Dal 24 ottobre 2024 al 13 aprile 2025, la Fondazione Elpis presenta la mostra collettiva YOU ARE HERE. Central Asia, una molteplicità di visioni artistiche provenienti dall’Asia Centrale, con la curatela di due curatrici centro-asiatiche, Dilda Ramazan, classe 1993, originaria del Kazakistan, e Aida Sulova, nata nel 1979 in Kirghizistan. Stesse aree di provenienza degli artisti esposti, una scelta singolare che sicuramente riesce a portare quella lettura ancora più vicina rispetto ai lavori esposti dei 27 artiste ed artisti e a ciò che vogliono comunicare.
Un’indagine sull’appartenenza in mondo in movimento, non strettamente solo legata ai luoghi ma anche a quell’inevitabile concetto di identità connesso alle proprie origini, intese non solo come spazio fisico ma anche mentale. Distribuita lungo i tre piani della bellissima sede della Fondazione, nel centro di Milano, nel quartiere di Porta Romana, la mostra si propone di manifestare, attraverso linguaggi e medium differenti – pittura, video, scultura, fotografia, installazioni site specific – “una consapevolezza di sé e un riconoscimento della propria presenza in diversi piani dell’esistenza”.
Per comprendere bisogna partire dal titolo “You are here”, espressione di uso comune utilizzato per orientarsi tra le città, luoghi, strade o Paesi. Da questo spunto, le curatrici hanno invitato le artiste e gli artisti a riflettere sul concetto di presenza e di spazio – fisico, geografico, corporeo e mentale – e, di conseguenza, sulla percezione di sé e sui propri punti di vista, in relazione alle esperienze vissute.
Entrando in Fondazione troviamo l’installazione site specific “Rage Fantasies” di Aika Akhmetova, un’opera di forte impatto e che colpisce immediatamente. L’artista ricrea un pod’ezd – ingresso o androne – che indica l’entrata di un edificio residenziale o il corridoio comune che collega gli appartamenti su ogni piano. È un termine comunemente usato in Russia e nei paesi ex-sovietici, dove gli edifici residenziali sono spesso suddivisi in blocchi con un pod’ezd ciascuno.
Nei contesti urbani russi, è frequente che gli edifici abbiano numerosi pod’ezdy, ciascuno contrassegnato con un numero che aiuta gli abitanti e i visitatori a identificare l’ingresso corretto. In questo caso Akhmetova inserisce la cassetta della posta, scritta, graffiata, da cui fuoriescono oggetti di uso quotidiano, vestiti, fiori, piante: lo spazio diventa un rifugio intimo, personalizzato. In questo modo viene a crearsi una sorta di installazione emotiva, dove l’ambiente vuole evocare l’espressione delle emozioni delle persone che lo abitano, lo attraversano e lo vivono. Intenzionalmente l’artista utilizza anche la parola “mahabbat” (amore), incastrando in quel luogo un insieme di emozioni passionali, circoscrivendole in quello spazio.
L’idea di “intrappolare” le emozioni in uno spazio fisico è forse quello che torna poi in varie opere e che porta con sé i vari temi che vengono affrontati: il tema della memoria collettiva, della sua distorsione e cancellazione; il dialogo intergenerazionale; l’impatto della presenza all’interno della propria comunità; il confine tra uomo e natura.
“Abbracciando e presentando diverse interpretazioni e narrazioni, YOU ARE HERE. Central Asia, vuole essere un tavolo di famiglia metaforico per discussioni aperte, conversazioni critiche e riflessioni profonde”, raccontano le curatrici.
C’è un’opera che accompagna il visitatore per tutta la durata della mostra: “Horizontal Line from the series Öliara: The Dark Moon” di Gulnur Mukhazanova è l’installazione che costeggia la scalinata che conduce dal piano sotterraneo a quello superiore e che ci porta a percorrere questo viaggio. Stratificazioni di tessuti sintetici, colorati, costituiscono una linea d’orizzonte, rimandando a strati di ricordi, lontani e dimenticati ma che comunque permangono. Una linea di orizzonte che in senso metaforico rappresenta il confine tra il conosciuto e l’ignoto, tra ciò che possiamo vedere e ciò che nascosto, tra realtà e immaginazione. È una metafora potente che simboleggia limiti, obiettivi e possibilità, oltre a suggerire il desiderio di andare oltre ciò che è immediatamente comprensibile.
“È nei nostri limiti che riconosciamo l’infinito dentro di noi”, spiega un’altra artista, Zhanel Shakman, “quando una persona sente tensione, si rende conto del valore della libertà ed ostacoli su ostacoli ci spingono a scoprire le nostre possibilità”. La sua scultura “Tar” ha la forma di un corpo femminile con mani sovradimensionate trasformate in un nodo rotondo. Tar in lingua kasaka significa angusto e viene usato per descrivere qualcosa di fisicamente stretto, come uno spazio o un passaggio limitato. Il termine può essere usato in senso figurato per riferirsi a una mentalità chiusa, dunque in questo caso rispetto a certi ruoli imposti dal contesto sociale alle donne.
Ogni lavoro presentato in questa suggestiva esposizione evidenzia possibilità e limiti dell’appartenere.
Ognuno dei 27 artisti, influenzato dalle proprie esperienze individuali e collettive, mostra le sfumature della propria esistenza. Il richiamo ad un’appartenenza fluida, fatta di scelte libere, non sempre coincide con il contesto in cui si nasce, cresce, vive, ed all’interno delle comunità gli artisti riflettono sul loro impatto e sulla presenza fisica, grazie alle proprie consapevolezze.