Han Kang, il Nobel a sorpresa dalla Corea del Sud e l’arte ipernarrativa della New Italian Epic a Gwangju

Ero sbarcato solo da un giorno a Gwangju, una delle grandi metropoli della Corea del Sud, quando, durante una cena con amici artisti coreani, è arrivata in televisione la notizia: il Nobel per la letteratura 2024 è stato assegnato a Han Kang, scrittrice sudcoreana, originaria proprio di Gwanjiu. Ho sentito l’intero ristorante fremere di gioia. Gli amici che erano con me si sono commossi e mi hanno detto che la notizia arrivava, per loro, felicemente inaspettata. La scrittrice è molto conosciuta, certo, ed è apprezzata, tutti hanno letto i suoi romanzi, e conoscono bene il padre, anch’esso scrittore, e un po’ tutta la sua famiglia, che, mi spiegano, a Gwanjiu è molto conosciuta. Ma nessuno si aspettava che potesse addirittura vincere il Nobel, a soli 53 anni.

Il fatto è che la scrittura di Han Kang, densa e fortemente espressiva – quasi una scrittura per immagini, potente, a tratti brutale, carica di tensioni irrisolte e di violenza sotterranea che batte sotto la pelle di uno stile estremamente terso, sobrio e cristallino –, è legata alla sua terra e alla città dove la scrittrice è nata e cresciuta in maniera indissolubile. “Una città”, mi spiega la gallerista Aeran Kim, che da qualche anno sta iniziando a costituire un ponte tra artisti sudcoreani ed europei, in particolare italiani, “che ha una grande importanza non solo dal punto storico, ma anche simbolico, perché è la culla della nostra democrazia, e perché da qui partono le grandi narrazioni che hanno costituito l’ossatura della società coreana contemporanea”.

Quello del Nobel è dunque un riconoscimento importantissimo non solo per la scrittrice che ha scalato le classifiche di tutto il mondo con il suo romanzo La vegetariana (in Italia tradotto da Adelphi, ndr), e che più di recente, col suo romanzo Atti umani, del 2017, ha sconvolto i lettori di tutto il mondo con la sua millimetrica e a tratti spaventosa descrizione del massacro di Gwangju, l’avvenimento tragicamente più importante della storia recente sudcoreana (quando, durante il regime militare, oggi per fortuna deposto, l’esercito aprì il fuoco sugli studenti che erano scesi in piazza per chiedere libertà e democrazia, provocando oltre mille morti, ndr); ma anche un po’ a tutta la cultura coreana, di recente finita al centro dell’attenzione mondiale anche per il bellissimo film Parasite, girato a Seul, oltre che per serie Tv come Squid Game, e in generale per un grande ritorno di interesse da parte del mondo occidentale per quella che è stata definita “Korean Wave”, fatta non solo di musica K-pop e di soap opere, ma anche di romanzi, film, e recentemente anche da una nuova ondata di quadri, sculture, nuove e scintillanti narrazioni visive dal tratto distintivo, dinamico, gioioso, supercolorato – in una parola pop.

Marco Mazzoni September came 2021 Matite colorate su carta cm 33×28

Felice coincidenza, dunque, che arrivasse un tale riconoscimento alla capacità narrativa sudcoreana, e di Gwangju in particolare, con l’inaspettato Nobel a Han Kang, mentre io mi accingevo a inaugurare, proprio qua a Gwangju, una mostra che portava in SudCorea un altro genere di narratività: quella di alcuni tra i migliori artisti italiani, che da anni praticano una pittura che si basa proprio sull’idea del raccontare, del narrare attraverso le immagini, di riconnetterci, attraverso la ripresa in chiave contemporanea di iconografie provenienti dalla nostra storia e dalle nostre secolari tradizioni, al nostro passato, alla nostra storia, al nostro sostrato culturale più arcaico. Scomparsa dai radar della critica d’arte da molti anni, seppellita sotto strati di ragionamento sul linguaggio e sulle sue mille potenzialità, l’idea di un’arte in grado di raccontare, di incantare lo spettatore non solo con il “ragionamento” o con la bellezza dello stile, ma con la capacità di farlo sognare, immaginare, ricordare, capire la nostra storia individuale e collettiva attraverso le immagini, sta tornando ora prepotentemente allo scoperto, proprio grazie alla capacità metamorfica e seducente della pittura, della scultura, anche della fotografia e del video: ma sempre con una base narrativa estremamente solida, forte, colta ed efficace.

