Alla presentazione ufficiale di Palazzo Citterio, Angelo Crespi si è mostrato visibilmente emozionato, lasciando trapelare tutto il carico di un anno di lavoro intenso e impegnativo. Il direttore Generale della Pinacoteca di Brera e della Biblioteca Nazionale Braidense ha descritto il momento come “storico”, non solo per l’istituzione ma anche per le biografie delle persone coinvolte, sottolineando il valore umano e collettivo di un progetto di questa portata.
L’obiettivo è stato quello di creare uno spazio che non solo valorizzi i capolavori dell’arte moderna e contemporanea, ma che sia in continuità ideale con il patrimonio rinascimentale già custodito a Brera. Una visione che punta a rendere questo luogo un simbolo di dialogo tra passato e presente.
Il secondo piano di Palazzo Citterio e l’ipogeo Stirling sono, infatti, destinati a mostre temporanee. Le prime ad aprire questa stagione di grandi e interessanti esposizioni sono: “La Grande Brera. Una comunità di arti e scienze” e “Mario Ceroli. La forza di sognare ancora”.
Al secondo piano fino al 9 marzo 2025 si potrà visitare “La Grande Brera. Una comunità di arti e scienze” a cura di Luca Molinari. Questa mostra racconta la trasformazione del complesso monumentale di Brera dal 1500 a oggi, passando da un edificio monolitico a un frammento urbano che connette istituzioni, patrimoni e comunità. Suddivisa in tre sezioni, esplora la storia architettonica del Palazzo di Brera e di Palazzo Citterio, e rimescola temi come memoria, creazione e innovazione per illustrare la continuità culturale e civica di Brera.
Come ci ha raccontato lo stesso curatore: “Io mi considero un narratore che produce narrazioni, ma le narrazioni si scontrano anche con lo spazio. E lo spazio al secondo piano è diviso in tre parti, un centro, una destra e, una sinistra. Questa suddivisione è diventata per me metafora del nostro cervello. Il centro è la spina dorsale, dove è posizionato il grande modello, che racconta la grande Brera in maniera completamente sorprendente. La sinistra, la parte del linguaggio e della razionalità, è invece la storia di Brera, che, stanza dopo stanza, dagli umiliati ci porta fino a Palazzo Citterio. La parte destra, che è la parte emotiva e della cognizione dello spazio, invece è quella che rimescola le carte e che racconta tutta Brera mescolando, i suoi diversi mondi”.
Gli abbiamo anche chiesto qual era l’obbiettivo della mostra…
“L’obiettivo era politico-culturale, abbiamo voluto ricordare a Milano la ricchezza che possiede e la sua modernità.Milano è moderna nel midollo, ha usato Brera come un laboratorio di architettura straordinario. Brera e Milano sono un tutt’uno, qua abbiamo la Pinacoteca, l’Accademia, la Biblioteca Braidense, l’Osservatorio Astronomico, l’Orto Botanico, l’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, gli amici di Brera e l’ultimo arrivato lo straordinario Archivio Ricordi”.
All’Ipogeo Stirling sino al 23 marzo 2025 troverete “Mario Ceroli. La forza di sognare ancora” a cura di Cesare Biasini Selvaggi, dieci lavori inediti e site-specific dell’artista Mario Ceroli, realizzati in legno e pensati per interagire in modo dinamico con il pubblico.
Entrando nella Sala Stirling, si è accolti da un’atmosfera quasi sacrale, dove la luce soffusa e le ombre delle sculture ti circondano, amplificando il senso di scoperta. “Mario Ceroli. La forza di sognare ancora”, è una mostra che abbraccia sette decenni di ricerca artistica.
La prima opera che si staglia davanti ai nostri occhi è “Venezia”, un’opera maestosa composta da 62 tronchi di pino provenienti dal giardino dello studio dell’artista. Questi alberi, abbattuti dall’attacco della Cocciniglia tartaruga, sono rinati come omaggio alla Serenissima, simbolo di ingegno umano e resistenza. I tronchi, disposti in una configurazione che evoca le fondamenta su cui poggia Venezia, parlano di fragilità e bellezza, ma anche di memoria.
