Nosferatu e Dracula: l’evoluzione del vampiro al cinema e nell’iconografia collettiva, da Murnau a Eggers

by Sara Picardi

Per poter comprendere ed apprezzare Nosferatu di Robert Eggers, vale la pena intraprendere un viaggio nella storia cinematografica dei vampiri, con un focus particolare su Nosferatu e Dracula: due nomi distinti, ma essenzialmente due entità gemelle, proiezioni di un’unica matrice oscura. Oltre a essere affascinante, la storia del primo Nosferatu, realizzato nel 1922 da F.W. Murnau, rappresenta un piccolo miracolo che ha cambiato sia la storia del cinema che l’immaginario collettivo legato ai non morti.

Il regista e sceneggiatore tedesco aveva pianificato di adattare il Dracula di Bram Stoker per il grande schermo. Tuttavia, non riuscendo a ottenere i diritti dagli eredi dello scrittore, Murnau fu costretto a rielaborare la storia cambiando i nomi dei personaggi e apportando lievi modifiche. Soprattutto, scelse un nuovo titolo per il suo film: Nosferatu il Vampiro. La trasformazione di Dracula nel conte Orlok non passò inosservata alla vedova di Stoker, che intentò una causa legale contro il regista. La sentenza fu drastica: tutte le copie del film furono condannate al rogo. Miracolosamente, alcune pellicole riuscirono a sfuggire a questo destino, permettendo al non-morto di avere la sua rivincita, lui che nella pellicola trova la fine bruciando sotto i raggi del giorno!

È proprio Nosferatu a introdurre nella mitologia del vampiro l’iconico tratto della vulnerabilità al sole, tratto caratteristico che mancava al Dracula letterario.

Un altro momento cruciale nella ridefinizione della percezione culturale del vampiro si verifica nel 1931, quando Bela Lugosi, con il suo inconfondibile accento est-europeo, dà vita a un conte elegante e sofisticato. La sua interpretazione fu talmente perfetta da segnare indelebilmente la sua carriera, trasformandosi però in una sorta di maledizione: l’attore faticò a trovare altre opportunità lavorative, imprigionato per sempre nel ruolo che lo aveva consacrato. Curiosamente, Lugosi era giunto clandestinamente in America, nascosto nella stiva di una nave, proprio come il suo alter ego cinematografico.

La vita dell’attore, segnata da lotte contro le dipendenze e difficoltà personali, si concluse in modo simbolico: fu sepolto indossando il mantello del conte, suggellando la sua definitiva fusione con il personaggio. Non c’è quindi da meravigliarsi se, ancora oggi, l’immagine del conte Dracula plasmata da Lugosi – elegante nel suo lungo mantello, con i capelli impeccabilmente pettinati all’indietro — continua a vivere nella fantasia popolare.

Il Dracula di Francis Ford Coppola

Bisogna aspettare gli anni Novanta per assistere a una rivisitazione cinematografica di Dracula che riesca a essere davvero memorabile.
Nel 1992, Francis Ford Coppola porta sul grande schermo un’opera straordinaria: Dracula di Bram Stoker. Con un cast eccezionale – Gary Oldman, Winona Ryder e Keanu Reeves – Coppola riporta il vampiro alla ribalta in una versione che, pur intitolandosi come il romanzo originale, si distacca radicalmente dalla sua trama. Il film reinventa la figura del nobile transilvano, introducendo una struggente storia d’amore tra Mina e il conte, rendendo quest’ultimo profondamente umano.

Questo cambio di prospettiva segna un’ulteriore svolta nella rappresentazione dei vampiri, ora ritratti complessi e sfaccettati. Tuttavia il progressivo “addolcimento” del mito ha portato a opere cinematografiche meno incisive e a interpretazioni che, spesso, ne hanno svuotato l’essenza originaria.

Uno dei maggiori punti di forza del film di Eggers è quello di riuscire a ristabilire un legame con l’archetipo originario del non morto. Il conte Orlok interpretato da Bill Skarsgård, la cui bellezza è celata da strati di trucco, è ripugnante. La sua figura rigida evoca non solo il Nosferatu del 1922, ma anche Vlad l’Impalatore, con il suo aspetto antico e l’aura di mistero che richiama le terre dell’Est, un luogo gelido, distante ed intriso di superstizioni.

Lo spettatore viene immerso in un’esperienza che mette in evidenza il talento del regista: il film, pur essendo costruito su silenzi e sospensioni, scorre sorprendentemente rapido. Il pubblico rimane completamente catturato per oltre due ore, nonostante la prevedibilità della trama, ormai ben nota a molti: un vero e proprio incantesimo. Si è rapiti dalla capacità di evocare tematiche spesso dimenticate ma essenziali per il mito dei vampiri, che ne spiegano il successo e la diffusione nel corso dei secoli: il disagio psicologico, la sessualità repressa e la dipendenza.

