Atmosfere perturbanti alla Galleria d’Arte Zamagni di Rimini con le opere di Edoardo Cialfi. Un viaggio dell’umano alla ricerca di sé che ha il sapore di un rinnovamento antropologico.
Se dovessi ritrovarti in un paesaggio, così, materializzato sotto la luna, in un’atmosfera perturbante, ti direi di fermarti lì. Il luogo di questo incontro con l’arte di Edoardo Cialfi è alla Galleria d’Arte Zamagni di Rimini, un ambiente reso possibile, oltre che dalle opere dell’autore, Edoardo, dall’ospitalità del team Zamagni e dalla curatrice, Chiara Canali.
Il nome della personale di Edoardo Cialfi, Il Perturbante, è già di per sé un viaggio che la curatrice Chiara Canali ha inteso proiettare attraverso le opere pittoriche dell’autore. Ogni viaggio, è chiaro, è sempre un andare per un ritorno. Da dove partiamo e dove andiamo con le opere di Edoardo Cialfi? Da e per l’essere umano. Sempre qui. Un viaggio che impone una riflessione. Non un semplice vagabondaggio estetico fine a sé stesso, un esercizio di stile, per quanto virtuoso, con la tecnica, quella dell’aerosol, così sapientemente dosata per una finalità quasi immersiva nel paesaggio tracciato, ma un luogo di metacognizione.
Riflessione autoportante, la metacognizione impone di riflettere, ma su cosa? L’umano si diceva, ma cosa dell’umano? Edoardo Cialfi ci porta, ci accompagna a considerare che l’essere umano non abiti davvero, realmente, i luoghi che ha prodotto. Si ritrova l’umano in una situazione di spaesamento, il perturbante appunto, in cui il familiare perde il contatto con sé stesso e diventa altro da sé. Si fa strada la nebbia, il non-chiaro, una sorta di velamento che il non-luogo rivela come carenza alla chiarezza del significato del vivere la vita oggi, secondo i canoni dell’oggi, che non sono solo canoni estetici, ma antropologici.
Ecco che il paesaggio, di questo si tratta, Edoardo Cialfi produce paesaggi, la sua Umbria, ha la forza di un ambiente vissuto, ma la vita del vissuto in questione, l’essere nella vita, è come se fosse viziato da un atteggiamento scomposto dell’umano, tutto teso all’individualismo che non permette all’umano stesso il fluire di quell’energia di carica positiva che è l’energia creatrice del cosmo-vita e che nell’arte sta come momento della produzione estetica.
Allora, cosa cerca Edoardo Cialfi? La dimensione dell’umanità per mezzo del paesaggio e nel paesaggio, che non è mai solo quello che è, ma quello che ci vediamo. È il paesaggio, infatti, la mediazione estetica tra la percezione oggettiva e soggettiva. Trova espressione una riflessione, una fotografia dell’essere pensante per eccellenza che ha smesso di cercare l’armonia con sé stesso.
Se l’isolamento, cosa diversa dalla solitudine, è una condizione dell’umano moderno contemporaneo, che genera, a mio avviso, il perturbante di Freud, questa cessa di essere tale nel momento in cui nasca nell’umano stesso la curiosità, la meraviglia, il thaumazein greco, che ha una forza enorme e generativa. Ogni pensiero generativo rompe la monotonia del silenzio della ripetizione del vecchio, dell’abitudine, e apre al nuovo.
La ricerca di Edoardo Cialfi è un viaggio nel paesaggio, ma anche un viaggio nell’umano, come forza generativa, capace di rompere lo schema, il pattern mentale umano che ha provocato la stagnazione del pensiero umano stesso. Un rinnovamento antropologico contro la fissità del comportamento in schemi che isolano l’umano è auspicabile e possibile. La condizione del rinnovamento è il meravigliarsi di nuovo della vita con la sua energia dirompente. Edoardo Cialfi fa questo: rompe uno schema per ricomporre l’unità dell’umano con sé stesso e dell’umano con l’altro da sé, il luogo o paesaggio, l’aspetto primario di un viaggio interiore e spirituale che è la vita.