Anche chi non fosse minimamente interessato all’arte sa che a Roma è stata inaugurata una importante mostra sul Futurismo alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Mi limito a questo nome, il cui acronimo da sempre è Gnam, perché la recente aggiunta di una C nel logo, per arrivare a GnamC, (immagino che stia per Contemporanea) è per me tardiva per avere il potere di sostituire quello storico “GNAM” che è anche giocoso suono, soprattutto a Roma, che riecheggia Alberto Sordi: “Gnam! Arte me te magno!”. Tornando al futurismo, dicevo che molti sono al corrente dell’apertura di questa mostra in quanto, per una ragione o per l’altra – comunque quasi tutte ragioni di stampo politico – l’esposizione si è trasformata, durante la preparazione, in uno strumento di battaglia dialettica, come fosse un gladio o un boomerang, per stare ad armi antiche o primitive. Le polemiche, si sa, soprattutto oggi, in terra di “social media”, si autoalimentano finché un giorno, zac!, muoiono. La gente si annoia di polemiche, vuole giudicare i fatti. E anche in questo caso succederà così. Dunque, depurati i contorni sociali e “social”, politici, inutili, fuorvianti, possiamo finalmente parlare di arte.
La mostra (che durerà fino al 28 febbraio del 2025) è davvero interessante. Oltre 350 opere, accompagnate ed arricchite da sculture, progetti, disegni, oggetti d’arredo, film, oltre a un centinaio fra libri e manifesti, con un’attenzione particolare alla matrice letteraria del movimento, e non manca un (meraviglioso) idrovolante, automobili d’epoca, motociclette e strumenti scientifici d’epoca, il tutto all’interno di uno spazio che si presta moltissimo perché, si sa, la Gnam è concepita come spazio moderno che, nella sua innata contemporaneità, ha ispirato, nel tempo, e nel mondo, altre costruzioni museali pensate per dare respiro alle opere e soprattutto a chi le visita.
Infatti, in questo museo, si circola con piacere; raro l’affollamento intorno ad un’opera, quel fastidioso momento in cui si è in fila per godere rapidamente di una pittura. C’è spazio per indietreggiare, avanzare, decidere la prospettiva personale per osservare un quadro. Aggiungiamo che è la sede ideale per questa mostra in quanto, delle 350 opere presenti, un terzo sono già di proprietà del museo e dunque è come se altro non fosse che un prolungamento ideale di qualcosa che era già parte dell’anima di questo luogo.
Il Futurismo è corrente tutta italiana sebbene ammirata e, tutto sommato, lanciata dalla Francia (bellissima, in una teca, la prima pagina ingiallita de “Le Figaro” – 20 febbraio 1909 – con un elzeviro a spalla sinistra che semplicemente titola: Le Futurisme e in cui, per la prima volta, si parla del movimento e del manifesto di Marinetti) e dunque, prendiamone atto, il Futurismo era già esportato e, per avere una seconda corrente di rilievo nata nel nostro paese, avremmo poi dovuto attendere circa 60 anni e atterrare su quella (corrente) chiamata Arte Povera. Ma, per comprendere l’arte, bisogna inquadrarla nella Storia, altrimenti diventa difficile afferrare le ragioni degli artisti. E, se c’è una cosa che colpisce in questa mostra – in cui si ha la possibilità di avere una visione d’assieme ampia – è la rottura totale con il secolo precedente; e non è una cosa da poco essere così moderni (Rimbaud, più o meno trent’anni prima scrisse: “bisogna essere assolutamente moderni“, dunque questa fuga verso la modernità stava per sopraggiungere – Rimbaud lo chiamarono veggente dunque certamente in anticipo) ma è proprio modernità la parola che spunta un po’ ovunque attraversando le sale colme di opere futuriste, perché sta iniziando il ‘900 ed evidentemente, in Italia, c’erano artisti che percepivano “odore” di futuro.
