Essere o non essere, matematica o non matematica? Questo è il dilemma

Abbiamo di recente sviluppato alcune riflessioni tra l’essere (uomo) e il non essere (intelligenza artificiale). Amleto medita sulla vita e sulla morte, sul suicidio come possibile fuga dalla sofferenza e dalle ingiustizie della vita. L’ “essere” rappresenta la vita, con tutte le sue difficoltà e dolori, mentre il “non essere” simboleggia la morte, vista come liberazione da tali sofferenze. Nella nostra metafora, se il non essere è rappresentato dal fatto che l’AI un giorno possa essere come noi, riducendoci quindi ad un non essere, tale circostanza non sarebbe una liberazione, ma tutt’altro, sarebbe l’entrata in un profondo dramma. Non essere non sarebbe un altro stato nel flusso dell’esistenza, come la morte in Amleto, ma piuttosto: l’unico stato, che varrebbe già ora.

Certo rimarrebbe la domanda ontologica: perché tutto questo? Ma a tal domanda arriverebbero anche le macchine, a noi non resterebbe che sperare… che almeno soffrano tanto quanto soffriremmo noi.

Coscienza umana e intelligenza delle macchine

Antonio de Pereda Vanitas 1670 c Gallerie degli Uffizi

I filosofi naturalisti e materialisti (Hobbes, Giordano Bruno, Spinoza) soccorrerebbero con una fede per fede: in fondo, direbbero loro, dovremmo credere in Dio solo nella evidenza di una nostra superiorità rispetto alla natura? Ad una analisi a posteriore non sono pochi coloro che ritengono che questi filosofi credevano in Dio perché “dovevano”, ed anche a noi il sospetto resta. Tuttavia, alla luce evidente dei fatti, mentre davvero i cervi ci sbranano, come nella scena di Diana ed Atteone, dimostrandoci che essere e non essere sono la stessa cosa, in questa apocalittica ipotesi ove l’uomo sarebbe come la macchina, davvero Bruno e Spinoza manterrebbero la loro fede? E cosa potremmo dire di Amleto: sarebbe forse alleviato nel sapere che la vita e la morte sarebbero molto più simili di quel che immaginava?

Tiziano Diana e Atteone 1556 1559

ChatGPT di OpenAI, Bard di Google e Copilot di Microsoft sono capolavori nell’ambito dell’apprendimento automatico. Queste tecnologie, elaborando enormi quantità di dati e identificando pattern ricorrenti, migliorano continuamente la loro abilità nel produrre output che sembrano genuinamente umani, sia nel linguaggio che nel pensiero. Tali programmi sono stati acclamati come i primi indizi dell’emergere dell’intelligenza artificiale generale, quel momento lungamente anticipato in cui le menti meccaniche non solo supereranno gli umani in termini di velocità di elaborazione e capacità di memoria, ma anche nella comprensione intellettuale, nella creatività artistica e in altre capacità distintamente umane.

I filosofi e gli scienziati si dividono in questi anni. Anche di fronte a progressi che lasciano sbalorditi (è solo di pochi giorni fa il rilascio di ChatGPT 4o) continuano a ricordarci che siamo salvi, perché i computer non hanno una coscienza (come testimonia Federico Faggin) o che tutto ciò che può fare un computer evidentemente non è intelligenza (Luciano Floridi) o ancora che l’AI non è dotata della capacità di creare spiegazioni, ma solo di interpolare brutalmente (Noam Chomsky, La banalità del Diavolo).

Noam Chomsky

Può darsi che siamo salvi e tutti confidiamo davvero di esserlo, i primi cristiani sono nati in seno alla parusia, ovvero l’attesa che Gesù tornasse in terra dopo l’ascensione; cinicamente ed ironicamente potremmo miseramente alludere che tale attesa si rilevi in una venuta di ben altra notizia, appunto di una evidenza materialistica.

Il ruolo della matematica

Raffallo Sanzio La scuola di Atene particolare

Ma che ruolo ha la matematica in tutto questo?

In un’epoca ove il CEO di Invidia ci ricorda come l’hardware sia sempre più una commodity, al tal punto che il suo costo rasenterà lo zero, possiamo riguardare alla matematica come a un nuovo oracolo.

Infatti, se tutto ciò che è teoricamente computabile è davvero fisicamente computabile, per prevedere il futuro e capire se davvero il Diavolo sia banale, come dice Chomsky, è sufficiente domandarci se noi siamo “solo” computazione. Invero è quello che stiamo cercando di indagare: da una parte se l’uomo ha una eccedenza ontologica rispetto a ciò che è computabile; dall’altra quali sarebbero le implicazioni etiche se la risposta a questa domanda fosse negativa. Sul tema etico non si tratta di essere apocalittici, ma solo di strutturare una anomala eziologia al contrario, ovvero di interpretare ciò che siamo come genere umano in relazione ad un futuro ipotizzato.

Che cos’è l’intelligenza?

