Corrado Veneziano e la sua pittura “immedesimata” in Cavalcaselle

Nel meraviglioso Palazzo Altemps, nel centro Roma, sede del Museo Nazionale Romano, fino all’8 settembre si potrà visitare la mostra di Corrado Veneziano “Dipingendo Cavalcaselle, di tersa mano” a cura di Francesca Barbi Marinetti. Abbiamo già parlato qua (….) della pittura di Veneziano, in occasione della sua precedente personale “Visse d’Arte “, dedicata alla vita e alle opere di Giacomo Puccini.

Oggi la nostra attenzione (e la sua) si sposta nel mondo di Giovanni Battista Cavalcaselle, il primo in Italia a scrivere una vera e propria storia dell’arte e ad avere quell’intuizione critica tale da riscrivere quasi per intero le fila del panorama artistico italiano e straniero fino al suo tempo.

Appunti di Giovanni Battista Cavalcaselle sulla Pala dei Cacciatori di Bartolomeo Caporali credit Fondazione Zeri

Cavalcaselle è stato uno dei primi studiosi  a generare le basi per un approccio scientifico e storico all’arte. Il suo procedimento era semplice, essenziale, chiaro: partiva dal disegno, girando per l’Europa con un taccuino in tasca per riprodurre tutte quelle opere d’arte che riteneva importanti per i suoi studi. La sua capacità di rispettare lo stile e la cifra degli artisti era notevole. Una delle sue scoperte più significative è stata l’attribuzione dello “Studio di San Girolamo” ad Antonello da Messina, in precedenza ritenuta un’opera fiamminga. Questa scoperta ha avuto un grande impatto, poiché ha messo in discussione le attribuzioni precedenti, creando un vero e proprio scompiglio nel mondo dell’arte.

Cavalcaselle era un uomo dalla forte passione repubblicana e spesso in conflitto con i poteri costituiti. Amava solo i rapporti autentici e odiava i giochi di potere (e qui l’assonanza Cavalcaselle / Veneziano diventa palpabile e tangibile). I suoi taccuini, fondamentali per il restauro odierno delle opere, sono conservati nella Biblioteca Marciana di Venezia e in altri luoghi come il Victoria and Albert Museum di Londra.

Come è arrivato Corrado Veneziano a partorire un’idea come quella di rendere omaggio e voce a Giovan Battista Cavalcaselle? L’esposizione non è che il culmine di un climax iniziato nel 2018, quando Veneziano, da sempre profondamente innamorato dell’Arte Italiana e dei suoi più grandi Maestri, ha iniziato a trovare spunti, a voler andare oltre alle apparenze, a quello che “si sa e si dice”,  a chiedersi quanto centrale fosse stato il ruolo assunto da Cavalcaselle per lo sviluppo della nostra arte e quanto la sua personalità potesse avere in comune con la sua,  non solo come artista, ma anche e soprattutto per l’acume, lo spirito critico, e per quella sensibilità che solo un uomo d’arte può avere.

Veneziano ha mostrato fin dagli albori un serio e nutrito interesse per i linguaggi dell’arte contemporanea non senza abbandonare e alimentare una parte di cuore del e nel nostro passato, da quello classico a quello rinascimentale, diventando la prova vivente di quanto vuota, insulsa e senza significato sarebbe l’arte contemporanea se nulla prima fosse accaduto. Il suo è un segno sperimentale, caratterizzato da una assidua e fitta presenza, quasi che fosse una sua vera e propria icona, dei codici ISBN, grazie al cui studio ha dato vita ad una serie di opere dedicate a Dante, cariche di questi codici che rappresentano la Commedia alla perfezione. La sua passione per gli aspetti fonetici e semantici della lingua e il suo amore indiscusso verso i Maestri della nostra Arte, in Dipingendo Cavalcaselle si uniscono, si fondono in maniera magistrale, creano un’atmosfera irreale ma ben definita, suggestiva, accogliente, trascinante e a tratti destabilizzante.

