Comedian di Cattelan, Banana Republic e l’Avanguardia di consenso

Comedian, la banana appesa al muro con il nastro adesivo da Maurizio Cattelan a Miami Basel 2019, è tornata nella sua casa naturale, è infatti stata battuta all’asta da Sotheby’s per oltre sei milioni di dollari, confermando la tesi di Tony Godfrey, direttore del Master di arte contemporanea proprio al Sotheby’s institute di Londra: “L’arte è solo una massa di merci in vendita […] Oggi come mai prima d’ora si parla di “arte da asta” e “arte da Biennale”, come si trattase di entità separate”.

Evento che pur ha scatenato pareri opposti, dal capolavoro alla spazzatura, anche se, oggettivamente, va confermata comunque l’opinione del Premio Pulitzer per la critica Jerry Saltz: Tutto questo rappresenta l’1% dell’1% dell’1% del mondo dell’arte […] ma l’arte-scherzo, l’arte provocazione, l’arte-sull’arte, ormai sono fuori tempo massimo da almeno 10 anni. Opportuno quindi distinguere quel 99% come Arte da quell’1% etc, che si può agevolmente definire Post-Arte, quella glam, quella dei capolavori comunque, governata dalla finanza e dalle Case d’Asta internazionali. Pari dignità, naturalmente, semmai con una pretesa di onnipotenza da parte dei post-artisti nei confronti del resto del mondo e non viceversa.

Onnipotenza che presumo derivare dalla concezione corrente asservita all’infatuazione verso il denaro, intuita ante-litteram nel ’67 da Guy Debord, teorico l’avvento della Società dello spettacolo, viatico anche della prevalenza corrente del prezzo sul valore. Da questo trionfo inevitabile dei soliti noti, baciati dalla “capolavorite” permanente, deriva un’inattendibile Avanguardia di consenso, in cui le opere teoricamente “avanti-sui-tempi” non solo non vengono capite, come sarebbe logico attendersi e com’è sempre capitato agli artisti seminali fino a trent’anni fa, ma vengono dichiarate capolavori senza riserve, immediatamente, non importa se siano cavalli impagliati, banane, pupazzetti, pitali di urina, ciuffi di capelli o
rane crocifisse
.

Tutti a futura memoria, tutti musealizzati senza riserve e così è stato infatti anche per Comedian, donata (sic) da un generoso collezionista al Guggenheim, prima notizia riferita in asta, naturalmente e mera anteprima strategica della battuta. Si è trattato di un percorso minuzioso ma scontato: la presentazione ad una delle fiere internazionali di riferimento alla cifra allettante di 120.000 dollari (sic…), condita “dall’incidente” mediatico visibilmente pilotato nello stand che la esponeva, violato dal figurante di turno che ne fa un sol boccone; senza pagare alcuna conseguenza, ovviamente, ma scatenando i media mondiali a raccontarla con enfasi. Poi acquisita dal Guggenheim e poi conservata il giusto tempo in pentola a pressione fino ad oggi. Sei milioni e rotti ad un collezionista speciale: Justin Sun, l’inventore della piattaforma di criptovalute Tron (soldi veri?) impavido nello scalare selvaggiamente la quota iniziale vicina al milione (sic).

Francesco Bonami, mentore e collaboratore di Cattelan fin dalla prima ora, non ha cambiato più di tanto opinione, battezzando illo tempore il potenziale acquirente come idiota e oggi come cretino. Se lo dice lui… ci fidiamo, tanto l’opera non è un’opera, al modico prezzo di 6,24 milioni viene consegnata la foto, il libretto d’istruzioni e un rotolo di nastro argentato, lasciando libertà sulla banana da sostituire a rotazione.
L’attendibilità incondizionata di tutto ciò deriva a cascata dall’idolatria verso Marcel Duchamp,
il primo a rendere possibile questo con la celeberrima Fontana-Orinatoio esposta nel 1917 (sempre che l’abbia avuta lui, l’idea), quello che parlando della sua Ruota di bicicletta del 1913 conficcata nello sgabello commentava: “Non c’era in tutto questo nessuna idea di readymade, non avevo nessuna alcuna […] intenzione di esporlo […] Si trattava […] di creare una sorta di
atmosfera dentro uno studio […] Vedere quella ruota girare era molto tranquillizzante. Ci penseranno la sua seconda moglie Alexina “Teeny” Sattler Matisse, già coniugata con Pierre Matisse, figlio di Henry e mercante d’arte con forti entrature, con Arturo Schwarz, iniziando fin dal 1956 una ri-catalogazione ardita delle opere, ri-editandole poi con doppia datazione 1964.


Che dire, oggi ci dobbiamo fidare, anche se Duchamp stesso, commentando così le sue opere
esposte alla galleria Bourgeois: “Bourgeois me lo fece come un favore quello di includerli nella
mostra, come una cosa ironica”, aggiungendo a futura memoria: “Perciò se sono responsabile di
quando accade oggi, lo sono fino ad un certo punto…”.
Non sposando a priori nessuna tesi, né trionfalistica, né dissacratoria, né tiepidamente
equidistante
, vale ricordare l’opinione del grande storico dell’arte Ernst Gombrich su Marcel
Duchamp, forse un po’ brusca ma efficace: Un buffone.
Eppure… magari oggi Justin Sun non l’ha ancora letta.

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