Procedendo, “La barca di Caronte” ti catapulta nel mito. Qui, il legno, materia primaria di Ceroli, si fa testimone di un viaggio simbolico tra la vita e la morte, un attraversamento che richiama temi classici e contemporanei. Di fronte, “Mare Nostrum” riporta il tuo sguardo al Mediterraneo, luogo d’incontro e scontro di culture, un mare che Ceroli interpreta con elementi essenziali e profondi.
“Non roviniamo la Terra”, è un grido visivo realizzato con metalli ossidati e combusti. Il senso di degrado e rigenerazione si fa palpabile, un invito esplicito a riflettere sull’impatto dell’uomo sul pianeta. Le superfici corrosive, il colore della ruggine, tutto evoca una natura ferita che non smette di farsi ascoltare.
“La mia vita” è invece un’esplorazione più intima e personale: 28 elementi in legno, disposti in una successione apparentemente casuale, rappresentano il tempo che scorre, gli alti e bassi di una memoria che prende vita attraverso la materia. Qui le ombre delle sculture giocano con la luce, creando un teatro visivo che sembra raccontare storie segrete.
La visita si conclude con il documentario “Mario Ceroli – Le forme della meraviglia”, proiettato nell’ingresso antistante la sala. Il film ci porta all’interno dello studio dell’artista a Roma, un luogo dove il tempo sembra essersi fermato, pieno di legno, strumenti, e tracce della sua lunga carriera. Questo approfondimento offre uno sguardo dietro le quinte, svelando il processo creativo di Ceroli.
La mostra è accompagnata da una pubblicazione che raccoglie le immagini delle opere e testi critici, tra cui saggi di Cesare Biasini Selvaggi, Cristina Mazzantini, e dello stesso artista.
Abbiamo raccolto le parole di Cesare Biasini Selvaggi alla presentazione dell’esposizione: “ Mario Ceroli è una persona schietta, vera, quello che troverete nella mostra è una nova serie. Ceroli non si è risparmiato, ha un’energia, un entusiasmo, una coerenza e una fiducia nella verità e la verità è collegata al fare. E Mario Ceroli fa con le sue mani ecco perché la scelta tra i tanti materiali che ha utilizzato anche del legno per non avere la disintermediazione di qualcuno che debba lavorare per lui. Infatti, Ceroli dice -tu non puoi immaginare il piacere di avere addirittura le schegge conficcate nella pelle delle mani -, già questo ci dà l’idea della sua forza”.
E ancora ci spiega che,” per la Grande Brera Ceroli ha pensato a lavori diversi in cui si mette in discussione. Ma il viaggio nel mondo di Ceroli lo continueremo nella seconda tappa che si inaugurerà nel prossimo mese di aprile alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma (con cui la Grande Brera ha stretto una collaborazione). L’opera di Mario Ceroli presentata nella Sala Stirling è un esempio straordinario di interazione tra arte, natura e umanità”.
Cesare Biasini Selvaggi la descrive come un’installazione immersiva e analogica, lontana dalle esperienze digitali ma capace di trasportare il visitatore in un universo di significati. L’elemento centrale è il legno, materiale caro a Ceroli fin dagli inizi della sua carriera a Roma negli anni ’60. All’epoca, l’artista raccoglieva rami e tronchi tagliati dal servizio verde del Comune lungo il Tevere, trasformando questi scarti in opere d’arte.
Racconta ancora Biasini Selvaggi: “Il progetto espositivo è nato attraverso numerosi sopralluoghi nella Sala Stirling, dove Ceroli ha ultimato le opere, adattandole perfettamente allo spazio. Questo processo creativo ha portato alla nascita di nuovi lavori durante l’allestimento, tanto che il catalogo è stato aggiornato all’ultimo momento”.
L’installazione trasmette una lezione profonda anche attraverso la metafora degli alberi: essi, sebbene estranei gli uni agli altri, trovano modi per connettersi e convivere. Una connessione fisiologica e vitale che Ceroli ci invita a riscoprire nel nostro rapporto con l’ambiente e con gli altri. La mostra non è solo un percorso artistico, ma un invito a sognare ancora, a guardare oltre l’ovvio e a scoprire nuove possibilità, attraverso lo sguardo poetico e visionario di uno dei grandi maestri dell’arte contemporanea.