Il Getty Museum acquisisce la prima fotografia creata con IA

Nei giorni in cui infuriano polemiche e dibattiti sull’uso dell’Intelligenza Artificiale nell’arte, il Getty Museum di Los Angeles ha deciso di compiere una scelta storica, acquisendo Cristian en el Amor de Calle (2024), un’opera dell’artista queer costaricano Matías Sauter Morera. Si tratta della prima fotografia generata tramite IA a entrare nella prestigiosa collezione del museo, segnando una svolta nel rapporto tra creatività umana e tecnologia.

L’opera ritrae due giovani uomini latinoamericani in un caffè rustico, avvolti in giacche di pelle blu con dettagli dorati. L’estetica richiama la storia dei pegamachos, cowboy della costa di Guanacaste negli anni ’70, famosi per i loro incontri segreti con giovani gay. Per creare l’immagine, Morera ha usato modelli di Intelligenza Artificiale insieme a tecniche tradizionali di post-produzione, come il fotoritocco su Photoshop. La scelta dell’artista di impiegare l’IA non è soltanto stilistica, ma anche etica: nessun volto reale è stato immortalato, proteggendo così l’anonimato di una comunità storicamente invisibilizzata. La decisione del Getty Museum di acquisire quest’opera arriva in un momento delicato, mentre il mondo dell’arte discute se l’uso dell’IA sia uno strumento espressivo legittimo o una minaccia alla creatività umana. Il museo ha deciso di esporla nella mostra The Queer Lens: A History of Photography, prevista dal 17 giugno al 28 settembre 2025, accanto a fotografie storiche che hanno raccontato le lotte e le identità delle comunità LGBTQ+.

L’acquisizione del Getty si inserisce in un più ampio e acceso dibattito internazionale sull’impatto dell’IA nelle arti visive. L’anno scorso, l’Ufficio Copyright degli Stati Uniti aveva stabilito che le opere create esclusivamente da IA non possono essere protette da copyright, una sentenza che ha scatenato reazioni contrastanti. Artisti e creativi temono che le loro opere vengano usate per addestrare modelli IA senza consenso, riducendo la loro unicità a semplici dati per algoritmi.

Un esempio eclatante di questa tensione è stato il caso della piattaforma Stability AI, citata in giudizio da un collettivo di artisti per aver utilizzato senza autorizzazione milioni di immagini per il training dei propri modelli. Anche nel mercato dell’arte si sono sollevate proteste: una recente asta organizzata da Christie’s, dedicata a opere generate da IA (ne abbiamo parlato qui), ha scatenato l’ira di oltre 6.000 creativi che hanno firmato una petizione per la sua cancellazione. La protesta non era solo contro l’uso dell’IA, ma contro il modo in cui viene sfruttata l’arte umana per addestrare i modelli generativi.

Con l’acquisizione dell’opera di Morera, il Getty Museum lancia un messaggio importante: l’IA, se usata con consapevolezza e intenzione artistica, può arricchire il linguaggio visivo, senza sostituire la creatività umana. È interessante notare come lo stesso Morera si sia posizionato all’interno del dibattito: pur utilizzando l’IA per generare l’immagine, ha sottolineato l’importanza del suo intervento umano nella fase di post-produzione.

Per l’artista, l’IA è uno strumento, non l’autore. Il Getty, celebre per la sua attenzione alla storia della fotografia, riconosce in Cristian en el Amor de Calle non solo un risultato tecnologico, ma un’opera dal forte impatto sociale e culturale. Essa documenta una memoria storica queer che rischierebbe altrimenti di perdersi, evidenziando come l’IA possa diventare un mezzo per dare visibilità a storie spesso dimenticate.

L’acquisizione del Getty Museum non è solo un gesto simbolico, ma un invito al dialogo: l’IA nell’arte non è una minaccia, ma uno strumento il cui valore dipende dall’uso che se ne fa. L’esempio di Matías Sauter Morera dimostra che l’incontro tra arte e tecnologia può generare opere cariche di significato, soprattutto quando la macchina non sostituisce l’artista, ma lo accompagna nel processo creativo.

La domanda che resta aperta è: riusciremo a stabilire confini etici chiari tra l’ispirazione umana e l’assistenza artificiale? Oppure, come affermato dalla storica dell’arte Charlotte Kent: “Forse l’arte del futuro sarà proprio questa: una continua negoziazione tra umano e artificiale, tra emozione e algoritmo.”

Il Getty Museum ha scelto di non temere il futuro, ma di esplorarlo. La vera sfida, ora, è per il pubblico: osservare queste opere con mente aperta e cuore critico, chiedendosi non come siano state create, ma perché.

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