Vittorio Sgarbi la chiama “la contessina” e il suo universo professionale è fatto di buona creanza, cultura e stile. È giornalista pubblicista, scrive di arte, letteratura, costume e società. Ha fondato e dirige la Beatrice Gigli Communication, agenzia specializzata in relazioni pubbliche e comunicazione per marchi di eccellenza del made in Italy legati alla moda, all’enogastronomia, al cinema e alla cultura.
Lei è Beatrice Gigli, di casa fra Milano, Roma, Napoli e Parigi. Attivissima su Instagram, l’abbiamo vista in abiti sartoriali, tailleur e cravatta, immortalata ab aeterno come in uno shooting di Avedon negli scatti di Carmine Napolitano e immantinente ci siamo chiesti: c’è un gallerista da queste parti?
Siamo in una “Milangeles” triste, solitaria y final di fine agosto, a un passo da settembre, che non è solo la stagione dell’uva per i contadini ma anche il mese in cui si riaccendono i motori della moda, delle mostre e dei famigerati eventi a mezza strada tra business e cultura. Ma siamo lontani dal climax della Milano da bere ottantiana narrata in quel romanzo di Marco Parma, Sotto il vestito niente: per citare Jo Squillo e Sabrina Salerno, oltre il vestito c’è di più. Idem per lo stile, che “non è mai il risultato di un solo elemento perché è strettamente connesso alla personalità, al garbo, alle idee”, a partire dagli splendidi scatti di Carmine Napolitano che potenziano la suggestione di una donna virago, ex / post romantica, dove l‘eterno femminino sopravviene sul mascolino: è il fascino dell’ambiguo, come diceva Goethe? È il mistero dell’ignoto, come diceva Lovecraft? Il gender di cui tanto si parla oggi è una recente acquisizione sociale o è qualcosa di ancestrale? L’arte contemporanea deve mollare gli atelier e frequentare di più il prêt-à-porter o possono imparare l’una dall’altra senza confondersi? E i critici d’arte sono davvero così “potenti” come si crede? Questo e molto altro a tu per tu con Beatrice Gigli, che ha accettato di parlare con noi di bellezza, cultura e costumi, “raccontando la cultura con cultura”.
Cara Beatrice, ci conosciamo da anni e quindi via l’ipocrisia, diamoci del tu: perché la gente va ai matti per la donna in cravatta?
Perché ritengo sia una conquista sociale. Una donna in cravatta supera i confini posti da secoli dai canoni del gender.
Lo stile è solo eleganza oppure c’è anche un pizzico di anticonformismo?
Da questa domanda dobbiamo eliminare il termine “solo”. Lo stile non è mai il risultato di un solo elemento perché è strettamente connesso alla personalità, al garbo, alle idee. Lo stile è il prodotto dell’eleganza e delle nostre unicità. La differenza tra una persona di stile e l’anticonformista è nella spontaneità: la prima agisce con naturalezza, la seconda se lo impone.
Palazzo Reale, mostre di Dolce e Gabbana e di Valerio Adami, scommetto che la prima ne ha attirati più della seconda: arte e moda cosa hanno da imparare l’una dall’altra secondo te?
La moda trae ispirazione da tutte le forme d’arte. E questo la rende una forma d’arte stessa che, con le sue creazioni, cicli e tendenze, a sua volta è stata ed è musa di grandi artisti. Posso dire che si compensano, mantenendo le proprie peculiarità e caratteristiche.
Se non fossimo nel 2024 in che epoca vorresti essere?
Nell’epoca che ancora non c’è, cioè nel futuro, per vedere con che occhi ci guarda la società del domani, cosa ha mantenuto dei nostri tempi e cosa ha scartato.
Meglio un’arte per molti ma non per tutti oppure un’arte più accessibile?
L’arte appartiene a tutte le persone che hanno sensibilità. Non possiamo pensare ad avere un’arte per tutti o per pochi.
Fotografia d’arte: ti affascina di più un corpo maschile o un corpo femminile?
Mi affascina la fotografia d’arte, a prescindere dal soggetto fotografato. L’arte ha sempre superato i limiti del genere e ci insegna che l’attenzione non è nel sesso ma nella rappresentazione.
Se dirigessi un museo affideresti la comunicazione a una influencer?