A seguito di una delle visite guidate a cura di Corrado Veneziano e della curatrice Francesca Barbi Marinetti, i due Maestri, accompagnati e coadiuvati dalle letture magistrali di Paola Ricci, hanno dato vita ad una scommessa, ad una messa in scena improvvisata (si badi all’eccezione assolutamente positiva dell’aggettivo “improvvisata”) di un’ipotetica intervista (Intervista impossibile ) di una giornalista della sua epoca a Cavalcaselle. I due, oltre che sembrare due attori fatti e finiti (e qui il passato di Veneziano emerge con tutta la sua forza ed è lampante) ci hanno riportato con la voce, i tratti e le caratteristiche più azzeccate ad un tempo lontano, lontano ma tremendamente attuale, nostro, imperituro e quindi, vicino.

Noi abbiamo incontrato Corrado Veneziano e abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui.

Con che logica hai scelto di rappresentare determinate opere e non altre?

È stato difficile, ma anche suggestivo e un po’ avventuroso. Cavalcaselle ci ha lasciato una mole impressionante di schizzi e taccuini, e io ho impiegato molto tempo a guardarli e riguardarli. Alla fine ho scelto quelli più “mobili”, in cui sulle sue pagine si moltiplicavano i punti di vista descrittivi dell’opera che stava studiando. Ho scelto gli schizzi che mi garantissero maggiore dinamicità e libertà espressiva.  

La vastità dei temi e degli autori che hai rappresentato dimostra la tua attenzione verso tutto lo scibile umano. In che modo riesci a fare dialogare in modo così armonico il tutto?

Ti ringrazio molto per questa tua (implicita) bella considerazione che hai nei miei confronti. In realtà continuo a conservare quella tensione un po’ infantile nell’innamorarmi continuamente delle cose (avvenimenti, persone, situazioni) con cui stabilisco un contatto forte. Non è solo curiosità razionale e apprenditiva, ma una sorta di incanto per le nuove scoperte: tuffarmi in ribaltamenti cognitivi, visivi, emotivi. (Per poi, e non sempre ci riesco, dare loro un senso più compiuto.)  

Durante l’Intervista Impossibile hai assunto perfettamente i tratti di Cavalcaselle, o almeno, ci hai donato una sua riproduzione veritiera e coerente, quanto c’è di Corrado in Giovanni Battista?

Come sempre, ci sono differenze e analogie. E queste ultime sono legate alla modalità quasi sacerdotale di lavorare. Ovviamente non sono un integralista, ma quando dipingo ho un bisogno assoluto di non incontrare distrazioni. Non ascolto musica, non guardo l’orologio, spengo ogni tipo di connessione e mi concentro sul lavoro. Cavalcaselle racconta di sé stesso la medesima cosa: di fronte alle opere da studiare e attribuire cercava l’isolamento più completo. E poi ad avvicinarmi a lui c’è quella istanza di libertà (che ovviamente è comune a una larga serie di artisti) nel non adeguare il proprio lavoro alle esigenze della committenza o del mercato. 

Prendendo una delle tue opere, La nascita di Venere, la riproduzione è fedele e assolutamente riconoscibile, ma è più eterea dell’originale di Botticelli. La Venere sembra navigare in una distesa di blu, i soggetti al suo cospetto sono ancora più impalpabili. La bellezza classica diventa contemporanea, malleabile, immediata, trascinante. Possiamo dire che sia una delle tue opere più distintive?

Sì, è un’opera a me veramente molto cara. Sono partito dalla rettifica della datazione suggerita da Cavalcaselle, che la definisce, così come la Primavera, un’opera giovanile botticelliana. E quindi ho immaginato Venere ancora più adolescente, non ancora compiuta nella sua carnalità e fisicità. Tutto è sospeso, quasi magicamente, a cogliere quel momento impercettibile che consegna la bambina alla sua sessualità e al suo diventare donna… 

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