Da Milano alla Grande Mela. L’ascesa di Cecilia Alemani
Cecilia Alemani, classe 1977, si laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano (2001). Dopo un breve soggiorno a Londra per imparare l’inglese Cecilia torna in Italia dove lavora in una galleria privata. Un giorno scopre che a New York c’è un master per diventare curatore d’arte presso il Bard College, Center for Curatorial Studies. Era il 2005 e Cecilia aveva 15 anni quando decide di trasferirsi nella Grande Mela per rincorrere un sogno che da lì a breve si sarebbe avverato.
La Alemani vanta un percorso disseminato di record. Prima di tutto, quello di essere la prima under 40 ad aver ottenuto nel 2011 la carica di direttrice artistica dell’High Line Art di New York, contribuendo a creare un modello per la committenza pubblica d’arte e la pianificazione urbana, con murales e installazioni. Grazie al suo operato la High Line, inaugurata nel 2009, è diventata uno dei luoghi più visitati a New York: otto milioni di persone l’anno frequentano questa passeggiata creata al posto di una vecchia ferrovia per treni merce, con vista sul fiume Hudson. Dal 2011 ha prodotto e mostrato il lavoro di più di 200 artisti internazionali, con grandi installazioni site-specific, mostre di gruppo, performance, video, billboard e murales. Ha lavorato con artisti come El Anatsui, John Baldessari, Carol Bove, Olafur Eliasson, Mark Grotjahn, Camille Henrot, Barbara Kruger, Louise Lawler, Paola Pivi, per citarne alcuni.
Dal 2011 è anche curatrice di Frieze Projects, il programma curatoriale non-profit di Frieze New York. Ha collaborato inoltre con molti musei, istituzioni e fondazioni, oltre a seguire anche iniziative meno convenzionali in spazi non-profit e progetti indipendenti. Sempre nel 2011 è stata guest curator per Performa, la biennale di performance a New York. È co-fondatrice di No Soul For Sale, un festival di spazi indipendenti, organizzazioni non-profit e collettivi artistici che ha avuto luogo a X Initiative nel 2009 e alla Tate Modern di Londra nel 2010, per celebrare i dieci anni dell’apertura del museo. Come curatrice indipendente ha organizzato mostre in musei, gallerie e spazi non-profit tra cui Glee, Blum and Poe, Los Angeles (US), 2011; The Comfort of Strangers, MoMA/PS1, New York (US), 2010; Solaris, Gió Marconi Gallery, Milano (I), 2009; ONLY CONNECT, Bloomberg Headquarters with Art in General, New York (US), 2008; boundLES, New York (US), 2007; e Things Fall Apart All Over Again, Artists Space, New York (US), 2005. Ha collaborato, inoltre, con numerose riviste d’arte tra cui Artforum.com, Domus Magazine, Garage Magazine, Mousse Magazine, Klat, Modern Painters, Art Press, October Magazine e Flash Art.
Nel 2017 si piazza direttamente al 78esimo posto come new entry nella classifica dei Power 100 di Art Review a proposito delle personalità più influenti nel mondo dell’arte. Dopo aver curato il padiglione Italia alla 57° Biennale di Venezia, ora Cecilia è pronta per Buenos Aires, in Argentina, dove andrà a dirigere la prima edizione dell’Art Basel City Project. Lanciato dalla Art Basel, che ha fiere in Svizzera, a Miami e Hong Kong, il progetto non ha nulla a che vedere con il mercato dell’arte. L’idea è creare un’esperienza culturale in tre o quattro città nel mondo finora tagliate fuori dalla mappa dell’arte: lavorare con i governi e le amministrazioni locali per stimolare l’effervescenza dell’attività artistica e generare un impatto anche economico. A Buenos Aires sta quindi organizzando una settimana di eventi e progetti di arte pubblica in settembre proprio con questo scopo.
Ma ora passiamo al gossip! Cecilia Alemani e suo marito Massimiliano Gioni sono stati più volte definiti “la coppia più influente del mondo dell’arte”. Lui è stato Direttore della Biennale di Gwanju nel 2010, della Biennale di Venezia nel 2013 e tutt’ora capo della Fondazione Trussardi a Milano. I due si sono conosciuti nel 2004, mentre la Alemani frequentava uno stage nell’edizione di Manifesta di San Sebastián (Spagna) di cui lui era curatore.
Infine, in un’intervista rilasciata ad Artslife, la Alemani ha rivelato la sua visione dell’arte contemporanea italiana ed esposto la sua posizione sulla condizione della donna in questo sistema.
La scena artistica italiana è eccellente. Ci sono ottimi trentenni, ma per loro è più difficile: usciti da scuola non hanno molte opportunità, come ci sono qui – per esempio spazi alternativi e non profit – per sperimentare e rischiare. Così spesso vanno via dall’Italia. Ma anche il nostro Paese ha incredibili grandi istituzioni come la Biennale di Venezia […]. La questione sulle donne nel sistema arte è complicata. Certo c’è molto da dire sull’uguaglianza e su quante (poche) donne sono in posizioni di potere nei musei o hanno le loro opere esposte nei musei. E’ una discussione difficile, ma che può migliorare la situazione.
E sul movimento #metoo ha affermato:
Oltre agli scandali a me interessa il risultato di questo movimento: il risveglio dell’attenzione sulla necessità di chiedere il conto alle persone responsabili, cambiare il modo di organizzare le mostre, e come trattare le colleghe donne. E’ una fase eccitante e anche il mondo dell’arte partecipa a questo movimento per cambiare.