E’ nato a Parma ed è deceduto a Parma. E’ nato in agosto (1938) ed è deceduto ad agosto (2001). Il concetto di legarsi alla città è innato nel destino e nel filo terreno di Riccardo Lumaca e il mese di agosto è quello in cui “nelle stanche tue lunghe oziose ore” è bello “inebriarsi di vino e di calore”, come ha detto Francesco Guccini.
Lo immaginiamo così Lumaca: ironico e soprattutto autoironico, dissacrante ma mai banale, serio ma mai serioso. Una vivacissima antologica, curata da Gloria Bianchino, Claudia Dini e Arturo Carlo Quintavalle, lo celebra opportunamente nelle stanze dell’APE Parma Museo, la struttura espositiva che la Fondazione Monteparma ha realizzato nel 2018 nella centrale Strada Farini della città ducale.
”Riccardo Lumaca. Antologica 1967-2001” ne ripercorre l’intera carriera artistica con l’esibizione di 130 opere circa che rivelano il carattere trasversale e multidisciplinare dell’artista parmigiano, visitabili sino al prossimo 9 marzo. Pittore pop e avanguardista, ma anche uomo d’arte al confine tra la fotografia e la riproducibilità tecnica, Lumaca modifica e reinterpreta icone del novecento e dell’arte dal medioevo al contemporaneo, grazie all’influsso derivante dalla pop art statunitense e dalla fascinazione verso la composizione fotografica, condendo la sua creatività con effetti cromatici molto vivaci. Nella poetica di Riccardo Lumaca, oltre a un interesse centrale per la percezione della sua arte, l’arte stessa può essere destrutturata, ricomposta, reinventata e riprodotta sotto nuove forme estetiche.
Ne è riprova l’opera numero uno del suo catalogo creativo, “L’autoritratto come Picasso” (1967), in cui l’artista parmigiano ripropone il celebre artista malagueño raffigurato in diverse situazioni ed epoche: oli su tela con Picasso al mare con uno dei figli, in posa per la foto frontale, mentre sorregge l’ombrellino alla compagna Françoise Gilot e di fianco a un “Ritratto di leader (Nikita Kruscev)” con l’immancabile cappello chiaro, frutto dell’impegno socio-politico che caratterizzava e coinvolgeva in quegli anni anche Lumaca. L’artista amava molto riunire (senza ingabbiare) la propria creatività in serie tematiche e quella su Picasso è la prima del proprio percorso.
Del resto, Lumaca amava affermare che la sua pittura doveva essere un codice applicato all’arte, riassumendo efficacemente quel pendolo psicologico oscillante tra creatività in chiave pop e rigorosità dell’espressività finale. “Rose di Morandi in un pneumatico POP sulla Piazza di Battipaglia” (1969) evidenzia i concetti descritti: reinvenzione di segni artistici altrui, aderenza alla realtà, denuncia sociale, ovvero, nell’ordine, la celebre natura morta, l’oggetto simbolo di contestazione urbano e il luogo in cui lo scontro sociale è avvenuto.
Affascina, proseguendo nella visita, il polittico realizzato con le cifre stilistiche che gli erano proprie e che ripercorre la storia dell’arte dall’XI secolo di Wiligelmo all’oggi. “Istruzioni due” (1971) è un grande affresco grazie al quale l’artista denuncia didatticamente la riproduzione su stampa delle opere d’arte, ridotte così a fenomeni di massa banalizzati in quanto si è portati a pensare di possedere l’opera d’arte e quindi vivere e agire, comunemente e quotidianamente, all’ombra del “sorriso/non sorriso” della Gioconda. L’artista rivendica il proprio ruolo di medium grazie al quale riflettere, discernere, pensare e fruire dell’opera d’arte e non subirla consumisticamente.
E’ del 1973 l’idea di porsi in modo enigmistico di fronte all’osservatore: nasce infatti il progetto tematico che mette al centro l’autoritratto di Riccardo Lumaca che sostituisce quello di sette maestri del Rinascimento. “8×8 ritratti di Riccardo Lumaca” è il progetto che raffigura l’artista che, applicando analogia e ribaltamento, spiazza l’osservatore che, seppur inesistenti, riconosce, grazie alla diffusione mediatica, i volti originari rimpiazzati da quello trentacinquenne di Lumaca. Dello stesso periodo, e ancor di più in chiave enigmistica, sono le opere che riproducono rebus, parole crociate e ‘trovare le differenze’ o ‘annerire gli spazi contrassegnati da puntini neri’, molto famigliari a chi si cimenta abitualmente con le riviste settimanali dedicate all’enigmistica. Il legame di Lumaca con l’elemento dissacratorio con le correnti avanguardistiche, rinate in quegli anni sotto forma di neoavanguardie, è ulteriormente testimoniato dalla partecipazione personale dell’artista a una performance dadaista e grottesca tenuta dall’artista piacentino William Xerra a San Damiano, in occasione della presunta visione di una Madonna in un campo (opera dal titolo “Verifica del miracolo”, 1973). La verifica conseguente, realizzata da Xerra, coinvolge anche Pierre Restany e la firma di Lumaca è la terza a certificare in modo stralunato l’inesistenza del presunto miracolo di fede.
