Su una cosa, almeno, sono tutti d’accordo: è stato uno dei più grandi, se non il più grande, videoartista di tutti i tempi, ovvero da quando è nata questa forma d’arte. Pioniere, anticipatore, maestro, gigante della videoarte: tanti sono gli aggettivi utilizzati oggi in tutto il mondo per celebrare questo artista che, nato 73 anni fa a Flushing, un quartiere residenziale e medio-borghese del Queens, New York, è scomparso il 12 luglio scorso nella sua casa di Long Beach, in California, a causa di una complicazione innestatasi su un “Alzheimer precoce”, come ha spiegato la moglie, Kira Perov. Tutta la sua opera si è svolta all’insegna di due elementi fondamentali: la sua straordinaria capacità di comprendere e anticipare le conquiste tecnologiche che si facevano via via sempre più innovative e sorprendenti man mano che passavano gli anni, e un’attenzione sempre più marcata al senso del nostro stesso stare al mondo, del nostro passare tra nascita, vita e morte, cercando di carpirne i meccanismi segreti, le implicazioni e il significato profondo, come parti di un organismo complesso basato su un’armonia e un’unità di fondo, che, a volte senza esserne completamente consapevoli, tramandiamo ai posteri generazione dopo generazione.
Figlio di immigrati europei (la madre si era trasferita in America dall’Inghilterra, mentre la nonna paterna era tedesca e il nonno italiano, da cui gli derivò il cognome Viola), il giovane Bill crebbe secondo i precetti della religione episcopale, ma la sua “rivelazione” spirituale gli arrivò all’età di sei anni, quando rischiò di annegare in un lago, e per alcuni interminabili minuti ebbe “la visione del mondo più bello che abbia mai visto”: “Era colorato, c’era luce e queste piante si muovevano”, raccontò in un’intervista. “Lo vedo regolarmente, nella mia mente e negli occhi della mia mente. Era una specie di paradiso. Ho sentito che quello era il mondo reale”. Da quella visione infantile, con ogni evidenza, sarebbero poi venute, anni e anni dopo, le immagini dell’acqua come elemento-cardine della vita, quello spazio “indistinto e oscuro, sospeso tra nascita e morte”, che caratterizzerà molte delle sue videoinstallazioni future. Uno spazio incerto, indeterminato, che rappresenterà sempre, per il videoartista, la quintessenza di una spiritualità che è “incorporata nella condizione umana o latente nel cosmo”.
L’acqua sarà infatti un elemento centrale di moltissimi suoi lavori: a cominciare da uno dei suoi primi lavori, The Reflecting Pool, del 1977, che ruota attorno al rito del battesimo come simbolo di iniziazione e di purificazione; o come nel Trittico di Nantes, del 1992, realizzato in un momento cruciale della sua vita, sospesa com’era tra la morte della madre e la nascita del suo secondo figlio, nel quale vengono mostrate simultaneamente la sequenza di un parto, le immagini della madre sul letto di morte e quelle di una serie di attori immersi nell’acqua, come simbolo della transizione tra vita e morte. O come nella videoinstallazione realizzata per il Tristano e Isotta di Wagner, che andrà in scena all’Opera di Parigi nel 2005, anch’essa ambientata in gran parte proprio nell’acqua, con sequenze girate in una piscina pubblica vicino a Long Beach, riprodotte al contrario in modo che i corpi che si tuffano nell’acqua sembrino invece emergere, come immagini archetipiche di morte e di rinascita. O, ancora, come in Emergence, del 2002, ispirato al Cristo in pietà di Masolino, col corpo del Redentore che, sorretto dalla Vergine e dalla Maddalena (nell’affresco originale, sono invece la Vergine e Giovanni Evangelista), che emerge al rallentatore dal sarcofago, trasformato per l’occasione in un pozzo, la cui acqua straborda oltre la superficie del pozzo, fin quasi a riempire l’intera scena: di nuovo una rinascita, o forse, semplicemente, una nascita. O, più di recente, anche nella serie Martyrs – Earth, Air, Fire, and Water, del 2014, dove l’acqua è uno dei quattro elementi attraverso cui l’uomo soccombe per poi rinascere.
La formazione di Bill Viola, dopo la laurea in Belle arti, ma con particolare attenzione agli studi sulla psicologia della percezione, storico-musicali e di antropologia, presso la Syracuse University nel 1973, avvenne tutta all’insegna della sperimentazione, in un campo, quella della videoarte, all’epoca ancora tutto da indagare, guadagnandosi rapidamente la reputazione di mago della tecnica, esperto nei nuovi metodi di registrazione e montaggio. Laureato di fresco, fu assunto come assistente audiovisivo all’Everson Museum of Art di Syracuse, partecipando alla realizzazione delle mostre di artisti sperimentali, pionieri della nascente videoarte, come Nam June Paik, Bruce Nauman e Peter Campus.
Ma le sue prime esperienze importanti vennero con un nuovo lavoro, che lo avrebbe condotto in Italia, presso lo studio di video arte Art/Tapes/22 a Firenze, dove avrebbe collaborato con artisti come Mario Merz, Vito Acconci, Jannis Kounellis. E non è certo caso un caso se questo artista, il cui lavoro fu più volte accostato a quello dei grandi maestri del Rinascimento, tra cui il Pontormo (a cui dedicò una bellissima videoinstallazione, The Greeting, esposta in Biennale nel 1995, quando Viola fu invitato a rappresentare gli Stati Uniti, dichiaratamente ispirata alla Visitazione del maestro toscano, raffigurante una Maria incinta che saluta la cugina Elisabetta, anch’essa incinta), cominciò la sua carriera proprio nella culla del Rinascimento: l’influenza della grande pittura quattro e cinquecentesca fu infatti fondamentale nel suo lavoro: la luce e il colore dei capolavori della pittura italiana lo influenzarono profondamente, ma la chiave con cui l’artista seppe rileggerli fu quella del tempo: “La grande tradizione nascosta nella pittura è il tempo”, dichiarò una volta: “il tempo e il dispiegarsi consapevolezza. Il movimento della coscienza è il vero soggetto di molti dipinti antichi”.
