Alla scoperta del progetto collaborativo indipendente nato nel 2016, parte del programma della Torino Art Week.
Dopo Milano e Verona, è arrivato il momento della Torino Art Week che dal 30 ottobre al 7 novembre diventa il centro dell’Arte Contemporanea in Italia.
Tantissimi gli appuntamenti, tra questi uno davvero imperdibile è la nuova edizione di DAMA, un progetto collaborativo indipendente nato dalla visione del gallerista Giorgio Galotti che ha preso forma sin dal 2016 all’interno di palazzi storici del centro di Torino.
Dopo la pandemia è stato necessario un cambio di rotta, un rinnovamento, un nuovo approccio per uno tra gli appuntamenti collaterali più attesi della settimana dell’arte di Torino.
Quest’anno, in linea con la nuova visione ma pur sempre in forte legame con la volontà di creare un dialogo tra l’Arte Contemporanea e i luoghi di una città storica come Torino, l’edizione prende il titolo di APERTO che inaugura sabato 30 ottobre fino a Domenica 7 novembre.
Aperti sono gli spazi e i luoghi di cultura che accolgono, in un percorso diffuso in tutta la città, le opere di artisti italiani di differenti generazioni.
Grazie alla collaborazione con gli Istituti Piemontesi del Ministero della cultura, il percorso si sviluppa dal cortile di Palazzo Carignano per estendersi fino alla corte di Palazzo Chiablese attraverso un circuito completato, con la curatela di Gianluigi Ricuperati, da interventi e conversazioni in tre librerie storiche della città – Luxemburg, Gilibert, La Bussola – e il multiplayer store Isola nel quartiere di San Salvario, che diventeranno per qualche giorno vetrina di progetti espositivi e di video-arte, palcoscenici inconsueti di conversazioni e punto d’incontro tra operatori, artisti, intellettuali e visitatori.
Abbiamo parlato con il fondatore di DAMA, Giorgio Galotti, per farci raccontare la nuova edizione della rassegna, i cambiamenti, le novità da non perdere.
Il progetto DAMA ha preso forma nel 2016. Cinque anni dopo (e con una pandemia globale nel frattempo) qual è stata l’evoluzione che ha portato a questa nuova edizione?
In seguito all’annullamento dell’edizione 2020 a pochi giorni dall’inaugurazione, abbiamo cercato di fare tesoro dell’esperienza vissuta attivando ragionamenti su un nuovo format che potesse proiettare DAMA nel futuro, partendo da un messaggio di adeguamento a nuovi standard. Un processo avviato già lo scorso anno nella composizione di un programma che potesse far interagire maggiormente la proposta delle gallerie con quella del Live programme, in un percorso unico.
La scelta è così ricaduta su un ridimensionamento del progetto in vista di un’espansione geografica, rinunciando alla sede unica e non coinvolgendo le gallerie in una partecipazione attiva ma piuttosto inserendole come madrine o come partner della produzione. Un processo che intende puntare su nuove sfide che possano suggerire vie alternative al modello di fiera tradizionale, riportandoci agli esordi, come se si trattasse di un’edizione zero.
Per la sesta edizione chiamata ‘Aperto’ è prevista una diffusione capillare in tanti luoghi della città: quale dialogo è possibile attivare tra Arte, Città e Società grazie a DAMA?
La nostra missione è provare a scardinare maggiormente una tendenza ormai ben navigata, ovvero quella di porre in dialogo, o in contrasto, i linguaggi dell’arte contemporanea con la storia. Non siamo i primi e non saremo gli ultimi, ma a differenza di altri cerchiamo di farlo attraverso il coinvolgimento totale di artisti emergenti e affermati, richiedendo nuove produzioni o inserendo opere in contesti alternativi al circuito tradizionale, per offrire loro un’opportunità e una visione differente, e per consentire alle sedi che li ospitano di valorizzare la loro offerta attraverso un pubblico eterogeneo e “aperto”. Da qui il titolo di questa edizione, che punta a mettere in relazione le grandi istituzioni della città e della nazione, come il Ministero della cultura o la Direzione Regionale dei Musei, con realtà private che operano in ambito culturale sul territorio, provando a rigenerare il tessuto urbano con un programma itinerante che non intende snaturare o modificare i luoghi con display fittizi, ma piuttosto mostrarne la loro natura, la loro unicità e i loro limiti.
E’ previsto un ricco programma di talk a cura di Gianluigi Ricuperati: ce lo racconti?
Anche in questo abbiamo ragionato al contrario, inserendo il programma di conversazioni come punto di partenza del progetto espositivo e non come momento integrativo.
Ci sarà un forte legame tra le opere presenti nelle tre librerie e i temi trattati dagli ospiti, massimi esponenti nel proprio ambito, che affronteranno riflessioni su tematiche sociali, politiche e di costume.
Si parte il 4 Novembre con Carolyn Christov-Bakargiev che porterà la sua esperienza a Kabul, in relazione alle fotografie di Paolo Pellion di Persano, scattate proprio in Afghanistan nel periodo in cui Alighiero Boetti risiedeva al One Hotel, e presentate grazie alla disponibilità dell’Archivio Paolo Pellion di Persano.
Si prosegue il 5 con Michele Masneri, scrittore e giornalista che parlerà dell’evoluzione dello stile nell’arte come nella vita, partendo dalle opere di Paolo Canevari realizzate con olio esausto, e si conclude il 6 Novembre con Leonardo Caffo, filosofo e amante dell’arte, che parlerà di fantasmi del contemporaneo attraverso la lettura di un’opera-arazzo di Ettore Favini, che utilizza il linguaggio ironico palesemente ispirato agli arazzi di Boetti. L’intervento di Favini poi completerà il progetto con un tappeto-arazzo che rappresenta il Mediterraneo, che è stato tessuto a mano dall’artista durante la pandemia e che farà da “palco” agli ospiti dei talk.
Non solo founder di DAMA, ma anche gallerista: con quale approccio è stato affrontato il cambiamento e l’evoluzione del sistema dell’arte (se c’è stato) nel post pandemia?
Ho vissuto questo periodo concentrandomi su tutto ciò che poteva essere accessibile, provando a generare collaborazioni e immaginandomi nuovi display, tanto espositivi quanto mentali.
La scelta di presentare un’edizione di DAMA senza un curatore ufficiale, a differenza delle passate edizioni, deriva proprio da questa volontà di naturalizzare tutto, snellire i passaggi e le interazioni per porre delle fondamenta nuove su cui lavorare nei prossimi anni.
A parer mio, mentre il mondo ha fatto passi da gigante per andare incontro al cambiamento imminente, il sistema dell’arte non ha fatto quasi nulla, se non aggiornare i propri archivi digitalmente o sfruttare il web per comunicare la propria presenza.
Così nella ripartenza ci siamo trovati a relazionarci a modelli che oggi danno l’impressione di essere stantii. C’è un grande fermento ma non mi sembra ci sia un’evoluzione.
Cover Photo Credits: Giorgio Galotti, Courtesy Giorgio Galotti