Matteo Basilé Flora magnifica frame da video

La pittura italiana, infatti, fin dai suoi albori, era costituita soprattutto da narrazioni. Erano le narrazioni della nostra grande storia dell’arte, delle storie di Giotto alla Basilica di Assisi, dei primitivi italiani, quella pittura che doveva portare, anche a chi non sapeva né leggere né scrivere, “la buona novella” del Dio sceso in terra; la pittura delle pale d’altare e dei teleri rinascimentali e secenteschi, delle storie della passione e della morte di Gesù, dei martiri e dei santi, delle mille narrazioni sacre e religiose, di cui le chiese e i musei italiani traboccano, ma anche le storie di guerre, di battaglie e di lotte sociali e politiche che la pittura e la scultura sette e ottocentesca, pur con la sua retorica oggi considerata fuori moda, ci ha regalato e, volenti o nolenti, ha impresso indelebilmente nella nostra mente; e sono, ancora, i racconti della pittura e della scultura pubblica e monumentale degli anni Trenta, anch’essa spesso condita da troppa retorica (non di rado fascista, come la mostra voluta da Sgarbi al Mart di Rovereto ci ha esaustivamente descritto), e quella dei monumenti che costellano tutte le piazze delle città italiane, che raccontano di avvenimenti, di idee, di uomini che hanno fatto la storia dell’Italia e hanno steso le basi per la costruzione della nostra civiltà. E che oggi, in un dialogo a distanza che attraversa i secoli, tornano, come le acque di un fiume carsico, nelle opere dei pittori e degli scultori italiani contemporanei, con un occhio alla storia dell’arte e uno all’estetica della nuova cultura popolare diffusa, a tratti drammatica, tragica, o intimista, e a tratti invece estremamente divertita, libera, giocosa, ironica, coloratissima. Da questa idea nasce lo spunto per quella che può definirsi un abbozzo di una grande mostra futura, che oggi prende avvio qua, a Gwangju, all’interno della 24esima edizione della fiera d’arte Art Gwangju, e che riunisce alcuni tra gli artisti italiani più conosciuti e promettenti, proprio sulla base di un “ritorno alla narrazione”: “New Italian Epic”, inaugurata nello spazio della gallerista Aeran Kim della galleria coreana Artpresso, che ha scelto per un’occasione anch’essa speciale, il 140 anniversario delle relazioni diplomatiche tra Italia e Corea, per riunire in due diversi stand da una parte gli artisti italiani, dall’altra quelli sudcoreani. Il tutto, con l’idea forte del ritorno alla narrazione.

Alex Folla Deposizione dalla croce 2021

Al centro, un grande dipinto di Alex Folla riprende un tema caratteristico dell’iconografia artistica, la Deposizione, calandolo in una situazione non solo contemporanea, ma intima, famigliare. La struttura è infatti quella, classica, che conosciamo dalle tele rinascimentali e manieriste, come quella, celebre, del Rosso Fiorentino a Volterra, con le sue scale a fare da contraltare strutturale alle linee perpendicolari della croce e del filo dell’orizzonte, e la dinamicità dei corpi a movimentare e drammatizzare la scena, nonché quella, precedente, di Filippino Lippi a Firenze; ma il riferimento più puntuale è, a ben vedere, la Deposizione Cinuzzi di Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma, identica nella composizione e nella scansione dei personaggi. La particolarità del quadro, tuttavia, è proprio data dalla compagine dei personaggi rappresentati, espressamente tratti da una assai “familiare” quotidianità, essendo facilmente riconoscibili non solo la figura dello stesso artista, che osserva, ai piedi della croce, con aria disillusa e vagamente annoiata, la scena della deposizione del corpo di Cristo (quasi rappresentasse la stessa nostra assuefazione ai drammi quotidiani che ci piovono addosso dal mondo, dall’Ucraina alla Palestina fino ai morti nel Mediterraneo), ma anche la moglie dell’artista, la pittrice Elena Trailina, nelle vesti di una delle piee donne che sorreggono e consolano la Vergine, e vari amici dell’artista, nei panni vuoi di Nicodemo e Giuseppe di Arimatea, impegnati nel deporre il corpo di Cristo dalla croce, vuoi degli altri comprimari della sacra scena, compresi i piccoli puttini che cascano, nudi, dal cielo, come allegri e ridenti angeli contemporanei, che hanno la fisionomia e i tratti somatici dei figli dell’artista. L’atmosfera dell’intera rappresentazione, il carattere dei personaggi, le loro posture, i loro gesti, la disincantata malinconia che traspare dai loro sguardi, rivela prepotentemente il carattere fortemente contemporaneo del dipinto, quasi stessimo assistendo a una “normale” e tragica scena di cronaca del telegiornale.