Ipotizziamo che ci siano dei task che, se correttamente svolti, consentano di assegnare l’attributo di “intelligente” a chi lo abbia svolto. Certo sono in molti i filosofi e gli scienziati che stanno alzando continuamente l’asticella, man mano che le macchine fanno cose “intelligenti” si alza l’asticella. Ma supponiamo di tirare una riga e di fissare nella pietra un task tale che chiunque lo risolva sia ritenuto certamente intelligente.

Ricostruzione 3D delle curve ascendenti e discendenti dei tentativi di ottimizzare un algoritmo Fonte Alexander Amini Daniela Rus Massachusetts Institute of Technology adattato da M AtarodScience

Ci sono molti problemi noti per i quali non si ha una procedura chiara per trovare la migliore soluzione a quel problema, ad esempio trovare il miglior percorso in una città (grafo) per un furgoncino del latte nella consegna a domicilio. Un tale problema è NP (nondeterministicamente polinomiale), non si ha una soluzione esatta, si può solo cercare di sbagliare il meno possibile. Problemi come questo dobbiamo immaginarli come delle colline, con alti e bassi, alcune soluzioni sono buone e stanno sulla punta della collina, altre sono pessime e stanno nella valle. Se ho trovato una soluzione buona, perché sono sulla punta di una collina, potrei spostarmi e capire subito che le soluzioni vicine sono peggiori, tuttavia non saprei se molto più in là ci sono delle colline molto migliori o addirittura montagne.

Problemi come questi richiederebbero un algoritmo per trovare la migliore soluzione possibile, tuttavia nessun uomo ad oggi è abbastanza intelligente da trovare tale algoritmo e neppure abbastanza intelligente da dimostrare che tale algoritmo non esiste, e neppure sappiamo se una delle due soluzioni sia in effetti realmente dimostrabile (detto anche problema P = NP), siamo nel limbo. La matematica ci dice che con infinito tempo però anche delle scimmie che pigiassero i tasti di un computer a caso, troveranno prima o poi una delle tre soluzioni (un algoritmo, una prova di indimostrabilità, una prova che mai si potrà sapere alcunché), noto come problema della scimmia instancabile o legge dei grandi numeri.

L’apprendimento automatico è spesso descritto come la scienza di fare previsioni e prendere decisioni basate sui dati. È proprio questa definizione a sottolineare il ruolo cruciale della statistica nell’AI. Gli algoritmi di AI utilizzano i dati per prendere decisioni. La statistica fornisce gli strumenti e le metodologie per analizzare i dati, estrarre intuizioni preziose e fare previsioni, potenziando l’AI nell’uso dei dati come fonte di conoscenza. Molti problemi del mondo reale sono intrinsecamente incerti, e la statistica dota l’AI dei mezzi per quantificare e gestire questa incertezza. Attraverso tecniche come la teoria delle probabilità, l’AI può sciogliere le ambiguità e prendere decisioni. Nell’AI, comprendere le relazioni tra le variabili è fondamentale. La statistica aiuta a modellare queste relazioni, che possono variare da semplici associazioni lineari a complesse dipendenze non lineari.

Colpisce leggere l’abstract di un articolo del 1977 di Hans Moravec del Robotics Institute della Carniege Mellon University, lo riportiamo letteralmente: “Questo articolo descrive come la prestazione delle macchine di intelligenza artificiale tenda a migliorare al medesimo ritmo con cui i ricercatori di IA ottengono accesso a hardware più veloci. Vengono stimate la potenza di elaborazione e la capacità di memoria necessarie per eguagliare le prestazioni intellettuali generali del cervello umano. Basandosi sull’estrapolazione delle tendenze passate e sull’esame delle tecnologie in sviluppo, si prevede che l’hardware richiesto sarà disponibile in macchine economiche negli anni 2020″.

Ritratto di Luca Pacioli 1495 attribuito a Jacopo de Barbari Museo Nazionale di Capodimonte

Quello che vogliamo dimostrare è che il concetto di intelligenza in un’epoca ove il costo della computazione (MSOPS, million standardized operations per second) è crollato di 16 ordini di grandezza negli ultimi 50 anni, è alla matematica che bisogna volgere lo sguardo. Tutto ciò che è tecnicamente computabile certamente lo sarà più velocemente di quanto non sia in grado di farlo un uomo. La vera domanda è: cosa è computabile e cosa non lo è?

le puntate precedenti di queste riflessioni su coscienza, pensiero filolosofico e intelligenza artificiale le potete trovare qua:

Dio è nei dettagli? No, nei computer. Un’ipotesi sull’uomo, la Natura e l’Intelligenza Artificiale

Ockham ed Intelligenza Artificiale: rasoi per pelo e contropelo a confronto

Il Papa al G7 per parlare di AI, tra auspici, buone intenzioni e forse un poco di rassegnazione

Thomas Hobbes ed il deep learning. AI tra draghi ed algoritmi etici

Intelligenza artificiale, filosoficamente parlando (pt. 1)

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