Dal 26 ottobre 2024 al 26 gennaio 2025, presso la Cappella e il Museo del Tesoro di San Gennaro, è possibile visitare la mostra Una nuvola come tappeto di Giulia Piscitelli.
Artista visiva concettuale, il suo lavoro multimediale si concentra spesso sulla pratica dell’installazione, intesa come azione che mira ad occupare lo spazio reale tramite l’inserimento di elementi fisicamente presenti, evocativi del vero, ma manipolati e idealizzati, nell’intento di fornire un costrutto coerente. La mostra, curata dallo storico e critico d’arte Stefano Chiodi e realizzata in collaborazione con la direttrice del museo Francesca Ummarino, “ruba” il titolo da un testo di Erri De Luca.
Precisamente, spiega lo scrittore nell’introdurre il catalogo della mostra, da quel salmo 105 “dove si canta Dio che guida gli Ebrei nel deserto”, al rigo 39 che si traduce letteralmente “stese una nuvola come un tappeto”, diversamente da come suggerisce la Chiesa cattolica, quando traduce con “distese una nube per proteggerli”, ed è ovvio che a livello semantico il significato cambi con il cambiare del significante.
Il tappeto, paramento cultuale tradizionale della religione islamica, che si stende a terra per poggiarvi sopra le ginocchia e pregare Allah rivolti verso La Mecca, nelle sacre scritture cristiane viene destinato da Dio al popolo ebraico durante la diaspora, come oggetto di protezione, riposo o riparo.
Ed è proprio su questa contraddizione che vuole giocare Giulia Piscitelli, quando offre al pubblico una serie di 21 inginocchiatoi, adatti al rito della preghiera cristiana, rivestiti di tappeti colorati, destinati al culto musulmano, già presentati nel 2019 al Kunstmuseum di Lucerna. A differenza del white cube del museo svizzero, nel contesto barocco della Cappella di San Gennaro, questi inginocchiatoi si mimetizzano, sembrano appartenere a quel luogo e si fa quasi fatica a distinguerli dagli altri elementi decorativi religiosi presenti nello spazio.
Non fosse per il fatto che ciascuno di essi ha un colore diverso, ed in particolar modo ne spicca uno, per la tonalità rosa, poco austera, avremmo la sensazione che tutto, in quella cappella, sia nella regola. L’esposizione di queste strutture lignee prosegue all’interno del Museo, in corrispondenza delle tele storiche raffiguranti il santo, o interagendo con le contemporanee proiezioni di Stefano Gargiulo dello studio Kaos Produzioni, inaugurate lo scorso 19 giugno.
Interessanti i tessuti del 2016 e le carte nautiche del 2022, tramite le quali Giulia Piscitelli instaura un dialogo con la pittura tardo medievale e prerinascimentale, raffigurando quello che resta delle rappresentazioni sacre sulle superfici, una volta private della presenza umana: le aureole e gli sfondi. Ed ecco che la Pietà di Montefiore del Crivelli diventa uno sfondo dorato con tre aureole; lo stesso accade per Sant’Anna Metterza del Masolino.
Apparentemente pregiata, per via della tonalità dorata del kevlar, stoffa sintetica e resistenze utilizzata per i giubbotti antiproiettile, il paramento liturgico Planeta del 2018, esposto al centro della sacrestia della cappella, racchiude un forte significato simbolico.
Il colore oro, il materiale da trincea, richiama alla ricchezza decorativa degli abiti talari e Planeta rappresenta una Pianeta da sacerdote. Totalmente cucita a mano dall’artista, questa rivisitazione diventa un ricorso dello spirituale al materiale, quindi un percorso inverso, poco incoraggiante.
Il lavoro in mostra di Giulia Piscitelli è certamente un grido di contestazione nei confronti dell’interpretazione umana ai testi sacri, piegati a proprio uso e consumo per scopi politici, ciò che accade tra le diverse culture del Mediterraneo e nel Medio Oriente è evidente più che altrove. In tutte queste opere, la totale assenza di figura umana, appare quindi come una scelta condivisibile: quegli inginocchiatoi vuoti, come abbandonati da qualcuno che attimi prima, prostrato pregava. Quelle aureole vaganti prive del santificato e l’abito liturgico, esposto come oggetto museale reperto di una qualche archeologia, escluso dall’utilizzo di qualsiasi presbitero.
Del resto, il confino che sembra spettare all’empatia, alla solidarietà, più in generale all’umano, imposto dalle fredde linee politiche contemporanee, sorrette da logiche che preservano le diseguaglianze sociali, in un sistema che tende a premiare e salvaguardare i grandi sistemi della produttività, del commercio globale e del consumo a discapito della vita delle persone, è probabilmente quello che porterà alla nostra estinzione, quindi sparizione.
Unico segno di presenza umana, un naso d’oro, quello dell’artista, idealmente donato come ex voto al santo, in cambio di una probabile grazia ricevuta nel 1997, spiega Stefano Chiodi nel testo critico e, al di là della leggenda del naso del busto di San Gennaro ritrovato da un pescatore, appare incoerente con il resto delle opere, ma contemporaneamente può dare l’appiglio per un’ulteriore lettura simbolica: l’avvio, per redenzione, ad una reintroduzione dell’essere umano nell’esistenza, una riabilitazione alla presenza fisica.
Il naso, avanguardia del viso, fende l’oscurità del nulla e si dilata per percepire gli odori del luogo che vuole invadere. Chiede permesso prima che appaia il resto del corpo, escluso dalle interazioni per propria incapacità.
A naso, nulla cambierà, c’è poco da fidarsi.