Fabio Viola, Videogame Curator presso il Museo Nazionale del Cinema di Torino, Curatore Area Videogames di Lucca Comics & Games e fondatore del collettivo TuoMuseo.it, ripercorre per noi la storia dell’arte videoludica in termini estetici, comparando la nascita di grandi classici come Space Invader e Tetris alle correnti artistiche alle quali si sono ispirati.
Dopo aver parlato delle radici “minimaliste” dell’estetica dei primi giochi, (QUI potete trovare la prima parte), ci concentriamo sullo sviluppo della narrazione, partendo da videogiochi come Super Mario Bros fino alle complesse ambientazioni 3D di Tomb Raider, che attingono a piene mani dai capolavori del Rinascimento italiano.
Un mercato parallelo è da sempre rappresentato dalle illustrazioni per le confezioni dei videogiochi, alcune delle quali diventate pezzi unici da ammirare e collezionare. Tutto nasce sul finire degli anni ‘70 grazie a Nolan Bushnell e l’artista grafico George Opperman assunto dall’Atari per creare il famoso logo della casa produttrice americana e dar vita a copertine in grado di promuovere al meglio i giochi. Grazie alla collaborazione con artisti iconici come Cliff Spohn, Rick Guidice, Steve Hendricks, Hiro Kimura e tanti altri nascono in pochi anni centinaia di copertine che affondano le radici nel groviglio visuale coagulato nella Bay Area californiana degli anni ‘60.
Sono gli anni della controcultura con l’affermarsi dell’arte psichedelica ed il fiorire di visual pensati per concerti e vinili in cui Art Nouveau, arte vittoriana, Dada e Pop Art si mescolano dando vita a nuovi modelli grafici destinati a ripercuotersi nelle copertine di giochi come Breakout, Codebreaker, Night Driver, Missile Command e Outlaw per citarne alcuni.
La tradizione di grandi illustratori alle prese con le copertine dei videogiochi continua fino ad oggi con vette altissime toccate sul finire degli anni ‘80 grazie ai contributi di artisti come Akira Toriyama per la serie Dragon’s Quest della Enix (1986) e Yoshitaka Amano per la serie Final Fantasy (1987) della Square. Proprio al maestro di Shizuoka si devono decine di immagini diventate iconiche al punto da entrare nel mercato dell’arte “tradizionale” come nel caso della mostra Amano Corpus Animae prodotta da Lucca Comics & Games presso la Fabbrica del Vapore di Milano dal 13 Novembre 2024 al 1 Marzo 2025.
Con l’affermarsi del mercato domestico in parallelo col mondo arcade, i videogiochi conoscono una significativa espansione grazie all’ingresso sul mercato di numerose realtà creative giapponesi destinate a lasciare un segno indelebile, Nintendo e Sega su tutte. A partire dalla seconda metà degli anni ‘80 si assiste alla diffusione del pixel scrolling, tecnica che consente al giocatore di muoversi in mappe più grandi di quanto possa essere mostrato su un singolo schermo.
Prima dell’introduzione del pixel scrolling, i videogiochi erano spesso limitati a schermate statiche o a una sequenza di stanze non connesse narrativamente (Pac-Man, Space Invaders), capolavori come Super Mario Bros (1985) e The Legend of Zelda (1986) della Nintendo o ancora Castlevania (1986) e Metroid (1986) portano il giocatore a muoversi attraverso un percorso coerente all’interno di un viaggio basato su uno spazio concreto. Esplorazioni orizzontali come in Super Mario Bros, verticali come in alcune sequenze di Kid Icarus (1986) o multidirezionali come in Metroid fino all’apoteosi di Sonic the Hedgehog (1991) della Sega in cui velocità e fluidità si combinano con fondali in parallasse per creare una sensazione di movimento senza precedenti.
