In realtà sono passati solo tre anni dal mio ultimo soggiorno londinese eppure mi sembra una vita fa: il covid ed un susseguirsi inaspettato di eventi mi ha portato ad essere lontano per troppo tempo da questa città che, per chi si dedica alle cose dell’arte (antica soprattutto), è senza dubbio il centro del mondo.
Appena messo piede sul suolo inglese mi sono sentito come a casa, avvolto ancora da quello sciamare di persone e da un persistente odore di carne grigliata che, però, non è invasivo come accade nella medina di Marrakesch, essendo inglese è ovviamente più gentile ed elegante.
In mezzo ad un turbinio di cocktails e chiacchiere mi sono ricavato il tempo per quelli che io chiamo i miei “corsi di aggiornamento” che, fortunatamente, non si svolgono in squallidi capannoni alla periferia di Milano ma nei musei.
Non vi è dubbio alcuno che, dal punto di vista dell’offerta culturale, Londra non è per nulla una città arida di proposte e delle più svariate tipologie.
La mia personalissima mecca è da ormai quasi un ventennio la National Gallery, quel tempio di collezionismo che ogni volta mi lascia senza parole e che in questo periodo propone una mostra di livello veramente molto alto dedicata ad un pittore divino che è Frans Hals (Frans Hals, fino al 21 gennaio 2024).
Per gli addetti ai lavori è uno di nomi notissimi nonché uno degli artisti che nel mercato di livello internazionale riesce a raggiungere costi elevatissimi ma, al contempo, un pittore troppo spesso soverchiato dai nomi di Rubens, Van Dyck e Rembrandt soprattutto per il grande pubblico.
La mostra, sostenuta dal Credit Suisse, presenta una vera infilata di capolavori ed invita a ragionare in termini estremamente importanti sull’opportunità di far uscire questo divin pennello dal circolo dei conoscitori per portarlo ad una platea più vasta.
In questo suo obiettivo ci riesce perfettamente: ogni stanza era popolata da almeno una cinquantina di persone, di martedì, e non vi nego che questo mi ha fatto molto riflettere su quanto la cultura della frequentazione museale sia estremamente più radicata in Inghilterra che non in Italia.
Il percorso, basato su un allestimento rigoroso e di assoluta eleganza, si articola per soggetti dai ritratti singoli, a quelli di famiglia passando per suonatori di liuto e vari volti di felicissimi bevitori.
Artista gestuale e di tecnica sopraffina al pari di Velasquez o Caravaggio, Hals fonda tutta la sua carriera sul dipingere “a prima impressione” sovrapponendo le diverse velature e i diversi colori quando gli strati sottostanti non sono ancora del tutto asciutti.
Da questa arguzia tecnica riesce a ricavarne uno stile del tutto unico ed immediatamente riconoscibile che gli permette di anticipare risultati pittorici come quelli che otterrà Manet un secolo e mezzo dopo.
Questa sua unicità lo distacca totalmente dagli illustri campioni del Seicento di fiandra rendendolo un fenomeno unico in tutto il sistema della golden age fiamminga.
Niente è come lui in Europa.
Caravaggista ma anche classicheggiante, barocco ma anche misurato, in questa fortunatissima mostra Hals diventa pittore prepotente, narratore di una altissima borghesia mercantile che odora di papaveri e diamanti e che fa bella mostra di sé tanto nel ritratto celebrativo quanto nei grotteschi bevitori.
Il colore che lo connota è sicuramente il nero di cui fa un uso libero e rivoluzionario come dimostra ampiamente in tutta la sua carriera e che riesce a riscaldare con intensi colpi di azzurri e gialli, come si può notare particolarmente nella grande tela che ritrae il Banchetto degli ufficiali della guardia civica di San Giorgio, più o meno una grande foto di gruppo di una serie di notabili del tempo tutti belli in posa.
Le fasce arancioni e la blusa gialla del personaggio in primo piano sulla parte destra dell’opera, fungono da accenti musicali jazz in mezzo a questo spartito di broccati e di velluti neri.
Nella celeberrima The Meagre Company si inizia con un grande bandierone arancione e si termina con una fusciacca celeste, ma in mezzo il tono predominante è il nero di cui fa uso sapientissimo nella splendida selva di gambe dei personaggi che occupano la parte destra dell’opera (qui ho quasi pianto!).
Merita una menzione particolare lo chiccosissimo Ritratto di Jasper Schade van Westrum grande modaiolo dell’epoca e senza dubbio fashion victim del tempo, che Hals rappresenta mentre indossa una giubba che ricorda moltissimo alcune delle più riuscite fantasie di Missoni.
Si dice di lui che spese immense fortune in abiti e divertimenti vari: un vero figo, insomma, che meritava il ritratto senza dubbio!
Desta una grande impressione anche il Giovane uomo che tiene un teschio, ve lo confesso, ma non tanto per la lucida qualità del dipinto in generale ma, in particolar modo, per l’altissimo coefficiente di difficoltà che implica la realizzazione di quella mano che si protende di taglio verso lo spettatore, qualche vostro amico pittore (che sia almeno di buon livello) potrà confermarvelo.
Ma su tutti, in maniera prepotente, svetta quel capolavoro che è il Ritratto di uomo che ride appartenente alla collezione Wallace e concesso in prestito per questo evento epocale.
È proprio in questo dipinto che si esplica la grande potenza di Hals che riesce non solo a regalarci questa beffarda immagine in un mix di colori e di pizzi magistralmente realizzati ma che, nell’uso del nero per la descrizione dei panneggi, anticipa la gestualità dell’informale di Emilio Vedova o i criptici alfabeti di Scanavino.
Insomma, non rimanete sul divano… correte a prenotare un biglietto per Londra!