Venezia c’è, rete di artisti e professionisti nel campo dell’arte e della cultura, ha richiesto al comune che il Padiglione Venezia si doti di uno statuto e un comitato scientifico e affidi la curatela tramite bandi. Ora la discussione si apre alla cittadinanza con una raccolta firme che si terrà il 25 ottobre.
Realizzato nel 1932 su progetto dell’architetto veneziano Brenno Del Giudice e restaurato nel 2011 dal Comune di Venezia, con il coinvolgimento di Fondaco Italia, Lares Restauri, Arzanà Navi e Louis Vuitton, il Padiglione Venezia è stato a lungo concepito come uno spazio per mostre di arti decorative e applicate (vetro, tessuti, mosaico), dedicate in particolare alla produzione artistica locale. Seppur, quindi, negli anni ci sia stata la volontà di seguire un programma espositivo più o meno coerente, il padiglione appare oggi poco strutturato e privo di una configurazione adeguata a una realtà parte della Biennale: è, infatti, carente sia di un proprio statuto sia di un comitato scientifico e negli ultimi cinque anni non si è assistito a un cambio di curatela, affidata dal 2019 a Giovanna Zabotti, vicepresidente e direttore artistico di Fondaco Italia.
Per tale motivo, Venezia c’è, rete di artisti e di professionisti nel campo dell’arte e della cultura, a marzo ha tentato invano di aprire un momento di confronto con l’amministrazione (in particolare nelle figure del Sindaco e dei collaboratori della Direzione Sviluppo e Promozione, alla Cultura, alle Attività Culturali e al Servizio di Produzioni Culturali del Comune), inviando una lettera esito di una meticolosa ricerca storica, legale e amministrativa e di sondaggi e discussioni in corso da più di un anno. A settembre l’associazione ha reso pubblica la missiva – ancora senza risposta –, al fine di dare maggiore risonanza al dibattito e aprirlo anche alla cittadinanza.
Secondo i firmatari – tra i quali figurano la gallerista Alberta Pane, la critica Angela Vettese, la direttrice della GAM di Torino Chiara Bertola, lo scrittore Tiziano Scarpa e l’artista Thomas Braida –, il Padiglione Venezia dovrebbe “dotarsi di un proprio statuto ufficiale”, tramite il quale rendere espliciti i criteri della propria missione e omogeneizzare così il proprio funzionamento a quello degli altri padiglioni nazionali, in particolare con quello del Padiglione Italia. Oltre allo statuto, da Venezia c’è viene richiesto che venga previsto “un comitato scientifico che restituisca l’eterogeneità del sistema culturale cittadino nell’ottica di dialogo plurale”; tale comitato dovrebbe occuparsi della redazione di “bandi curatoriali annuali” che possano permettere a chiunque, senza vincoli di età o nazionalità, “di approfondire e sviluppare sistemi narrativi capaci di restituire la vitalità propria dell’ecosistema culturale cittadino nella sua eterogeneità”.
Le richieste di Venezia c’è si radicano nella constatazione che nell’ultimo decennio il fermento culturale in città è considerevolmente aumentato grazie alla presenza di spazi espositivi, fondazioni, studi d’artista, gallerie, centri di ricerca interdisciplinari e associazioni, “gestite da persone che risiedono in città svolgono un prezioso lavoro – spesso poco visibile – contribuendo significativamente alla creazione e al mantenimento di un sistema vitale tramite lo scambio tra artisti, operatori e pubblico”. Parziale restituzione di tale vitalità è avvenuta, solo per guardare alla Biennale Architettura dello scorso anno, grazie ai padiglioni Austria (Partecipazione / Beteiligung) e Germania (Open for Maintenance – Wegen Umbau geöffnet), tramite i quali hanno trovato risalto, da una parte, Forum Futuro Arsenale, OCIO e We are here Venice e, dall’altra, l’Assemblea Sociale per la Casa, Centro Sociale Rivolta, Institute of Radical Imagination e Laboratorio Occupato Morion. Ma non basta appaltare a padiglioni altri il coinvolgimento delle realtà locali nel grande cantiere della Biennale: per assecondare questa tendenza virtuosa di genesi e sviluppo di progetti artistici e curatoriali, che vivificano Venezia ben oltre i nove mesi in cui Biennale concentra tutti gli occhi su di sé, serve innescare una riflessione corale e strutturale e “sviluppare una serie di misure volte a rafforzare il ruolo del Padiglione Venezia come spazio espositivo di primo piano nella rappresentazione del contesto culturale cittadino”.
Il sindaco Luigi Brugnaro, in risposta alla risonanza ottenuta dall’appello di Venezia c’è, ha fornito solo una replica superficiale: “Nessuno si ricordava più del Padiglione Venezia fino a quando sono arrivato e l’ho rilanciato. Ora gli intellettuali vogliono altre regole. Facile salire sul carro del vincitore”. Inoltre, Ca’ Farsetti in tutta risposta alla lettera di Venezia c’è ha rivendicato il successo di Artefici del nostro tempo, concorso bandito dal comune e riservato ad artisti under 35: il progetto rappresenta sì un’occasione importante per i giovani talenti di esporre in una mostra internazionale, tuttavia costituisce non tanto un punto d’arrivo quanto, piuttosto, un punto di partenza per un ripensamento strutturale del padiglione che “arricchisca l’impegno dimostrato dal Comune” e riconosciuto da Venezia c’è.
Dopo le laconiche repliche dell’Amministrazione – che al momento non lasciano presagire un’immediata apertura di un confronto tra le parti –, Venezia c’è ha rilanciato la richiesta di discutere la proposta in Consiglio Comunale, coinvolgendo direttamente la cittadinanza con una raccolta firme che avrà luogo venerdì 25 ottobre (19.30-20.30), presso la Libreria Marcopolo in Campo Santa Margherita a Venezia. Per fare sì che la proposta venga presentata in Consiglio, sarà necessario raggiungere almeno 300 firme.