Superbo è il periodo tematico dedicato all’atelier di Johannes Vermeer (sempre nel 1973). Si resta piacevolmente spiazzati dal polittico fotografico che riprende l’atelier ritratto in un dipinto del grande olandese. Nelle “Sette situazioni da ‘Ragazza che legge una lettera presso la finestra”, da sinistra verso destra si assiste, grazie al lavoro di scomposizione e rimontaggio fatto da Lumaca, alla stessa scena con un posizionamento sempre differente della tenda. Il geniale presupposto inteso dall’artista è che, nelle scene di Vermeer, la finestra e la luce entrano in scena sempre dallo stesso lato; moltiplicare o cancellare gli elementi in modalità progressive, spostare gli elementi che occupano lo spazio della tela, costruire nuove presenze o creare assenze, tutto questo diviene una cifra tecnica di Riccardo Lumaca che, così facendo, riesce a modificare creativamente l’opera d’arte originale reinventandola davanti ai nostri occhi. “La mezzana”, sempre tratta dalla sua fascinante ossessione per Vermeer, è un altro stupefacente risultato di questo intento visibile nella mostra.
Il dialogo creativo di Riccardo Lumaca con i grandi del passato tocca anche Il Pontormo e il Bronzino e la rivisitazione dei 4 Evangelisti. Ad un occhio di superficie sembrerebbe un divertissment artistico ma, in realtà, alla base c’è un percorso rigoroso di ricerca sulle forme, tanto che al visitatore viene suggerita anche la prospettiva dello sguardo sulle opere. Pure la serie tematica degli apocrifi ha un forte elemento concettuale: riprendendo opere del (solito) Vermeer e anche di Magritte, De Chirico e altri artisti del ‘900, la lettura che il fruitore viene invitato a dare è quella di opere che plausibilmente grandi del passato avrebbero potuto fare, quindi verosimiglianza e possibilità. Il grande quadro che Lumaca ricava unendo personaggi dei suoi predecessori è un gigantesco e meraviglioso affresco che richiama una sorta di “Guernica” esclusivamente estetica.
Sempre con un misto di ricerca ed elementi di gioco artistico, alla fine degli anni ’70, Lumaca realizza un progetto fotografico sul Caravaggio. Applicando la tecnica della messa a fuoco selettiva, l’artista evidenzia, sfuma, cancella, arricchisce di elementi esterni (per esempio se stesso) la scena figurativa e agisce quindi potentemente sulla percezione. Il confronto con un altro grande del passato continua nella sua Parma: di fronte alla Chiesa della Steccata, in pieno centro, c’è una statua ottocentesca raffigurante il Parmigianino e realizzata da Giovanni Chierici. Siamo in pieni anni ’80 e Lumaca si sofferma su un dettaglio, la mano mutilata e la rivisita realizzando delle intensissime cromie del particolare ingigantito fino a diventarne una sorta di elemento indipendente dall’opera di appartenenza.
Ci si avvicina alla parte finale della mostra con altre tre serie tematiche. “Piccola storia del quadro girato” è un nuovo omaggio al passato dell’arte. Il quadro girato (o semplicemente “Q.G.”) appartiene alla storia dell’arte sin dal ‘500 per poi avere grande successo iconico con la pop art. L’opera di Lumaca si rivela, nelle intenzioni dell’artista parmigiano, utile a riflettere, attraverso il semplice gesto di esibire il retro della tela, sulle modalità di fruizione dell’arte. “La battaglia della pittura” è un omaggio alle nature morte: il progetto pittorico è formato sia dall’opera singola (che è quella del titolo), sia da una serie di opere singole che avvicinano la creatività di Lumaca alla battaglia ed è caratterizzato da una luminosissima cromia che illumina lo sguardo del fruitore prevalentemente con la centralità dell’elemento frutta. Infine, e siamo a cavallo del 2000, Riccardo Lumaca si cimenta con Francis Bacon e le espressioni del suo volto. “I volti di Francis Bacon” è una serie di raffigurazioni che iniziano dalla fotografia per approdare alla pittura: il fermo immagine diventa così la base di una quasi ossessiva riproduzione seriale del volto di Bacon e ci permette così di accertare definitivamente le due grandi tecniche che hanno attraversato la vita artistica di Riccardo Lumaca: la composizione fotografica e la pittura.
Completa la mostra un volume di MUP Editore che contiene il testo introduttivo di Carla Dini e i testi critici di Gloria Bianchino e Arturo Carlo Quintavalle.