Colorescenze, un’indagine sulla resistenza e la rigenerazione al Centro Pecci di Prato

Fino al 13 ottobre il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci ospita nelle sue sale la mostra Colorescenze. Artiste, Toscana, Futuro, a cura di Stefano Collicelli Cagol ed Elena Magini.

L’esposizione presenta le opere di un gruppo di artiste che sono legate al territorio toscano per formulare un’indagine sulla resistenza e la rigenerazione sociale e ambientale. Nelle opere, infatti, si parla di infestazione intesa come riconquista, sostenibilità, smembramento e ricomposizione, cortocircuiti e ribaltamenti dell’ordine costituito in cui uomo e natura trovano un nuovo equilibrio al di là dell’antropocentrismo, verso una “collettività multispecie”. Il titolo dell’esposizione riprende il lavoro di Lucia Marcucci Prima linea (Colorescenza) del 1965. Questa parola è la crasi di “colore” e “conoscenza” a significare il forte legame che da sempre percorre arte e scienza. 

Installation view Colorescenze Courtesy Centro Pecci Photo Ela Bialkowska OKNO Studio

Il percorso proposto dal Centro Pecci intreccia una serie di passaggi che si possono suddividere in quattro nuclei principali. A partire dall’idea di scarto, le artiste si sono confrontante con il territorio toscano e ne hanno analizzato le problematiche: che si tratti degli ultimi e degli esclusi di Sandra Tomboloni, di categorie di genere socialmente discriminate come nelle opere di Lucia Marcucci, di abbandono territoriale come nei terreni della Maremma di Moira Ricci o i bunker dell’incompleto Vallo Atlantico di Margherita Moscardini, le fondamenta di questo dialogo poggiano sul recupero di ciò che non è considerato di valore, ed è per questo libero di essere ricostituito e dotato di una nuova forma e di un diverso approccio dato da un’educazione alla sensibilità e alla cura.

Installation view Colorescenze Courtesy Centro Pecci Photo Ela Bialkowska OKNO Studio

Gli archetipi della madre e della sorella vagano per le sale del Pecci per mantenere questo esempio di cura e di educazione all’altro, di sostegno e liberazione, scardinando l’idea occidentale di una maternità dedicata esclusivamente all’annullamento del sé per nutrire e curare la comunità, dotandola della potenza delle grandi divinità della storia antica.

Sister (del Ravaneto) di Chiara Camoni si ispira a questi principi richiamando con le sue figure totemiche l’avvenuta riconquista di un ravaneto da parte di piante infestanti che, seppur ritenute tali dall’uomo, si riappropriano di uno spazio e ristabiliscono un equilibrio tra umano e naturale. La pianta, simboleggiata dalle vitalbe, è sorella delle figure monumentali create da Camoni con materiali di scarto in terracotta e detriti. 

Installation view Colorescenze Courtesy Centro Pecci Photo Ela Bialkowska OKNO Studio

Lo smembramento e la ricomposizione sono il secondo aspetto che lega le opere in mostra: la manipolazione della materia, il riallestimento e la trasformazione sono presenti nei collage di Lucia Marcucci che, attraverso alcune opere storiche degli anni Sessanta, mostra le azioni del movimento femminista a Firenze in quegli anni: la società modella la massa attraverso i linguaggi mediali.

Marcucci prende testi e fotografie provenienti da questi linguaggi e ne rimodella il significato. Sandra Tomboloni con i bassorilievi Disubbidire al Padre e Purezza, così come Daniela De Lorenzo con Penombra, manipolano la materia e gli oggetti per imprimere una traccia di sé, o per confrontarsi con le altre creature viventi: emerge qua il nostro bisogno di non essere abbandonati, una lenta rinascita, nell’incapacità di lasciar andare il rifiuto per riutilizzarlo o conservarlo come feticcio; anche le tracce più insignificanti, come le impronte delle dita di una mano nella plastilina, sono l’ennesimo grido di attenzione nei confronti di un mondo che abbiamo deciso di rinnegare perché non ci appartiene. La nostra condizione malinconica viene resa da De Lorenzo nella manipolazione della Melancholia di Chranach il Vecchio in collage fotografici: l’obiettivo è di esaltare questo stato d’animo, completamente accettato, alla sua massima potenza. 

