quella dedicata a Ferrari. Ironiche e curiose sono le opere in Plateau agriculturel (1978), un prelievo dall’industria agricola, in un insolito colore rosso, o nelle sculture nere (Eos VIII, Bascule V e Spiral IV), più simili a armamenti. Nonostante il peso dei materiali, alcune possono apparire apparentemente fragili, come L’appareil à faire des scultures e Gismo, entrambe degli anni ’60. Un video in bianco e nero, “Le transport”, mostra il loro funzionamento (ma non è presente in mostra per motivi conservativi), in occasione del trasporto delle stesse dallo studio dell’artista alla Gallerie des Quatre-Saisons di Parigi.

Questi dispositivi vengono privati di una ipotetica funzione utilitaristica originaria e si inseriscono all’interno di un’estetica fredda per via dei materiali. Tuttavia, il gesto e la loro composizione si ascrivono a un concetto in cui “La macchina è innanzitutto lo strumento che mi consente di essere poetico”, come cita il booklet della retrospettiva dedicata all’artista svizzero, anticipando di qualche mese il centenario della sua nascita. Una mostra imponente, quella realizzata da Pirelli Hangar Bicocca, che per architettura e estensione mantiene le sue caratteristiche industriali, distanti dal classico contenitore museale. Proprio per questo si colloca in una sintonia perfetta con la pratica di Tinguely, che, guardando all’industria, alla meccanica e alle possibilità offerte dalla tecnica dell’età modernista, ha prodotto opere innovative, smarcandosi dal rischio di un’arte da museo (sebbene abbia esposto nei musei di tutto il mondo).

Jean Tinguely Veduta della mostra, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024 Primo piano: Jean Tinguely, Café Kyoto, 1987 Museum Tinguely, Basel. Donation Niki de Saint Phalle. A cultural commitment of Roche Secondo piano: Jean Tinguely e Niki de Saint Phalle, Le Champignon magique, 1989 Niki Charitable Art Foundation, Santee Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano Jean Tinguely: © SIAE, 2024 Foto Agostino Osio

La curatrice Camille Morineau e Lucia Pesapane, insieme a Vicente Todoli e Fiammetta Griccioli, raccontano come la sua sia stata un’arte anti-museo, anti-pop. Una scelta che si è materializzata anche con la creazione, intorno all’ultimo ventennio del secolo scorso, di un luogo che sarebbe diventato per lui atelier, ma anche uno spazio condiviso e collettivo in cui ospitare le istanze culturali più interessanti dell’epoca: il Torpedo Institut all’interno della fabbrica abbandonata La Verrerie, chiuso alla sua morte.

Gli spazi industriali delle Navate costituiscono un intricato e rumoroso viaggio. A volte ruvido, altre respingente di fronte a apparecchiature gigantesche, a tratti provocatorio (soprattutto se consideriamo il contesto storico dell’epoca), ma sincero e lontano da aspetti puramente commerciali. Sono circa quaranta i lavori esposti, grazie a prestiti privati o pubblici e alla preziosa collaborazione del Museum Tinguely di Basilea. Il progetto architettonico di Mario Botta si affaccia direttamente sul fiume Reno e custodisce la più grande raccolta di opere dell’artista. Da quelle cinetiche degli anni ‘50, alla produzione del ‘60 con il Nouveau Réalisme, fino agli anni ‘70 e ‘80, grazie anche alla donazione della moglie e artista Niki de Saint-Phalle (Neuilly-sur-Seine, 1930 – La Jolla, 2002), celebrata anch’essa con una mostra appena inaugurata al Mudec, curata da Lucia Pesapane. Da Pirelli Hangar Bicocca, una imponente scultura Le Champignon magique (1989) ricorda la loro unione e collaborazione artistica: da un lato le forme e i colori riconoscibili nella Nana di Niki de Saint-Phalle, dall’altro il vibrante dinamismo di Tinguely.

Jean Tinguely Pit-Stop, 1984 Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2024 Museum Tinguely, Basel. Donation Niki de Saint Phalle. A cultural commitment of Roche Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano Jean Tinguely: © SIAE, 2024 Foto Agostino Osio

C’è tutta la sua pratica che ruota attorno a elementi ricorrenti, come il riciclo dei materiali, ma anche l’uso della luce, con la produzione di “sculture lampada”, tra cui la sinuosa L’Odalisque (1989), presente in mostra insieme a un corposo gruppo di opere. Dispositivi meccanici, elettrici e sonori, in grado di generare una disarmonica produzione di oggetti, molte ancora in movimento. Riscopriamo un’estetica del rumore, quella dell’ingranaggio, dello stridere dei bulloni e dei ferri assemblati, quello cigolante delle ruote. Un complesso di suoni disarticolati capace di coinvolgere lo spettatore. La riproduzione in mostra di Méta-Matic No.10 (1959), la macchina disegnatrice, può essere attivata attraverso un pedale dal pubblico.

Il nucleo germinativo di Jean Tinguely ha origine quando la tecnica aveva assunto un ruolo fondamentale nella vita della società contemporanea. Ha sperimentato l’arte cinetica o programmata, la sua vicinanza ai dadaisti, l’ingresso nel gruppo dei Les Nouveaux Réalistes, dal testo del critico Pierre Restany negli anni ’60, con la prima mostra alla Galleria Apollinaire proprio a Milano, e con il suo funerale celebrato nel 1970 in Piazza Duomo, con l’irriverente esplosione pirotecnica de La Vittoria, un fallo color oro, di cui è possibile vedere nel Lab room di Pirelli Hangar Bicocca alcuni disegni preparatori.

La mostra è l’occasione per rinnovare il legame di Jean Tinguely con Milano e l’Italia, a distanza di molti anni (l’ultima mostra risale al 1987, a Palazzo Grassi a Venezia). La sua produzione riflette in maniera ludica e giocosa su questioni anche per noi assolutamente contemporanee: da un lato la crescente società consumistica, con la sovrapproduzione di beni concentrati soprattutto in alcune parti dell’emisfero (e con il conseguente sfruttamento delle risorse in paesi che restano ancora indietro dal punto di vista economico e sociale), dall’altro la relazione con le innovazioni del tempo, il suo con la tecnica e il nostro con la tecnologia.

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