Ellen Hutter, interpretata magistralmente da Lily-Rose Depp, il cui volto sembra scolpito apposta per questo ruolo, è una figura centrale in questa complessa rete di temi. Ellen è una donna fuori dal comune, profondamente segnata dalla solitudine e dall’incomprensione. Il suo primo incontro con Nosferatu, avvenuto in giovane età, è un’esperienza che la muta indelebilmente. L’essere la affascina e la respinge al contempo, Nosferatu rappresenta la personificazione della sua pulsione di morte, e Ellen intuisce che per salvarsi deve allontanarsi da lui.

La relazione con Thomas Hutter, il giovane innamorato che la sposa, sembra offrirle una via di salvezza, ma la tregua si rivela transitoria. Quando Thomas parte per il suo viaggio di lavoro – destinato a condurlo al castello di Orlok – i lati più oscuri di Ellen tornano a emergere. Sogni angoscianti e pensieri ossessivi iniziano a prendere il sopravvento. Nosferatu infesta la sua mente, fondendo pensieri di morte e desiderio erotico. La perdita di Thomas, seppur temporanea, destabilizza Ellen, spingendola sempre più vicino alla perdizione. I presagi che costellano la narrazione – come le unghie sporche e grottesche di Herr Knock, il datore di lavoro di Thomas che scivolerà poi nella follia – suggeriscono che gli eventi appartengano contemporaneamente sia alla realtà che al regno incomprensibile dell’inconscio, dove l’irrazionale e il paranormale si fondono in un unico, oscuro territorio. Tutto è sospeso sull’orlo di qualcosa di terrificante che può avvenire da un momento all’altro: purezza, perversione e malattia si intrecciano e sono seducenti.

Eggers non lascia nulla al caso, ogni suggestione è simbolica: si pensi alla passione del professor Van Franz (interpretato da un sempre eccelso Daefoe) per i gatti, mentre l’avvento in città di Nosferatu è accompagnato da un’invasione di ratti infetti. Ogni dettaglio, dal modo in cui Thomas viaggia a cavallo invece che in treno come Jonathan Harker, alle atmosfere ostili e gelide delle terre dell’Est, contribuisce a costruire un mondo inospitale, dove i confini tra realtà e mito si dissolvono. I paesaggi per raggiungere il castello di Orlok, popolati da zingari diffidenti e figure che parlano un idioma aggressivo, accentuano il senso di isolamento e il progressivo sprofondare in un abisso sconosciuto.

La fotografia del film è un vero e proprio piacere per gli appassionati del gotico classico, con una scena finale che appare come un quadro magnificamente inquietante, una fusione di morte e bellezza che lascia un senso di angoscia che persiste ben oltre la fine dei titoli di coda. La regia, dal canto suo, trasmette con grande intensità le emozioni dei protagonisti, soprattutto nei momenti più cruciali. Un esempio lampante è il senso di disorientamento che Thomas vive durante la sua prima notte al castello, perfettamente reso allo spettatore attraverso l’uso angosciante e claustrofobico della macchina da presa.

Il Nosferatu di Eggers non è semplicemente un omaggio al passato, ma una reinvenzione che restituisce ai vampiri la loro essenza più autentica: creature ricche di simbolismo, capaci di incarnare le paure e i desideri più oscuri dell’animo umano. Se dal Dracula di Coppola, poetico,  scaturisce la volontà di comprendere e accettare il diverso, il Nosferatu di Eggers è un ritratto inquietante del narcisista incapace di amare, ma ossessionato dalla brama di violare e nutrirsi senza pietà di ciò che desidera. È il vampiro affettivo con cui si desidera ardentemente giacere, nonostante sia un parassita emotivo che certamente porterà alla rovina ma che nulla può contro di noi se non con il nostro permesso.

In questo contesto, la scena cruciale del film è quella in cui Ellen, ormai consumata dal tormento ma desiderosa di baciarlo, dice al vampiro che lui non è capace di amare. Nosferatu risponde definendosi “L’appetito”, evidenziando la natura insaziabile e priva di compassione delle sue brame. I vampiri resteranno immortali finché esisterà l’uomo, poiché incarnano i nostri conflitti interiori, simboli delle attrazioni distruttive e delle dipendenze che ci imprigionano. Sono il riflesso di un’oscurità che non possiamo ignorare, ma che dobbiamo affrontare per trasformarci in qualcosa di nuovo. Murnau aveva colto il cuore della questione: l’unico modo per neutralizzare un vampiro è esporlo, senza paura, alla luce del sole, trasportandolo dal mondo oscuro dell’inconscio alla chiarezza dell’evidenza.

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