La trasformazione della materia e il conseguente stato emotivo, provoca un cortocircuito sul ruolo della traccia, feticcio o chiave di interpretazione di una diversa situazione naturale, e della memoria. Le sculture di Isabella Costabile continuano il discorso sul riassemblamento, attraverso frammenti di utensili quotidiani, ma con un sottofondo che richiama l’ibrido e il mostruoso che porta, in certi casi, anche al grottesco.

Questi oggetti, infatti, materia inerte costretta a nuova vita, non possono far altro che esistere perché glielo abbiamo imposto: “liberati” dalla loro funzione originaria e mostrati nella loro natura di rovina in uno spolio raccapricciante che riprende la filosofia dadaista dell’object trouvé. Dietro a questo substrato perturbante, l’artista ha l’obiettivo di far emergere memorie legate a una dimensione spirituale extra-europea, di cui l’osservatore non conosce le pratiche, ma la cui genericità dell’opera dovrebbe consentire di proiettare memorie personali o significati culturalmente condivisi, ma non esprimibili.

Installation view Colorescenze Courtesy Centro Pecci Photo Ela Bialkowska OKNO Studio

In certi casi il riassemblamento è anche un nuovo ecosistema in cui, grazie all’archiviazione di oggetti e alla “collaborazione” con le piante, si mostra con un’installazione site specific un’alternativa alla vita frenetica dell’umanità contemporanea. Osservatorio di Chiara Bettazzi ricrea questo ambiente abitabile riprendendo e perfezionando il concetto di orto operaio, complesso sistema di ibridazione tra ruralità e industria a metà tra l’utopia e la distopia. 

L’installazione di Bettazzi ci accompagna al quarto nucleo della mostra, legato alla sostenibilità, alla continuazione di mitologie rurali, evocando, inoltre, l’altro filo conduttore che permea le sale: la dimensione politica degli spazi. L’orto operaio è una risposta alle crisi economiche, ai problemi sociali e alle carenze di igiene e sostentamento alimentare, problematiche testimoniate anche nel racconto fantascientifico di Moira Ricci.

Dove il cielo è più vicino (l’ultima cena) è l’ultimo capitolo di una serie a cui l’artista lavora dal 2014. Contadini maremmani sono riuniti in lunghe tavolate in mezzo a terreni incolti e desolati, nuovi apostoli intorno ai resti di un’astronave che non vola. Questa narrazione antispecista, di una collettività multispecie presente già nelle opere di Tomboloni e De Lorenzo, è affrontata anche da Francesca Banchelli nelle due opere-dialogo L’inizio e la fine, L’inizio e la fine (Aurora); da un paesaggio lunare fatto di ceneri emergono piccole figure colorate che sopravvivono a un ambiente inospitale e ci portano a guardare la tela appesa alla parete: l’incontro di creature a una sorgente in cui l’uomo si fa piccolo inserito in non luoghi, mondi sospesi ambiguamente tra elementi opposti: l’acqua e la vita; la cenere, l’aridità e la morte. 

Installation view Colorescenze Courtesy Centro Pecci Photo Ela Bialkowska OKNO Studio

Margherita Moscardini è l’emblema di questa fusione tra gli opposti: in 1XUNKOWN (1942-2018 to Fortress Europe, with Love) 21 brevi video proiettati su altrettanti monoliti mostrano la trasformazione a cui prende parte l’architettura fallimentare del regime nazista che aveva in progetto la costruzione di un Vallo Atlantico per proteggere la “fortezza Europa”.

Questa serie di bunker, mai completata, è stata abbandonata dopo la Seconda Guerra Mondiale e ha subito un processo di trasformazione dovuto all’intervento della natura che si è riappropriata dei propri spazi, o all’intervento dell’uomo che ha rifunzionalizzato lo spazio creando padiglioni espositivi, bar, luoghi di incontro. La traccia che queste strutture hanno lasciato nel paesaggio è ancora visibile. Tuttavia, questo riutilizzo è la perfetta testimonianza della collaborazione tra esseri viventi: rompendo la meccanica architettonica antropocentrica, l’arte e la scienza elevano la società multispecie a una nuova dimensione di convivenza, attuando buone pratiche prive della volontà di distruggere, ma coscienti della necessità di uno smembramento e di una cura alternative. 

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