Ci sono professionisti di settore che sono molto attivi sui social network e che, volenti o nolenti, diventano influencer del loro lavoro. Influenzano con la cultura o, come dico sempre, “raccontando la cultura con cultura”, con l’estetica, con il buon gusto. Dunque, in questo caso, sì.
A proposito, vorresti essere chiamata direttore o direttrice (o semplicemente manager così la sfanghi)?
Premetto che questo genere di domanda mi diverte e mi inorgoglisce perché, in qualche modo, è rivolta sempre ad una donna ritenuta in carriera, in qualsiasi ambito. Per quanto mi riguarda, nell’attuale mondo del lavoro, dove intelligenza, carisma e perspicacia la fanno da padrone per centrare velocemente l’obiettivo, non c’è più spazio per una distinzione di genere ma solo per capacità professionale. Quindi, possono chiamarmi come vogliono!
Il politicamente corretto ha rotto le balle o è il giusto progresso di una società in evoluzione?
Il termine “politicamente corretto” viene, dai più, considerato un concetto tipico della società moderna, per dirlo in maniera simpatica, un “dilemma di attualità sociale chiamato in modo difficile”. Ritengo che così non sia. Mi spiego. Da sempre c’è stato il problema di dire la cosa giusta nel modo giusto. La ricerca e l’utilizzo di un linguaggio corretto, appropriato e gentile è fondamentale per esprimere, senza timore, ogni concetto, senza necessità di eclissarlo, censurarlo, forse è proprio questa l’evoluzione sociale. In sintesi parliamo del noto equilibrio tra forma, cioè l’educazione e sostanza, cioè il mondo che cambia.
Il gender c’è sempre stato o è un’invenzione mediatica degli ultimi dieci anni?
Uomini e donne, a volte, vedono le cose in modo differente e quindi forniscono soluzioni diverse ai tanti quesiti della vita. È anche una questione di chimica! Ritengo che questa molteplicità di vedute sia una grande fortuna, una divergenza da preservare ad ogni costo perché il progresso è subordinato alla ricerca continua di un confronto empatico tra più parti che devono unirsi per completarsi.
Cosa pensi della performance-scandalo alle Olimpiadi a Parigi? Te lo chiedo perché magari eri lì.
Le Olimpiadi sono la massima espressione dello sport e, quindi, dei più nobili sentimenti umani. Il fascino dei giochi olimpici deve trascendere i confini della polemica, anche se, in alcuni casi, possa essere giustificata da un’organizzazione non perfettamente allineata alla grandezza dell’evento. Ma è pur sempre una sfida organizzativa planetaria, ambita ed ambiziosa per qualsiasi Paese.
Il brutto è brutto o in certi casi è bello?
Il “brutto” in senso assoluto non esiste. Ogni qualvolta un uomo porta alla luce ciò che normalmente non si riesce a vedere, rendendolo sensibile a tutti, è un artista e, quindi, per definizione, un produttore del “bello”, in ogni ambito. Quello che spesso si intende per “brutto” è semplicemente il “cattivo gusto”, ciò che non è in linea con le nostre abitudini o, meglio, che è contrario alla nostra presunzione di vedere il mondo in un unico modo giusto.
Outfit sartoriali, foto d’autore ma c’è anche la Beatrice Gigli Fashion Doll: mutuando dallo slogan femminista anni Settanta il personale è politico, possiamo dire che il personale è comunicazione?
“Il personale” è senz’altro “comunicazione”, e, in quanto tale, è anche “politico”, perché capace di influenzare chi ci circonda.
Una domanda à la Gigi Marzullo: “la vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio”?
La vita è la realtà, dolce o amara che sia. Il sogno è un obiettivo che, attraverso la preparazione e l’impegno, si può realizzare.
Angelo Crespi, ora direttore di Brera, in una recente intervista mi ha detto che l’arte contemporanea vale perché costa: tu che ne pensi? È accreditata solo dal mercato o i critici hanno un ruolo?
Il mercato dell’arte si compone di due aspetti, uno che appartiene ai critici dell’arte, i quali danno un valore artistico dell’opera, e l’altro che appartiene ai galleristi, che danno un valore commerciale all’opera. Ho comprato splendide opere di artisti contemporanei, emergenti e non, stando sempre alla larga dal “se costa vale”.
Le foto di questo servizio sono tutte di Carmine Napolitano.