Il Digital Video Wall (DVW), progetto a cura di Gemma Fantacci, torna con la sua sesta edizione, intitolata Pattern, proponendo una riflessione lucida e audace sui confini sfumati tra essere umano e digitale. Con un approccio innovativo e fluido esplora la sfera dell’identità e della percezione interrogando l’arte contemporanea soggetta, come tutti gli altri settori, all’incredibile impatto delle tecnologie digitali e dell’intelligenza artificiale sull’odierna visione della corporeità e della personalità. Attraverso sguardi sconosciuti e creature appartenenti ad altre dimensioni, l’edizione di quest’anno solleva quesiti inquietanti ma fondamentali: stiamo assistendo all’ennesima perpetuazione degli ideali estetici tradizionali semplicemente presentati con un’altra forma o, piuttosto, a una rivoluzione che valica la nostra comprensione del bello, della forma e del concetto di identità?
La differenza tra terrestre e onirico sembra svanire di fronte ai nostri occhi, come se non fosse mai esistita. Sapremo navigare in questo mare digitale sempre più intricato, dove è possibile assumere nuovi ruoli e plasmare sé stessi da zero? Questi dubbi echeggiano nelle menti degli artisti contemporanei manifestandosi in opere ibride e multiformi, difficilmente inscrivibili nei canoni esistenti. Il titolo Pattern, pur evocando in prima istanza una riflessione sui modelli e le ripetizioni che definiscono gli standard della società, offre interpretazioni articolate che non si limitano ad una costante. Metafora stessa della ricorrenza, il “pattern” è comunemente inteso come uno schema ripetuto ma può subire anch’esso una costante ridisegnazione, soprattutto tramite le nuove tecnologie.

Nella “cultura digitale” non esiste la staticità, al suo interno vige la legge della trasformazione. D’altronde, la flessibilità dell’odierno panorama culturale ha messo in crisi le forme esteticamente codificate, i canoni, persino l’idea di spazio e di luogo. Le infinite opportunità rese possibili dal digitale che hanno ridefinito il modo in cui ci presentiamo al mondo, oltrepassando i limiti della fisicità e delle consuetudini sociali, sono la materia prima della ricerca dei sei artisti internazionali che, mese dopo mese, si alterneranno animando il programma di Digital Video Wall 2025.
A partire da Harriet Davey protagonista assoluta del primo ciclo espositivo con l’opera 3D Animation Showreel (2023-2024), visibile dal 4 marzo fino al 1 aprile 2025. Davey si contraddistingue per il suo approccio radicalmente personale all’analisi della fluidità di genere nel contesto virtuale. L’artista affida a degli avatar, suoi altereghi, il delicato compito di scardinare le convenzioni del corpo e della sessualità nel dominio digitale. La sua creatura, Whowle, è un avatar che sfida gli schemi e si esprime con un “drag” digitale, simbolo di una nuova era della rappresentazione e comunicazione di sé. Con la sua creazione, Davey rivendica uno spazio di visibilità per corpi e identità non conformi al genere e, allo stesso tempo, affronta anche le questioni legate alla costruzione e decostruzione dell’Io. In questo gioco delle parti, l’interazione tra reale e virtuale non si pone come una dimensione solamente estetica bensì sfocia nel filosofico.

Nell’incontro tra paesaggi digitali e corpi ibridi che caratterizza le animazioni ed installazioni di Harriet Davey, l’umanità passa in secondo piano lasciando spazio a creature di un universo parallelo. I suoi ambienti digitali sono teatri di una narrazione silenziosa, in cui la nostalgia evocata dai paesaggi si fonde con la serenità che solo un’immersione totale nella virtualità può offrire.
Osservando queste immagini siamo spinti a ridefinire le nostre modalità di interazione con l’esterno attraverso il principio della molteplicità. I movimenti, gli occhi, le sembianze aliene e contemporaneamente iperrealistiche dei personaggi ideati dall’artista hanno un potere ipnotico: nei loro corpi artificio e reale si mescolano perdendo il loro significato. Sono una riflessione su “cos’è il corpo oggi”, quando questo non è più legato a una fisicità ineluttabile, ma può essere plasmato, alterato e ridefinito attraverso il codice.
Whowle con tutte le sue sfaccettature e i suoi movimenti è un atto politico, un messaggio sospeso tra due mondi. Con le esposizioni presso Ars Electronica, HEK Basel e Miami Art Basel, Harriet Davey ha unito il digitale con una forte consapevolezza sociale, collaborando con marchi come Nike e Maison Margiela. Le sue opere, presentate su piattaforme come BBC, Arte e Vogue Italia, ribadiscono la posizione centrale che occupa nell’arte digitale contemporanea.
Digital Video Wall si conferma quindi una proposta culturale valida e divulgativa tramite la sua capacità di portare l’arte digitale fuori dai circuiti di élite a cui è ordinariamente confinata. L’allestimento è stato studiato per essere fruibile a tutti grazie alla sua composizione: una vetrina espositiva visibile h24 direttamente dalla strada offerta ai cittadini dalla Galleria Metronom di Modena. Il concept con cui è stata presentata la video-installazione si inserisce nell’ambito della fruizione pubblica, coinvolgendo il centro urbano che muta in un palcoscenico da cui l’arte può essere vissuta e apprezzata in ogni momento.
Pattern e il DVW non sono solo un evento espositivo, ma un invito a confrontarsi con il nostro presente. Le tecnologie emergenti stanno sfidando le certezze su cui si basano l’identità culturale e soggettiva degli individui, la concezione dei corpi e persino dell’ambiente che ci circonda. Ciò che è certo è che l’arte digitale non si limita a riflettere queste trasformazioni, ma le incarna. La vera domanda non è più se siamo pronti ad affrontare e accettare il cambiamento, ma se siamo disposti a rinunciare al controllo sulla nostra stessa definizione di umanità.