È una danza di colori alla Villa Campolieto di Ercolano. L’esuberanza e la libertà espressiva della Repubblica Dominicana si tramutano in un linguaggio artistico eterogeneo e uno spirito creativo originale. A ritmo di merengue tra pittura, scultura, fotografia, media digitali e installazioni, “Danza de Color” è la mostra, inaugurata sabato 25 gennaio, a cura di Julian Kunhardt ed Ernesto Esposito, con la collaborazione di Maria Savarese e Ciro Delfino.
Vetrina d’eccezione è il raffinato edificio settecentesco, la cui esecuzione fu diretta prima da Mario Gioffredo, poi da Luigi Vanvitelli fino a poco prima della sua morte, per poi essere completata dal figlio Carlo. Il leggendario architetto del Palazzo Reale di Caserta stravolse il disegno originario del suo collega predecessore, ridisegnando completamente lo scalone della Villa e raccogliendo i voleri del padrone di casa. Si è ad Ercolano, ma la Napoli borbonica è a un passo da qui, si sente il respiro. Così come si avverte incombente la presenza del vulcano, quel Vesuvio che ha consegnato alla storia la vita dell’antica città, seppellendola sotto una coltre di ceneri, lapilli e fango.
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La solenne architettura di Villa Campolieto ha accolto come una grande madre prodiga di attenzioni le esplosioni cromatiche del temperamento caraibico. I colori hanno iniziato veramente a danzare nelle sale affrescate, ricche di stucchi e di decori, dove l’austerità di una progettazione neoclassica all’esterno lascia spazio internamente agli stupori del barocco. Si è creata un’affascinante competizione tra forme classiche e contemporanee, in una ricchezza immaginativa, visionaria. Stupore e meraviglia, dunque, passeggiando tra le sale.
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Femminilità, identità, memoria, mitologia e trasformazione sociale. Tradizione ma anche modernità. Questi i temi affrontati nei 47 lavori selezionati dagli artisti a cui è stato affidato il compito di raccontare la cultura dominicana al pubblico partenopeo. I loro nomi: Soraya Abu Naba’a, Mariojosé Ángeles, Roberto Castillo, Simon De Los Santos, Jared Guerra Mirabal, Lizander Jiménez, Vanessa Languasco Méndez, Priscila Lopez Loyo, Raquel Carolina Mejía, Betsy, Montero, Sandra Morales, Willy Padron, Yermine Richardson e Juan Trinidad. Tutti legati da un’origine comune, ma con esperienze e percorsi di vita dissimili tra i confini sudamericani, l’America del Nord e l’Europa.
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Jared Guerra Mirabal è nato a La Vega nel 1993. Ha una formazione da autodidatta con una particolare attenzione per la pittura a olio e la ritrattistica. Uno dei suoi soggetti preferiti è una ninfa della cultura popolare dominicana, la Ciguapa, immaginata nuda, ma con i capelli tanto lunghi da coprirle l’intero corpo. I piedi sono rivolti all’indietro, come una condanna eterna a retrocedere per la sua bellezza.
Soraya Abu Naba’a è la più nota a livello internazionale tra gli artisti della collettiva. È stata lei ad aprire l’inaugurazione con una performance di danza verticale nel cortile circolare della Villa. All’interno, una sua installazione racconta al mondo occidentale di lunghi tessuti colorati realizzati dalle donne caraibiche e disposti sugli alberi lungo le strade per essere venduti.
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Ma nei lavori di tutti gli altri artisti va registrata felicemente la presenza costante del colore, dove spesso è la luce la padrona della scena. Si incede nei saloni di Villa Campolieto addentrandosi nella natura caraibica, in una pittura passionale e solare. Ubriacati da tanto scalpore, si fa un’incursione nella straordinaria terrazza panoramica che guarda il mare. Ed è come stare sulla prua di una nave puntata sui Caraibi.
Viene voglia di navigare verso Occidente, verso il Mar dei Caraibi, alla scoperta delle Americhe tropicali. E la voglia di danzare nel colore fa di Napoli città caraibica, e non è per il mare e per la luce, o non è solo per questo. C’è un temperamento comune che unisce la sirena Partenope alla Ciguapa, miti femminili che vanno incontro a un loro destino. E lo fanno immergendosi nel colore.
La mostra sarà visitabile fino al 25 febbraio.