A pochissimo dalla conclusione della grande retrospettiva alla Fondazione Prada a Venezia ripercorriamo le tracce di uno dei massimi esponenti dell’Arte Povera italiana: Jannis Kounellis.
“Jannis Kounellis”, a cura di Germano Celant, è la prima vasta retrospettiva, presso la Fondazione Prada di Venezia, dedicata all’artista dopo la sua scomparsa nel 2017. Il progetto, sviluppato con la collaborazione dell’Archivio Kounellis, riunisce più di 60 lavori dal 1959 al 2015, provenienti da musei e importanti collezioni private in Italia e all’estero. La mostra ricostruisce la storia artistica ed espositiva di Kounellis (Pireo 1936 – Roma 2017) cercando di stabilire un dialogo tra le opere e gli spazi settecenteschi di Ca’ Corner della Regina. La mostra rimarrà aperta fino al 24 Novembre.
Un’arte povera ma non minimalista
Jannis Kounellis è uno dei maggiori esponenti dell’arte povera, movimento italiano il cui termine è stato coniato nel 1967 dal critico d’arte Germano Celant. Questo movimento nacque in aperta polemica con l’arte tradizionale e si caratterizzò per l’uso di materiali considerati poveri come terra, legno, ferro, iuta, stracci, plastica e scarti industriali, col preciso scopo di superare l’idea secondo cui l’arte deve occupare un livello di realtà sovratemporale rispetto allo spettatore. Con la sua arte Kounellis ha saputo superare l’idea secondo cui l’opera d’arte deve avere una distanza nei confronti dello spettatore. Nelle opere di Kounellis, infatti, questa distanza viene meno e i fruitori si trovano davanti a opere capaci di sconvolgere nel profondo: i materiali scelti lasciano un odore, un segno, un’impressione che risvegliano sensi sopiti ma intrinsechi nell’animo umano. Alla base delle sue installazioni c’è una riflessione sulla situazione umana che si trova spesso a subire il peso del destino e soffrirne, non trovando la forza per reagire.
Dal Pireo a Roma: l’eredità greco romana nelle opere di Kounellis
Jannis Kounellis nacque il 23 marzo 1936 nel Pireo, in Grecia. Nel 1956 venne respinto dalla scuola di Belle Arti di Atene e decise di trasferirsi in Italia per iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Roma sotto la guida di Toti Scialoja. In quel periodo Kounellis si avvicinò a una pittura fatta di simboli: le sue prime opere presentarono segni tipografici, segnali stradali, parole, frecce e numeri capaci di veicolare una scomposizione del linguaggio. Veicolano una scomposizione del linguaggio in accordo con la frammentazione del reale che, dal 1964, si ricompone in soggetti ripresi dalla natura, dai tramonti alle rose, quest’ultime attaccate sulle tele con bottoni automatici. Dal 1967, con l’intento di superare l’uniformità tradizionalmente pittorica della sua prima produzione, la ricerca di Kounellis si fa più radicale per inglobare elementi concreti e naturali come terra, cactus, lana, carbone, cotone e fuoco. Si passa dal linguaggio scritto e pittorico a quello fisico e ambientale. Il ricorso a entità organiche e inorganiche trasforma il suo linguaggio in un’esperienza corporea, intesa come trasmissione sensoriale.
L’artista dialoga con tutta l’arte, ma poi ha i suoi preferiti
La vita pittorica di Kounellis è stata influenzata sia da artisti italiani storicizzati come Masaccio e Caravaggio, sia da artisti suoi contemporanei come Alberto Burri, Lucio Fontana e Jackson Pollock. Masaccio e Caravaggio sono stati artisti fondamentali nella formazione di Kounellis perché sono due pittori storicamente rivoluzionari: Masaccio inserì la prospettiva nella costruzione dell’opera d’arte; mentre Caravaggio fu inserito nei manuali di storia dell’arte per l’utilizzo innovativo della luce nei suoi dipinti. Burri, Fontana e Pollock sono stati punti di riferimento per Kounellis perché hanno messo in discussione l’egemonia della superficie bidimensionale del quadro. Jackson Pollock rompe la bidimensionalità grazie alla tecnica del dripping, capace di dare volume alla tela grazie alla materia in eccesso sulla tela; discorso simile vale per le “Attese” e i “Concetti Spaziali” di Lucio Fontana, che con i tagli e i buchi sulla tela, svelano la presenza di una terza dimensione al di là della superficie pittorica. Alberto Burri, infine, insegna a Kounellis l’uso di materiali inediti come i sacchi di iuta: Jannis si spingerà oltre utilizzando anche animali.
