A Milano delle tazze di tè con i “baffi” sfidano i confini di genere

C’è qualcosa di profondamente umano nell’atto di bere da una tazza. Un gesto semplice, quotidiano, quasi banale, eppure intriso di significati sottili, invisibili a uno sguardo distratto. La tazza non è solo un oggetto funzionale, ma un contenitore di memorie, emozioni, storie. Sfiora le labbra, trattiene il calore, custodisce il liquido e lo dona con misura, dosando ogni sorso. È un piccolo rito domestico che appartiene alla nostra intimità, un microcosmo di equilibri tra funzione e ritualità.

In questo rapporto tra oggetto e persona, la tazza diventa uno strumento di connessione, una presenza discreta ma costante. Ed è proprio su questo confine sottile che si muove la mostra “Sono tazza di te! – 2ª edizione coi baffi” alla Fabbrica del Vapore di Milano fino al 30 ottobre, in cui la ceramica diventa un pretesto per riflettere non solo sulla forma e sulla funzionalità di un oggetto, ma sul legame che esso stabilisce con chi lo utilizza.

Questa seconda edizione, curata Anty Pansera e Patrizia Sacchi e promossa dalla associazione DcomeDesign, segue il successo della prima tra il 2021 e il 2022, ma presenta un respiro più ampio, un approccio che sfida i confini di genere. Per la prima volta, infatti, l’esposizione apre lo spazio creativo anche agli uomini, rompendo la tradizionale esclusività femminile del progetto. Il nuovo format “coi baffi” introduce dodici artisti maschi, accanto alle ventisei donne già presenti, creando così un dialogo fertile e inaspettato tra visioni e sensibilità diverse. Ma cosa significa davvero “coi baffi”? È una provocazione sottile, un invito a superare le barriere, a guardare oltre gli stereotipi che la società spesso impone, anche quando si tratta di un oggetto apparentemente innocuo come una tazza.

L’ispirazione di fondo viene dalle “Mustache Cups”, tazze ottocentesche nate per proteggere i baffi dei gentiluomini dell’epoca durante il tè. Un oggetto quasi ironico, ma carico di storia e simbolismo. Nel 1860, l’inglese Harvey Adams inventò questa particolare tazza con una piccola mezzaluna di ceramica all’interno, pensata per evitare che il caldo vapore sciogliesse la cera modellante dei baffi. Un vezzo aristocratico, un capriccio estetico che diventa oggi, nelle mani degli artisti contemporanei, materia di riflessione. Quella tazza con i baffi, simbolo di una cura tutta maschile, si trasforma in una chiave per rileggere l’estetica vittoriana in chiave contemporanea, con un’attenzione nuova per i dettagli, per i significati nascosti dietro la superficie.

In mostra, infatti, si trovano pezzi unici, tazze che si distaccano completamente dai modelli tradizionali. Non ci sono vincoli di dimensione, materiale o funzione: ogni artista è libero di reinterpretare la tazza come meglio crede, esplorando il confine tra l’oggetto d’uso e l’opera d’arte. Alcuni optano per una rilettura ironica, altri si concentrano sulla forma pura, spingendo i limiti del design e della creatività. Si va dai materiali riciclati a quelli preziosi, dalla plastica ai fili di rame, dal vetro alle terre, in un insieme che parla di sperimentazione e di artigianato, di passato e futuro.

Ma c’è di più. In questa mostra la tazza non è solo un oggetto estetico. Diventa un gesto di cura, un simbolo di attenzione e solidarietà. Parte delle opere, infatti, sarà venduta per sostenere la Fondazione Archè, attiva dal 1991 nel supportare mamme e bambini in difficoltà. Il gesto dell’artista che dona la sua creazione si trasforma così in un atto di responsabilità verso la comunità. La tazza, da contenitore di tè, si trasfigura in contenitore di speranza, in un’azione concreta che vuole migliorare le vite degli altri. L’esposizione è arricchita da una curiosa collezione privata di Mustache Cups, appartenente a Carlo Filosa, che da oltre trent’anni raccoglie questi singolari oggetti. Più di cento pezzi raccontano un’epoca, una moda, un modo di essere che sembra lontano eppure riecheggia nei gesti quotidiani di oggi.

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