Senza ombra di dubbio i fumetti rappresentano una fonte di ispirazione significativa per l’arte “scrollabile” dei videogiochi di fine anni ‘80/inizi ‘90 proprio per via dell’assonanza con le strisce dei fumetti in cui il movimento del lettore attraverso i pannelli riflette una narrazione lineare o non lineare. Non bisogna dimenticare l’ascesa del manga giapponese nella cultura globale di quel periodo e la contiguità geografica tra i grandi mangaka del Sol Levante (Akira di Otomo e Dragon Ball di Toriyama) con game designer come Shigeru Miyamoto, autore dei principali capolavori della Nintendo.
Anche a livello occidentale, la nona forma d’arte, stava avviando una stagione aurea grazie a capolavori come The Dark Knight Returns (1986) di Frank Miller e Watchmen (1986-1987) di Alan Moore e Dave Gibbons che anticipano di qualche anno il primo fumetto a vincere un premio Pulitzer, Maus (1986) di Art Spiegelman.
Questo racconto prettamente orizzontale e spazialmente progressivo trova punti di contatto con i rotoli narrativi di stampo orientale, anche noti in Giappone come Emakimono. Questi racconti visuali creano interconnessioni tra ciascuna sezione ma ogni parte può essere apprezzata singolarmente proprio come nei videogiochi ciascun livello è autonomo e indipendente ma si collega direttamente al precedente ed al successivo per avanzamento cronologico e/o spaziale.
Interessante è anche il coinvolgimento attivo del pubblico in entrambe le forme d’arte, nei rotoli è necessaria l’interazione fisica con l’opera perché solo srotolandola è possibile scoprire l’avanzare della narrazione. Nei videogiochi, il giocatore è parte attiva, muovendosi nel mondo virtuale e influenzando la storia con le sue azioni.
Nella seconda metà degli anni ‘90 l’avvento di nuove piattaforme di gioco come Sony Playstation, Sega Dreamcast e Nintendo 64 apre l’era del 3D portando ad un progressivo abbandono della pixel art. Le tre dimensioni permettono di rappresentare oggetti, personaggi e ambienti con una maggiore fedeltà visiva, una corsa al realismo attraverso tecniche come texture dettagliate, illuminazione dinamica e modelli tridimensionali complessi. La rappresentazione stilizzata cede il passo alla cattura della complessità del mondo reale con riferimenti impliciti dalla fotografia, cinema e pittura figurativa. Giochi come Mario 64 (1996), Tomb Raider (1996), Final Fantasy VII (1997) rappresentano un momento di cesoia artistico, e non solo, nell’evoluzione del linguaggio videoludico che presta il fianco a parallelismi con l’arte rinascimento quando artisti come Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti sviluppano la prospettiva lineare, un sistema matematico per rappresentare lo spazio tridimensionale su una superficie bidimensionale. La prospettiva lineare permette di creare un punto di fuga che guida l’occhio dello spettatore verso un centro visivo, dando profondità alla scena.
Nascono così capolavori come la “Trinità” di Masaccio (1427) o l’ “Adorazione” dei Magi” di Leonardo da Vinci (1481) in cui il visitatore può immergersi in mondi realistici e immersivi.
Con l’avvento del XXI secolo ed il definitivo superamento dei limiti tecnici nel mondo dei videogiochi, si apre uno spettro pressoché infinito di estetiche nei confronti di game designer, game artist e game developer. I maestri della decima arte si ritrovano spesso ad attingere al ricco patrimonio precedente cooptando grammatiche visive prese in prestito dalla pittura, scultura, fotografia e cinema. La mostra PLAY – Videogame, Arte e oltre della Reggia di Venaria Reale nel 2021 ha dedicato ampio spazio alle influenze dirette portando sulle stesse pareti frame di videogioco in dialogo con opere originali di De Chirico, Kandinsky, Hokusai, Savinio, Calder e tanti altri.
Le composizioni in movimento di Kandinsky hanno profondamente influenzato la creatività di Tetsuya Mitzuguchi, padre di giochi come Rez o ancora le piazze metafisiche De Chirico hanno plasticamente modellato le architetture e spazialità di capolavori come ICO di Fumito Ueda.