Uscire fuori dalla tela per avere la libertà di stabilire un rapporto dialettico con lo spazio
L’interesse di Kounellis è quello di studiare gli aspetti materici dell’arte e le sperimentazioni che portano l’artista e lo spettatore oltre la superficie del quadro.La dialettica tra opera d’arte e spazio circostante si realizza attraverso l’impiego di materiali organici: utilizzando materiali comuni per comporre le sue opere, Jannis Kounellis crea un contrasto evocativo capace di muovere l’animo di chiunque si trovi davanti a una sua opera. Nelle installazioni realizzate dalla fine degli anni Sessanta l’artista innesca uno scontro dialettico tra la leggerezza, l’instabilità, la temporalità dell’elemento naturale e la pesantezza, la permanenza e la rigidità delle strutture industriali. Kounellis partecipa alle mostre che contribuiscono all’elaborazione dell’Arte Povera, la cui adesione si traduce in un’autentica forma di espressione visuale che interpreta la cultura antica in chiave contemporanea, in contrasto con la perdita di identità storica e politica del secondo dopoguerra.
Quando vita e arte coincidono
Senza Titolo (12 Cavalli), l’opera iconica di Kounellis, risale al 1969, quando l’artista presentò 12 cavalli legati nello spazio della galleria L’Attico a Roma. Sebbene appaia come un gesto provocatorio, l’intento di Jannis era far coincidere arte e vita vera, nel tentativo di dare una consistenza pragmatica a una delle immagini simbolo della cultura occidentale attraverso la carnalità, il respiro e il calore dell’animale. Non solo Arte Povera, non solo materiali comuni per poter plasmare un’opera, a partire dagli anni Settanta anche gli oggetti antichi e i frammenti sono stati recuperati con lo scopo di potergli conferire una nuova vita. In tutta la sua ricerca Kounellis sviluppa una relazione tragica e personale con la cultura e la storia, evitando un atteggiamento aulico e reverenziale. Arriva a rappresentare il passato con un insieme incompleto di frammenti di statue classiche come nell’opera del 1974. In altri lavori l’eredità greco-romana è esplorata attraverso la maschera, come nell’installazione del 1973 costituita da una cornice in legno su cui sono disposti calchi in gesso di volti. Un altro emblema dell’insofferenza dell’artista verso il proprio tempo è la porta. I varchi tra le stanze sono chiusi con pietre, legno, tondelli di ferro e lastre di piombo rendendo inaccessibili alcuni ambienti così da esaltarne la dimensione sconosciuta, metafisica e surreale.
Il contrasto e la trasformazione che rendono l’arte davvero umana
Nelle opere di Kounellis è sempre presente un gioco di metamorfosi e contrasti: il gas che brucia e diventa fiamma e fumo, la leggerezza e la pesantezza che si bilanciano. Il contrasto serve da cortocircuito visivo che spinge a fermarsi per comprendere, a capire come fanno quelle cose a stare insieme. Non a caso il percorso espositivo della retrospettiva veneziana è completato da alcune installazioni di grandi dimensioni, realizzate da Kounellis a partire dalla fine degli anni Ottanta, che indagano il rapporto tra equilibrio e gravità, spazio urbano e architettonico. Attraverso il contrasto e la trasformazione l’arte di Kounellis risulta davvero arte dell’uomo per l’uomo, nonché espressione della sua cultura e della sua storia che si oppone alla distruzione e all’oblio.