Se gli alieni fossimo noi umani?
La storia del nostro pianeta racconta di una convivenza costellata di soprusi e distruzioni nei confronti dei fragili equilibri terrestri. Ci siamo sempre più allontanati dalle bellezze naturali in favore delle grandi metropoli, dei comfort, delle nuove tecnologie al fine di renderci sempre più performanti. Se fossimo noi gli umanoidi, rinchiusi sempre più all’interno di quattro mura, che hanno perso la vera essenza della vita e dunque, l’umanità?
Appena a dieci minuti dall’Arsenale di Venezia, nell’oasi di pace rara che è ancora oggi l’area di San Francesco della Vigna, si dipana la mostra dell’artista belga Arne Quinze dal titolo “Are we the aliens_”, una domanda che l’autore pone a sé stesso e agli altri e dove le risposte si trovano già all’ingresso della mostra.
Trattasi di un progetto indipendente, una mostra ambiziosa in cui l’artista fiammingo esprime tutto il suo potenziale creativo attraverso pittura, scultura, installazioni, opere in vetro di Murano e video prodotti con l’AI. Un plus è senz’altro la collaborazione con il musicista e produttore d’oltreoceano Swizz Beatz, il quale ha realizzato una colonna sonora coinvolgente alla volta di guidare i visitatori attraverso un viaggio immersivo trascinante ed estremamente emozionale.
La mostra è arricchita dalla co-curatela di Hervé Mikaeloff, consulente d’arte indipendente e perito della Fondazione Louis Vuitton, e Reiner Opoku, consulente e agente d’arte, insieme al supporto del Ludwig Museum di Koblenz. All’interno della Scuola di San Pasquale di Baylon si sviluppa il nucleo principale del progetto, mentre due sculture, una in bronzo e una in ceramica, sono collocate rispettivamente nell’adiacente chiesa palladiana di Sant’Antonio e nel chiostro del monastero francescano.
La riflessione di Quinze nasce dalla sua personale ricerca, che da tempo porta avanti, riguardante la bellezza della natura e della sua composizione armoniosa contrapposta all’architettura urbana e al vivere che l’uomo ha sviluppato nelle sue città sempre più cementificate e meno verdi. Il titolo non presenta il punto interrogativo ma l’underscore (_), il simbolo col corrispettivo significato utilizzato nel linguaggio dei codici e delle tecnologie, accorgimento voluto proprio per “contaminare” da subito il nostro linguaggio e alienarci dalla natura.
Nella sede principale della mostra si sviluppa il pensiero dell’artista a partire dalla prima installazione intitolata “Impact Glass_”, una rappresentazione altamente scenografica sull’origine delle prime forme di vita giunte sulla terra grazie alle stelle, meteoriti che contenevano il DNA umano (o forse meglio dire alieno?). Un evidente rimando alle teorie di alcuni scienziati, tra cui Margherita Hack, che sostengono che gli esseri umani siano fatti della stessa materia contenuta all’interno delle stelle e sono arrivati sulla Terra attraverso l’esplosione di queste.
Collocata all’interno di quattro colonne portanti, l’installazione è costituita da una struttura in resina ricoperta da materiale tessile simile alla lana di vetro, su cui sono collocate 15 sculture in vetro disegnate da Quinze e realizzate a Murano grazie alla collaborazione con Berengo Studio. Queste sono proprio i DNA nati metaforicamente dallo schianto del meteorite sulla Terra, metafora dell’impatto distruttivo a discapito dell’armonia originaria del pianeta e delle conseguenze a partire dal nostro arrivo.
Al di fuori delle quattro colonne ci sono due installazioni video create con l’AI. Sei personaggi fittizi raccontano da un futuro distopico le loro vite da umanoidi circoscritte entro quattro mura dove, completamente disconnessi dalla natura, sono sempre alla ricerca di nuove tecnologie per avere risultati sempre più performanti. Tutti e sei però, alla fine dei loro racconti, riflettono sul loro ruolo su questo pianeta e sulla loro identità, sempre più umanoide e meno “umana”, proprio come i dannati del quadro di Lattanzio Querena, collocato originariamente al centro del piano terra della Scuola di San Pasquale, rappresentante la Madonna tra San Francesco e San Pasquale di Baylon. “Are we the aliens?” concludono i sei personaggi nei video, interrogando il visitatore su quanto, anche nella realtà, ci siamo “disconnessi” dalla natura del luogo che abitiamo. I “Six Testimonials” sono quindi, dopo milioni di anni, la transizione di quei DNA alieni dalla forma biologica a quella digitale.
Se al piano terra queste installazioni sono collocate in un ambiente con luci diffuse, al piano superiore si viene immersi in un’atmosfera completamente diversa, dove la luce filtra dalle grandi vetrate coperte da film colorati, creando delle fasce luminose che frangono la nebbia d’azoto e che ricreano un’aura spirituale.
Da un lato si colloca il grande trittico ad olio intitolato “Murchison Garden_” dove l’artista rappresenta il giardino dell’Eden, la bellezza della natura su cui incombe nel cielo il meteorite, creando così una sensazione di vulnerabilità, sospensione e malinconia dovuta alla consapevolezza della trasformazione e distruzione di quella bellezza.
Dall’altra parte, la grande installazione immersiva, fulcro della mostra, intitolata “Sonic Levitation_”. Una scultura in alluminio costituita da quattro sezioni disposte a cerchio riproduce effetti luminosi che seguono la colonna sonora trascinante di Swizz Beatz. Qui i visitatori vengono invitati a sedersi e rilassarsi per ascoltare la musica che si tramuta in una sorta di viaggio sensoriale, dove musiche metalliche si accostano a cori battenti fino a percepire sul finale voci angeliche, in un percorso che è un climax verso una riconnessione che spinge a volgere lo sguardo verso il soffitto, dove sono collocati i quattro evangelisti dipinti dal pittore Antonio Balestra, dipinti originari di questo luogo. I colori delle luci dell’installazione richiamano più volte quelli del dipinto vicino, creando così un’interazione profonda, materica e spirituale, con quel giardino e con quella sensazione di imminente distruzione.
È però una sensazione di riappacificazione quella che si percepisce alla fine dell’esperienza immersiva, una volontà dell’artista che non vuole solo puntare il dito ma stimolare riflessioni al fine di ritrovare un equilibrio per continuare a coesistere insieme su questo pianeta nel rispetto reciproco.
Infine, la scultura in bronzo collocata nella chiesa di Sant’Antonio, dinnanzi alla “Madonna in trono con Bambino” di Antonio Falier da Negroponte, dialoga con l’arte del passato, in una connessione di energie e spiritualità legate alla bellezza della natura. Nel chiostro del vicino Monastero francescano invece, “Ceramorphia_”, un’installazione scultorea in ceramica realizzata in collaborazione con l’Atelier Vierkant, rappresenta le architetture naturali di fiori e piante realmente presenti nel grande giardino dell’artista, dove trae gran parte dell’ispirazioni per le sue riflessioni e le sue opere.
La natura se guardata attentamente, e per questo Quinze ce ne presenta i dettagli in formato aumentato, ci insegna la bellezza della diversità, dell’imperfezione che è però in completa armonia nel suo insieme, in contrapposizione alla rigida architettura urbana dell’uomo.
Un vero e proprio padiglione indipendente quello di Arne Quinze, ricco di contenuti, diversità di espressioni artistiche, coinvolgimento sensioriale ed emotivo l fine di stimolare riflessioni più che mai necessarie. Are we the aliens?