Elena Trailina Gossip punched gold leaf pastels on paper 2020

Anche Elena Trailina, coi suoi piccoli quadri su fondo bianco, gioca la sua partita narrativa tra ripresa di codici antichi e stretta contemporaneità. Nata a Mosca ma da molti anni residente in Italia, Trailina utilizza l’antica tecnica russa della punzonatura della foglia d’oro, tradizionalmente presente nell’iconografia religiosa della rappresentazione delle icone, nei suoi quadri racconta piccoli episodi di vita quotidiana, tra mito e quotidianità: le sue sono storie di trasformazione, di dialoghi, di parole sussurrate e trasmesse di bocca in bocca (nella serie Gossip), di misteriosi canti di bambini, di simboli e significati nascosti.

Nicola Verlato Judith olio su lino 2018

Nicola Verlato ha da molto tempo creato non solo un suo linguaggio peculiare ed estremamente sofisticato, ma anche un suo immaginario che da una parte guarda alla storia dell’arte e dall’altra alle storie e ai miti della nostra contemporaneità o della nostra storia recente, da James Dean a Pasolini. In questa mostra presenta il bozzetto del suo dipinto Judith, che rappresenta una rivisitazione della decapitazione di Oloferne da parte dell’eroina biblica Giuditta in chiave contemporanea, con una dinamicità e un movimento che appaiono fortemente influenzati dall’immaginario cinematografico.

Sergiio Padovani Lindicibile delle persone 2024 olio e bitume su tela cm 30×25

Anche Sergio Padovani, con il suo peculiare linguaggio che mixa riferimenti alla pittura fiamminga tre e quattrocentesca – Bosch prima di tutto – e alle antiche storie della tradizione popolare, ci racconta vicende di solitudini, di dannazioni, di ascetismi e di drammi segreti e “indicibili”, come recita il titolo di uno dei quadri. Anche Marco Mazzoni guarda alle storie e alle leggende della tradizione italiana, tra misteriose donne-erboriste, metamorfosi e rimescolamenti tra uomo e natura. Chiara Calore, tra le più promettenti giovani artiste italiane, rimescola le carte tra riferimenti all’iconografia classica, la fiaba, la leggenda e l’intimismo contemporaneo. Non diversamente, Matteo Basilé gioca e mescola i riferimenti iconografici raccontandoci storie di donne-fungo, donne-flora, esemplari stupfacenti, onirici e immaginifici di una iconografia in cui sembrano mescolarsi vorticosamente passato, presente e futuro.

Ozmo Still Life with skull 2024 acrilico su tela cm 40×30

Mentre Ozmo rivisita, con taglio vuoi ironico vuoi a tratti fortemente drammatico, l’iconografia tradizionale delle vanitas secentesche con un taglio di casalinga “normalità”, ponendo un teschio di fianco a oggetti quotidiani come un posacenere, una forbice, una bottiglietta di plastica.

A lavorare sul paesaggio, invece, con tagli differenti, ecco le classiche Venezia-New York di Aldo Damioli, con le sue storie metropolitane raccontate con lo stile del vedutismo settecentesco; Fulvio di Piazza, con il suo taglio immaginifico e surreale, e i suoi paesaggi antropomorfizzati.

Dario Arcidiacono Mega Pineal marker on canvas cm 18X24

Più ironici, come sempre, i quadri di Giuseppe Veneziano, che demistificano e ironizzano sulle storie della memoria popolare, delle fiabe, o dei racconti tratti dalla mitologia del contemporaneo, mentre Giovanni Motta gioca come sempre con l’idea del “bambino interiore”, trasformando in scultura il suo giocoso personaggio-simbolo JonnyBoy. Dario Arcidiacono, infine, ironizza, col suo articolato progetto NomCouture, che mescola arte, moda, oggettistica e fumetto, sulla confusione politica globale del contemporaneo, tra manie complottistiche, fake news, golem del terzo millennio, mostri da film horror, teschi, terroristi e psicopoliziotti. Vicende, e storie, tutte, che parlano il linguaggio del mito, delle leggende, delle credenze antiche e popolari, ma anche di noi stessi, della nostra strana e sempre più distopica, folle e incredibile contemporaneità e del nostro vivere quotidiano.

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