Da Picasso a Warhol, le vinyl cover d’artista a Rimini

Che l’arte sia affaire di contaminazione reciproca tra linguaggi, tecniche e visioni è un fatto noto, ma quando questa stessa contaminazione supera i limiti percettivi mescolando canali diversi come ciò che è udibile, la musica, con ciò che è visibile sembra allora prendere vita qualcosa di nuovo che eccede i limiti concettuali per aprirsi ad altro.

L’altro, la diversità, non è solo una contaminazione, in questo caso costruisce un’esperienza completa che dà struttura di forma alle note di una canzone, ne sorregge la portata immersiva. Di cosa stiamo parlando? Della mostra Da Picasso a Warhol – Le vinyl cover dei Grandi maestri visitabile a Rimini presso il Fellini Museum di Castel Sismondo, un’esperienza di grande spessore, organizzata da Blu&Blu Network e da Diffusione Italia International Group e a cura di Vincenzo e Giorgia Sanfo.

Sono presenti oltre 150 pezzi e sorprende la vastità di questa raccolta che accomuna generi musicali e produzioni artistiche così diverse, ma convogliate nello stesso luogo provocando un piacevole smarrimento percettivo per cui, mentre si cammina, s’incontra Warhol e più avanti Picasso che sembrano quasi dialogare, la musica è infatti una vibrazione positiva che avvicina, accorcia le distanze, riscalda l’atmosfera.

Oggi pensare alla musica priva di immagini è quasi impossibile nell’era dell’immagine, ma prima non era così: il disco veniva venduto con il solo logo dell’etichetta discografica. Siamo lontanissimi dall’esperienza attuale e questa mostra rende la storia di questo passaggio, un viaggio che parte da Toulouse Lautrec che illustra gli spartiti musicali di Aristide Bruant.

Il 1939 è l’anno zero delle vinyl cover con Alex Steinweiss che convince la Columbia Records a pubblicare la prima copertina al mondo per un 75 giri, opera presente in questa esposizione assieme a quelle di Matisse per la cantante jazz Ella Fitzgerald, Mirò per l’album Quan l’Aigua Es Queixa di Raimon, Dalì per Jackie Gleason e Picasso che fa un disegno caricaturale di Apollinaire  per l’opera di Francis Poulenc del 1947.

Proviamo ora a immegerci senza respiro nel processo evolutivo della ricerca estetica di un grandissimo artista come Warhol dei primordi fino a quello più globalmente riconoscibile. Seguendo il suo processo di maturazione lo troviamo nel suo primo incarico di illustratore a New York, un lavoro per la Columbia Records che gli affida di ideare la cover del disco A Program of a Mexican Music di Carlos Chavez dove utilizza la famosa tecnica della blotted line. Poi un lavoro per l’opera Guglielmo Tell del compositore Gioacchino Rossini diretta da Arturo Toscanini in cui è evidente la capacità di evocare luoghi e persone in modo grafico e diretto, unitamente all’uso dei colori che rappresentano un omaggio all’Italia. Domina visivamente il lettering con colori a contrasto, così Warhol anche per la cover dedicata ad Artie Shaw e a Moondog, mentre si fa strada altrove il collage che inaugura la Cover Art assemblata. 

Ecco, a un certo punto, l’attenzione cade su un’opera iconica del 1967 destinata al gruppo dei Velvet Underground, di cui era anche manager musicale, e che blocca nell’immaginario collettivo del rock mondiale una banana con la scritta “Peel Slowly and See” che sta per “sbucciare lentamente e guardare”, una scelta simbolicamente erotica e provocatoria che elimina completamente dall’opera il titolo dell’album e degli autori. Come non citare a questo punto i Rolling Stones per cui Warhol crea una figura maschile con la chiusura lampo reale a marcare l’anima trasgressiva dell’artista che sempre per gli Stones realizza 24 scatti polaroid in cui i musicisti sembrano divorarsi l’un l’altro. Trasgressione e carica di energia, come nel lavoro che immortala Loredana Bertè fotografata da Christopher Makos o in quello per Liza Minnelli.

Sicuramente, tra le opere di Warhol che più impatta la sensibilità artistica e musicale troviamo quella dedicata a John Lennon in cui usa uno scatto del fotografo Ian McMillan e dove domina un contrasto cromatico rievocante la luce delle candele durante le veglie funebri in onore del cantante. L’album è, infatti, uscito sei anni dopo la morte di Lennon. Si crea, così, un legame immortale di due figure Pop che hanno fatto la storia dell’immaginario collettivo internazionale. Warhol che omaggia Lennon defunto con la sua arte, con la sua sensibilità estetica, un tributo che fa sognare.

Proseguendo, troviamo Dubuffet, padre dell’Art Brut, Pistoletto con il suo lavoro specchiante per Enrico Rava, Damien Hirst con il teschio a cui aggiunge due orologi al posto degli occhi per il gruppo The Hours, ma presente anche nell’album I’m With You dei Red Hot Chili Peppers. Non poteva mancare Banksy per l’album Think Tank e per il singolo Out of Time dei Blur, Blake che lavora per i Beatles, gli Who, Eric Clapton e per gli Oasis, Keith che lavora all’album Someone Like You dei Sylvester e Basquiat per l’album Beat Bop di Rammellzee.

Mimmo Paladino x De Gregori

O ancora Mario Schifano che realizza un lavoro per il gruppo nato nel 1967 Le Stelle di Mario Schifano, Marco Nereo Rotelli per la copertina di Orme, Mimmo Paladino per Lucio Dalla e Francesco De Gregori, rispettivamente negli album Henna e Anema e core, Milo Manara per Enzo Avitabile, Andrea Pazienza per Roberto Vecchion e Marco Lodola che si incastra in un progetto con il gruppo 883.

L’arte della luce di Lodola che per e attraverso la luce costruisce la propria proposta estetica incontra le suggestioni della musica del gruppo che ha fatto sognare intere generazioni dagli anni Novanta. Quanta cultura in questa esperienza immersiva che passerebbe quasi inosservata nelle vetrine dei negozi di dischi durante un passeggio con uno sguardo frettoloso e non cosciente della vastità di collaborazioni come quella tra Koons e Lady Gaga che immortala la cantante come una scultura che nasce dalla Venere di Botticelli. Meravigliosa esperienza percettiva, da non perdere.

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