Non è mio compito parlare criticamente del Futurismo, mi limito a trasmettere alcuni pensieri e trasferire sensazioni che magari possono essere utili per coloro che vorranno andare alla Gnam. Il primo, l’ho scritto, è questo inno alla modernità. Il secondo riguarda la svolta secolare che questa corrente rappresenta, nel senso che già nel 1909, dunque entro la prima decade del nuovo secolo, l’800 sembrava (quasi) dimenticato. E il futurismo ha fatto molto, secondo me, per dare un’accelerazione al costume, alla cultura e al nuovo modo di vedere le cose; “cose” che spuntavano ovunque ed erano inimmaginabili poco prima: le auto, gli aerei, le prime macchine da scrivere, i telefoni, l’uomo si stava dotando di tutto ciò che convive con noi ancora oggi e che non potevano non colpire, al loro apparire, la sensibilità degli artisti. La terza cosa importante è che c’è, in questa mostra, una forte spinta alla didattica, ovviamente se al netto di qualsiasi scoria politica, ma è sicuramente utile una visita per far comprendere – poniamo a dei giovani studenti – cosa succede quando cambia un secolo. Che poi loro, i giovani, oggi nativi digitali, se lo chiedono sicuramente com’era il ‘900 e come si faceva a vivere senza Internet o gli smartphone. Ecco, spieghiamo loro che il futurismo è stato un inno al cambiamento tanto quanto – poniamo- la street art ha liberato gli artisti all’inizio del duemila sguinzagliandoli fuori dai muri museali e aprendoli così al mondo, unendo a questa fuoriuscita la novità della gratuità. Lasciamoli, i ragazzi, fare dei raffronti e portiamo le scuole a Valle Giulia per far capire loro che la vera rilevanza di una corrente artistica, se è tale, non è soggiacere alla politica ma al limite inglobarla – senza che questa se ne renda conto – per lasciare una testimonianza antologica. Certo, le influenze del tempo non possono non esserci (basta vedere quanta belligeranza è raffigurata in alcuni dei quadri esposti) ma c’è modo e modo di presentare un periodo e i futuristi altro non sono stati che avanguardisti utili per spostare in avanti il comune sentire.
Ciò che colpisce osservando queste opere è il colore, forte e splendente, il segno veloce che non raggiunge quasi mai l’astrattismo ma inizia a scardinare il realismo accademico del secolo precedente. La realtà, a inizio secolo, sta diventando complessa da gestire e gli artisti propendono per segni incoerenti, come la vita che accelera come non mai; è come se volessero segnalare al mondo che la mente umana farà fatica a comprendere ed abbracciare tutti gli accadimenti di questa prorompente modernità.
“Cercate di afferrare cosa stiamo comunicando attraverso le nostre pitture” sembrano dirci e, probabilmente, anch’essi atterriti e straniti dall’accelerazione improvvisa della contemporaneità, per analizzarsi non trovano di meglio che fissarla in quadri elettrici, schizzati, spesso dalle dimensioni notevoli proprio per dimostrare che la problematica non è di poco conto. Il Futurismo che qui alla Gnam ammiriamo in tutta la sua complessità ha avuto un padre, certo, Filippo Tommaso Marinetti, ma anche tanti figli e discepoli che, indubbiamente, mostravano capacità artistiche superiori alle sue. Ma, si sa, ad alcuni è dato teorizzare, ad altri praticare. Ma non è certo addebitale a questo rilevante manipolo di creatori il fatto di operare in un’epoca che covava un trentennio – ed oltre – di guerre e dittature che avrebbero sconvolto l’assetto del nostro continente. Anzi, osservando con attenzione le opere, vien da pensare che questi artisti inviavano ammonimenti più che approvazioni. Forse esiste una chiave di lettura laterale per capire diversamente il fenomeno e ristabilire la verità: l’arte, anche quando sembra essere prona ad un periodo in realtà sta solo covando futuro. E chi meglio dei “Futuristi” per farcelo capire?