Il rapporto con l’arte antica, e con quella rinascimentale in particolare, rimarranno sempre uno dei punti-cardine del suo lavoro: tanto che, nel 2019, la Royal Academy di Londra espose le sue videointallazioni a fianco dei disegni di Michelangelo. Durante una visita al Prado, fu folgorato dalla potenza dei quadri del museo madrileno: “Gli antichi maestri”, disse, “mi colpirono con tutta la forza durante quel viaggio. Sono riuscito a malapena a uscire vivo dalla stanza che mostrava i dipinti neri di Goya”. Ma l’altra grande scoperta fondamentale per la sua formazione futura fu quella del buddismo zen e della cultura orientale, scoperte assieme alla moglie, Kira Perov, conosciuta nel 1977 durante un viaggio in Australia, a Melbourne, dove la donna era direttrice dei programmi culturali presso l’Università La Trobe. Subito dopo il matrimonio, nel 1980, lui e la moglie, da quel momento sua insostituibile compagna non solo nella vita ma anche nel lavoro (“col tempo è diventata come un’ostetrica nel lavoro”, ha detto una volta Viola, “controllando come sta il bambino, oltre a gestire tutti gli aspetti pratici del parto”), si trasferiranno per un anno a vivere in Giappone, dove, oltre a scoprire buddismo, la filosofia zen e tutti gli aspetti della spiritualità orientale, Viola lavora presso il Centro ricerche Atsugi della Sony, scoprendo così tutti i più recenti progressi nella tecnologia video.
Tecnologia, spiritualità, rapporto con la pittura antica: ecco che, nel giro di poco più di dieci anni, tutte le coordinate fondamentali della sua futura carriera si sono già delineate. Un altro momento fondamentale per la sua carriera fu la vincita, nel 1989, di una borsa di studio da parte della MacArthur Foundation – un premio notevole, di 245.000 dollari, da spalmare nei successivi 5 anni, che era “inteso a incoraggiare le persone di eccezionale talento a perseguire le proprie inclinazioni creative, intellettuali e professionali”. perseguire le proprie inclinazioni creative, intellettuali e professionali”. All’epoca, l’artista e la moglie vivevano “in un piccolo bungalow in affitto con mobili di seconda mano”, racconterà in seguito Viola. “Non avevamo idea di dove sarebbero arrivati i soldi dopo tre mesi, avevamo appena avuto un nuovo bambino, nessuna assicurazione sanitaria. La nostra esistenza era così fragile”. Da quel momento, la sua intera esistenza sarebbe radicalmente cambiata. “Da quella borsa di studio e dallo stipendio di cinque anni, non mi sono mai guardato indietro e ho continuato ad andare avanti. È stato una specie di grande punto di svolta”.
E da quel momento, infatti, la carriera e l’opera di Bill Viola non si fermerà più. Non solo come riconoscimenti internazionali, mostre nei maggiori musei del mondo, collaborazioni con musicisti (dall’Ensemble Modern di Francoforte al gruppo rock industriale Nine Inch Nails), opere create espressamente per la Chiesa (due opere video create ad hoc per la Cattedrale di St Paul, Martyrs (Earth, Air, Fire, Water) del 2014 e Mary del 2016, sono diventate le prime installazioni permanenti di videoarte in una cattedrale della Chiesa d’Inghilterra), e persino la realizzazione di un videogioco, The Night Journey, videogame sperimentale, privo dei classici livelli da superare, sulla ricerca dell’illuminazione come ricerca del proprio percorso spirituale. “Penso che ogni volta che si fa qualcosa che tocca l’intimo dell’essere umano, tutto ciò che emerge da noi stessi da un luogo genuino e incustodito è in definitiva un atto sacro, non importa se si segue o meno una religione”, ha detto una volta. “Tutte le cose che ci circondano sono nate dall’ispirazione di trasformare il mondo materiale nella nostra visione interiore”. E fu proprio questa ricerca di un viaggio interiore alla scoperta del sacro sepolto in ogni anfratto della nostra coscienza, oltre che in ogni manifestazione del mondo esterno, della natura e di tutto ciò che ci sta intorno, la chiave con cui Viola poté costruire tutte le sue intensissime videoinstallazioni. La ricerca del mistero stesso da cui nasce la vita, e da cui origina la morte, sono il fulcro di ogni suo lavoro. Perché, come ebbe spesso a ripetere, “la nascita non è un inizio; la morte non è la fine”.
“Quando gli individui muoiono”, ha dichiarato una volta, “muoiono con la conoscenza del gruppo, quindi il problema fondamentale che gli esseri umani devono risolvere è: come attraversare il fiume dell’oblio e conservare la conoscenza? L’unico modo in cui possiamo farlo è attraverso le storie, l’insegnamento e attraverso le cose materiali, lasciandoci dietro dei segni. Se non avessimo queste cose, non ci sarebbe alcun progresso. Quindi questo media che utilizzo è in realtà parte di quel sistema, è parte di un modo per attraversare il fiume”. Ora il fiume l’ha attraversato, e di lui ci rimangono le sue immagini potentissime, le sue storie, i suoi insegnamenti di un profeta laico, di un ricercatore dell’infinito che alberga dentro di noi.